sabato 31 dicembre 2005

Da casa mia vedo...

Io accetto

Le solite due righe in cronaca che lasciano appena trasparire la disperazione di un uomo... A Troia, un piccolo paesino della provincia di Foggia un uomo è entrato in municipio con tanto di ascia in mano chiedendo un posto di lavoro e una casa: è stato bloccato poco tempo dopo dai carabinieri, disarmato e denunciato (ANSA, 11:44, 30-12-05).

Accesso di follia? La televisione di questi giorni trasmette in continuazione immagini di tavole imbandite, doni sotto gli alberi, frizzi lazzi e schiamazzi. È vero, c'è la recessione. Calano le vendite di salmone, caviale e champagne, le famiglie tirano la cinghia, aumenti generalizzati e povertà diffusa... Ma quando non hai di che vivere non ti accorgi di tutto questo. Guardi solo la tua famiglia. Guardi tua moglie che vorrebbe una casa migliore, tuo figlio che ti parla continuamente dell'ultimo videofonino e tua figlia che agogna costosissimi stivali all'ultimo grido, guardi fuori dalla finestra la tua macchina scassata e non sai ancora quanto potrà tirare avanti... Guardi tutto questo e non sai trovarne la ragione.

Prima di condannare quest’uomo dovremmo cercare di capirlo. Il Sud vive da sempre in una morsa strettissima di politica, malavita e disoccupazione. Disoccupazione strisciante, lavoro nero e voto di scambio sono stati per molti anni le uniche scelte possibili per molti meridionali... E lo sono tuttora. Le promesse di politici imbrillantinati sono servite solo a rimpinguare il loro portafoglio e a creare una folta schiera di clienti disposti a tutto pur di un posto di lavoro, e le politiche di sviluppo degli anni scorsi hanno creato solamente cattedrali nel deserto occupazionale senza la benché minima forma di miglioramento del tenore di vita locale. E poi c'è la criminalità: mafia, 'ndrangheta, camorra, Sacra Corona Unita, politica, chiamatela come volete... Lo Stato al sud è semplice leggenda. A volte non capisci dove finisce la politica e dove comincia la mafia, e viceversa: questa gente ha il potere assoluto nei tuoi confronti, dal classico "favore" (che ripagherai almeno per cinquanta volte) alla richiesta del pizzo. Denunciamo è la voce che si leva da più parti, la voglia di legalità che supera la prepotenza di quattro imbecilli. Sì, provate a denunciare: lo Stato vi abbandonerà quasi subito mentre i vostri aguzzini potranno continuare a taglieggiarvi comodamente dal carcere.

La verità è questa. Poi ci sono tutti i bei discorsi del politico di turno sullo sviluppo sulla prosperità e sulla ripresa economica.

Non prendeteci per il culo.

mercoledì 28 dicembre 2005

Incipit #1

“Sull’Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi verso nord. Le isoterme e le isòtere si comportavano a dovere. La temperatura dell’aria era in rapporto normale con quella del mese più freddo, e con l’oscillazione mensile aperiodica. Il sorgere e il tramontare della luna, di Venere, dell’anello di Saturno e molti altri importanti fenomeni si succedevano conforme nelle previsioni degli annuari astronomici. Il vapore acqueo nell’aria aveva la tensione massima, e l’umidità atmosferica era scarsa. Insomma, con una frase che quantunque un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella giornata d’agosto dell’anno 1913"...


L’uomo senza qualità” di Robert Musil.

martedì 27 dicembre 2005

L'inutile sacrificio di un albero

Ancora appesantito dalle seicento portate consumate tra vigilia di Natale e Santo Stefano, vago in cucina cercando la forza per consumare l’ennesima abitudinaria colazione. Sfoglio nel frattempo le diverse tonnellate di riviste che mia madre abitualmente compra: riviste di cucina (basta cibo!), riviste sulla salute (conseguentemente), tabloid irritanti ed inutili, qualche quotidiano che le regala il benzinaio – la benzina al litro costa quasi quanto la grappa e loro ti regalano un quotidiano… Tra tanti tabloid uno cattura la mia assonnata attenzione: Dipiù, diretto da Sandro Mayer. In basso la copertina mi annuncia un interessante articolo: L’inchiesta sulle mestruazioni – tre stelle raccontano: "tutti i problemi del nostro ciclo".

Non ci posso credere.

Apro il giornale e leggo di tre donne celebri, Patrizia Pellegrino, Eleonora Daniele, Lorena Bianchetti (sia detto per inciso, chi cazzabubbolo sono queste tre?) raccontare dei loro problemi mestruali. A quando un’inchiesta sulla forfora dei vip, o sui loro problemi di eiaculazione precoce? Quando leggeremo della stitichezza di Alessia Marcuzzi o dei bruciori di stomaco di Gerry Scotti? La domanda che vorrei porvi è allora la seguente: vale la pena abbattere un albero per trasformarlo in un giornale simile attraverso un costoso ed inquinante processo di produzione? Io dico di no.

Bah, la colazione è pronta: adesso ho altro a cui pensare.

sabato 24 dicembre 2005

Sfogo

È Natale, dicono. La festa più buffa e ipocrita di un calendario cristianamente impeccabile. Si scambiano regali, si fanno buoni propositi – è Natale siamo tutti più buoni! L’abete (la sua cima) segato per addobbarlo festosamente, il presepe di statuine prodotte a Taiwan: Gesù bambino è nato in una grotta al freddo e al gelo… Che culo, almeno lui una casa ce l’ha. In qualsiasi altro giorno forse, ma non il 25 dicembre: giorno in cui i romani festeggiavano il sole e solo successivamente usurpato dalla chiesa cristiana per questioni di marketing. La festa dei rubicondi babbi Natale in divisa d’ordinanza, vecchio spot pubblicitario d’antan della Coca Cola assurto a mondiale manifestazione di gioiosa consuetudine per bambini – Babbo Natale era in Europa un san Nicola di verde vestito, tutto il resto è logo. La messa di mezzanotte: raccogliamo il pacco di pasta da cinquanta centesimi per i poveri della parrocchia, ama Dio e per favore dacci una sporta di soldi … I cristiani!

Ama il prossimo tuo, basta che ti stia lontano e non ti rompa le scatole. Campagne di sensibilizzazione, bambini affamati dall’ingordigia occidentale o mutilati dalle mine un tempo prodotte anche in Italia vengono usati come brutale oggetto per intenerire gli animi: per aiutarli a crescere, per aiutarli a vivere, dicono. Nascono così le centinaia di associazioni caritatevoli, le grandi mistificazioni delle adozioni a distanza: a fronte delle poche davvero animate dalla volontà di migliorare il tenore di vita dei luoghi più poveri della Terra stanno tutti gli altri profittatori economici ed ideologici.

Chi non vuole che tutto questo cambi, perché tanto la giustizia sarà nel regno di Dio e sulla terra ci si limita alle attività caritatevoli che fanno guadagnare punti sui curricula trascendenti. Chi rastrella soldi inviando fotografie di bambini, loro supposti disegni e dolci letterine personalizzate scritte in italiano incerto al papà o alla mamma a distanza. Tutto disgustosamente falso: i soldi vanno alle associazioni che poi, tolta la loro fetta di guadagno, suddividono in maniera equa i quattrini ricevuti. Pensavate davvero che i bambini sapevano della vostra esistenza di genitori a mezzo? Suvvia! Tranquilli, tanto anche la carità è deducibile dal modello unico, fa risparmiare sulle tasse… Il Papa poi si lamenta del consumismo che ha snaturato il vero spirito del Natale: beh, cominciasse lui a rinunciare alle scarpe di Prada, agli ermellini e alle Mercedes da cui arringa la folla, cominciasse lui a dare il buon esempio.

Vergognoso.

Se volete, continuate pure a festeggiare il Natale con tutti i suoi ridicoli apparati, ma ricordate che non c’è bisogno di un’ideologia per cercare di cambiare il mondo in cui si vive…

Buona vita a tutti, e buon Natale.

Palle di Natale

Una curiosa abitudine dell’animale politico moderno che potrebbe essere soggetta ad approfonditi studi sociologici è quella di rovinarsi il pranzo con la visione del telegiornale quotidiano. Ieri visione particolarmente indigesta: la conferenza stampa di fine anno del beneamato premier! Lui, Silvio, l’unico uomo che invecchiando diventa sempre più capellone. Bisognava vederlo. Doppio impettito, gonfio della sua solita superbia, rispondeva con sicurezza alle domande e ai giornalisti accuratamente scelti tra le testate amiche o almeno neutrali: invettive contro i soliti comunisti del Tg3 e dell'Unità a parte, chiaramente. "Dovreste vergognarvi, [...] lei (Marcella Ciarnelli, giornalista dell'Unità [n.d.a.]) si dichiara complice di cento milioni di omicidi, non credo che ci sia nessuna possibilità di un cambiamento del vostro atteggiamento pregiudiziale e quindi non verrò da voi per cercare di convincervi: siete inconvincibili".

Apprendo così da questa istruttiva conferenza stampa che:


  1. L'Italia ha acquisito prestigio internazionale partecipando da pari alle operazioni di "peace keeping" e facendosi esportatrice di democrazia e libertà;

  2. In Italia i lavoratori precari sono una minoranza, in un crescendo di occupazione e stabilità;

  3. L'Italia è pronta a contrastare il terrorismo internazionale con le forze dell'ordine che controllano ben 13.000 obiettivi sensibili;

  4. Il fascismo non è considerato un totalitarismo - argumentum ex silentio lo ammetto, però visti i precedenti...

  5. Varie amenità ed eventuali che evito di menzionare per non occupare tutto lo spazio disponibile.

È chiaro che ormai solo Berlusconi e pochi altri credono al prestigio internazionale dell’Italia: la vicenda Calipari è solo una delle tante che indica senza dubbio alcuno la posizione di vassallaggio e di subalternità dell’Italia nei confronti dello zio Sam – nulla di nuovo chiaramente, ma a volte fa bene ribadire delle ovvietà. Sorvoliamo velocemente sulla panzana del "lavoro per tutti" per arrivare ad un’ultima, inquietante localissima considerazione.

Quanti di voi conoscono i poli industriali di Gela e di Priolo? A parte le condizioni spaventose di certi impianti, bisogna riconoscere che essi sono a portata di mano di qualsiasi pazzo furioso che voglia farsi esplodere: a Priolo la ferrovia passa proprio in mezzo al polo industriale, a Gela una strada statale costeggia le industrie… È inutile ricordare le conseguenze di un’esplosione e il devastante effetto domino in luoghi simili. Avete mai visto un solo carabiniere, poliziotto, corazziere a cavallo o centurione presidiare questi luoghi? Non sono forse obiettivi sensibili? Forse non sono posti in aree sensibili della penisola…

Ricordiamo poi che l’Italia è quel paese in cui le forze dell’ordine non possono svolgere il proprio lavoro perché manca la benzina nelle auto (Soverato, Lamezia Terme, Catania per nominare qualche città in cui si sono già registrati episodi simili) e in cui esistono circolari che chiedono di "adottare i provvedimenti ritenuti più idonei al fine di pervenire ad un sensibile contenimento dei consumi/spese per le esigenze sia di riscaldamento che di cottura vitto e produzione acqua calda per usi igienici". (la 301/10-2, punto C nello specifico, diramata il 26 aprile 2005 dal Comando generale dell’arma dei carabinieri, IV reparto, direzione di Commissariato) Gli hanno tolto pure il riscaldamento e l’acqua calda! E l’Unto di Arcore dice che siamo pronti.

Già, siamo pronti. Peccato che nessuno abbia ancora capito a che cosa.

giovedì 22 dicembre 2005

Pubblicità progresso

lunedì 19 dicembre 2005

Facciamoli verdi

Non facciamone una vittima per favore. Martire semmai, testimone della propria delirante fede fino all’estremo sacrificio di un naso rotto. Mario Borghezio, europarlamentare della Lega Nord e' stato aggredito sul treno di ritorno dalla manifestazione "No Tav" (ANSA, 17/12/05, 20:54). Ricordo ancora quando Borghezio presiedeva le ronde padane contro gli immigrati, o quando invitava a "pisciare sul terreno in cui sarà costruita una moschea", o quando aveva disinfettato i sedili del treno su cui si erano sedute alcune prostitute nigeriane, o quando nel '93 era stato multato di 750.000 lire per aver picchiato un bimbo marocchino. Un uomo nato in seno ad uno dei partiti più populisti e pericolosi d’Italia, lo stesso partito di gente che sputava sul tricolore (Umberto Bossi, prima che la malattia lo rendesse un triste feticcio sbandierato senza pudore dai suoi verdognoli accoliti), di gente che invitava a bombardare le navi dei clandestini (sempre Bossi), di gente che invocava la riaccensione dei forni crematori (Piergiorgio Stiffoni)… E potrei continuare ancora per molto.

Non facciamone una vittima. Borghezio ha sempre soffiato sul fuoco dell’odio alimentando con le sue bordate fondamentaliste il giusto risentimento e la rabbia di molti italiani: era la naturale conseguenza delle cose che un fatto simile sarebbe prima o poi avvenuto. Poverello, bisognava vederlo con quale moderazione rispondeva alle domande del pennivendolo di turno riguardanti l’aggressione. Pacato, tranquillo, finalmente con un collare che sembrava fare da pendant con certi suoi discorsi – in effetti all’accessorio canino sarebbe stato più opportuno un basto asinino, ma tant’è. Bisognerebbe romperglielo più spesso il naso, qualora ciò produca questo interessante effetto collaterale… Chiaramente questa è una provocazione. Non sto invitando nessuno a picchiare i leghisti o chiunque altro non la pensi come noi, anche se a volte la tentazione è forte. Atti simili, perfettamente comprensibili, si ritorcono contro chi li ha fatti a causa della popolarità e della posizione dell’aggredito: tutti condanneranno giustamente l’accaduto, ma in pochi si chiederanno il perché ciò sia avvenuto. Aggredire verbalmente questa gente e distruggere con una tromba d’aria di parole quella ridicola accozzaglia di luoghi comuni, ignoranza e frasi fatte che rappresenta l’ideologia leghista è invece la mossa vincente. Perché rompere il naso a qualcuno non servirà a nulla: soprattutto a Borghezio, che è un uomo tutto d’un pezzo.

Di cosa aggiungetelo voi.

venerdì 16 dicembre 2005

Coito ergo sum

Mi si perdoni l’insolenza da calembour… Da piccolo ero un cattolico fervente. Andavo a messa, servivo messa, adoravo il catechismo: mi piaceva soprattutto la possibilità di comprendere l’aspetto umano di una figura così controversa come Gesù Cristo. Pregavo con fede genuina. Dopo la morte della madre di una mia compagna di classe avevo pregato per la pace eterna della sua anima, anzi, da quel giorno avevo deciso che avrei pregato per la sorte di tutti i miei conoscenti che sarebbero morti da allora a venire.

Le mie orazioni continuarono per qualche anno, fino a quando l’elenco, testardamente ripetuto ogni sera, si fece lungo. Fin troppo. L’odore della morte aveva sopraffatto quello dell’incenso, e la sua mano fredda e scarna aveva accarezzato per sempre il mio volto. Era morta una persona a me cara. Morte lenta, morte ingiusta: una terrificante lenta agonia che ne aveva sfibrato il fisico e torturato la mente – che non perse mai, oh no! lucidità – presentandogli ogni giorno il conto beffardo di una vita di sacrifici. Se la vita è un dono di Dio, perché se la viene riprendere? Le mie preghiere non erano servite…

Smisi di credere.

Capii che il dolore del mondo non poteva essere generato da una divinità che si diceva “puro amore”, a meno di non pensare che tale divinità fosse bugiarda e dunque maligna. Il dolore mi si presentava dinanzi giorno dopo giorno, mentre Dio – o chi per lui – mi appariva sempre più come una magra e debole consolazione. Abbracciai perciò la bellezza di una vita che ha come termine ultimo la morte, aliena da divinità e spudoratamente meccanicistica: la vita non ha senso alcuno, ma è proprio nella mancanza di un senso e di un fine che dimora la sua bellezza. Vivere la vita, sempre e comunque, e considerare la morte come inevitabile effetto collaterale. Vivere la vita assaporando ogni singolo istante nella certezza della sua provvisorietà, della sua unicità. Vivere la vita nel rispetto della dualità di ogni umano essere (animale ed essere pensante) e battersi contro ogni forma di egoismo e sopruso, contro ogni forma di condizionamento mentale che abbia come scopo la sopraffazione e il dominio sugli altri.

Non credo in alcuna religione. Non credo in nessun partito politico. Credo nel rispetto. Credo nella ricerca del piacere consapevole. Credo nel singolo. Credo nelle piccole azioni quotidiane degli uomini che sconvolgono il Moloch del pensiero unico.

Credo in me stesso.

Forse.

giovedì 15 dicembre 2005

Podere al popolo

“Ho letto che da voi presto tutti avranno casa dallo Stato. Interessante o divertente?”: quando anche gli svedesi accendono un dibattito su un tema infuocato. Fuoco di sant’Elmo di una demagogia strisciante o forse solo un fuoco fatuo di un amore per l’edilizia del nostro primo ministro mai davvero sopito? Difficile rispondere al mio amico Giulio, l’autore del messaggio d’apertura. Soprattutto se il detto Giulio ha deciso di volare verso nordiche lande e di congelare le proprie certezze di cittadino nel confortante abbraccio di uno stato sociale efficiente e moderno come quello svedese, decidendo significativamente di nascondersi dietro un meno caratterizzante Julian – bravo Giulio, meglio non ricordare a chi ti sta accanto il paese da cui provieni, potrebbero ricordarsi anche da chi è governato e riderti dietro fino alla fine dei tempi.

Ad ogni modo, per cercare di rispondere almeno qualcosa: deprimente, caro Giulio, deprimente. Perché questo rappresenta l’ennesimo disperato tentativo del Cavaliere Nero di tenere in pugno i brandelli di una Repubblica assassinata da una devolution terrificante, l’ennesimo spot pre-elettorale che cerca di raschiare la pentola dei voti già abbondantemente rimestata dall’affossamento del maggioritario. Mentre da un lato si promettono fumosamente alloggi a chi casa non ha ed incentivi sul primo figlio, dall’altro si regala l’Ici a tutti gli immobili di proprietà delle Chiese cercando in tal modo di accattivarsi le simpatie dei neocon italiani – con un regalino di circa 700 milioni di euro secondo l’Anci – e si tagliano dalla Finanziaria quasi un miliardo e mezzo di euro (1,485 secondo un rapporto Cer) destinati agli enti locali, a cui devono essere aggiunti altri 504 milioni di euro promessi dal governo e mai arrivati. È chiaro che si preferiscono tagliare i finanziamenti agli enti locali piuttosto che a quelli di carattere nazionale: “a pensar male si fa peccato, però spesso ci s’indovina” diceva il Gobbo di No-3 Dame Giulietto Andreotti – adoro questa frase. Dopo diversi disastri elettorali la Casa delle “Libertà” ha perso terreno, costretta in molti casi a cedere le leve del potere all’odiata opposizione, che si trova così a reggere un gran numero di città, province, e regioni… Poco importa se i finanziamenti vengono tagliati a monte: nell’immaginario collettivo si è portati naturalmente a dare la colpa a chi ci sta più vicino, magari a chi si aveva votato sperando in un cambiamento…

Ma cerchiamo di capire meglio quest’ultima trovata giullaresca della “casa per tutti”. Il consigliere economico dell’Unto di Arcore, Renato Brunetta, ci informa prontamente sull’esistenza di un doppio piano: vendita di circa ottocentomila case popolari e costruzione di nuovi edifici. Non prenderemo nemmeno in considerazione la scempiaggine demagogica delle nuove case, visto che dai 34.000 alloggi costruiti nel 1998 si è passati ai 1.900 del 2004 (dati Anci), ma ci soffermeremo sul resto. Secondo Brunetta si potrebbero vendere circa ottocentomila case popolari ai rispettivi inquilini, dimenticando due elementi di una certa importanza. Il primo è di natura legislativa, e cioè che le case appartengono alle Regioni, il secondo è legato semplicemente al buonsenso: solitamente chi abita una casa popolare è perché non può permettersi l’acquisto – e in alcuni casi nemmeno l’affitto – di una casa propria… E allora perché vendere a chi non può o semplicemente non vuole comprare? Ci viene in soccorso una citazione del Divino Silvio tratta dal suo discorso all’assemblea degli edili dell’estate scorsa: “Il degrado delle case popolari è inaccettabile […] A questo punto, chi vorrà potrà comprarle a prezzo congruo, ma dovrà pagare anche la ristrutturazione e il recupero non solo delle case, ma degli interi quartieri”. Non so a voi, ma a me questo sembra un discorso di chi vuole scrollarsi di dosso il peso della manutenzione e della riqualificazione delle periferie piuttosto che una crociata in difesa di chi non possiede un tetto che gli copra la testa. Così non solo si vogliono mantenere quegli spazi di negazione della vita associata e di ogni possibilità che sono le periferie (vedi la Francia di questi giorni), ma si caricano sul groppone dei suoi abitanti le spese per la riqualificazione e per la ristrutturazione: dimenticando forse – o cercando di far dimenticare alla gente – che questo stesso governo neo-palazzinaro ha riportato l’Iva sulla ristrutturazione degli immobili al 20%, mentre prima si attestava al 10%.

Ma dimentichiamo per un attimo che almeno il 40% degli immobili italiani ha più di quarant’anni (dati Anci) e che necessita di una ristrutturazione, dimentichiamo che le tasche degli italiani sono talmente vuote che l’acquisto di una casa viene considerato una fata Morgana. Siamo ottimisti per un attimo. L’ottimismo è il profumo della vita, no? Allora vi sposate (matrimonio in chiesa mi raccomando, secondo tutti i crismi, perché se poi morite in guerra la vostra compagna non può ricevere nemmeno la pallida consolazione di una medaglia al valore), ed avete la fortuna di lavorare, entrambi inseriti come un cuneo in un mobile tarlato in uno di questi lavori flessibili che tanto piacciono al nostro governo: decidete di accendere un mutuo per l’acquisto del vostro nido d’amore e vi recate alla vostra banca di fiducia – per quanto si possa avere fiducia di una banca. Sappiate che nella quasi totalità dei casi il direttore vi considererà poco meno che straccioni e respingerà la vostra richiesta dicendo che ci vogliono garanzie serie, altro che lavoretti precari con contratti a termine…

Case per tutti i poveri. Ma si degnasse questo Stato (che indico con la maiuscola solo per esigenze grammaticali) di rendere abitabili quelle case popolari che ha già costruito: lo squallore di quartieri come Librino a Catania o lo Zen di Palermo la dice lunga sulla presenza dello Stato da quelle parti. Illuminante il caso dello Zen: in questo quartiere non esistono né energia elettrica né acqua né impianti fognari – e stiamo parlando di un quartiere costruito ad hoc in cui vivono non so quante centinaia di famiglie. Ma la mafia, e nello specifico la cosca dei Lo Piccolo, allacciando e gestendo dei collegamenti abusivi si era sostituita allo Stato fornendo un servizio più che efficiente ad un costo accessibile anche alla famiglia più povera (10-15 euro al mese). Poi lo Stato è intervenuto per far sentire la sua presenza e ha rimosso i collegamenti abusivi senza fornirne – chiaramente! – alcuno in sostituzione, e ha lasciato tutte queste famiglie al buio, senza acqua né servizi igienici… Mettetevi al posto di quelle persone: per chi avreste parteggiato? Per un leviatano sconosciuto che non vi aveva mai garantito quei servizi minimi che dovrebbero esistere in un paese civile, o per un’organizzazione pur illegale, ma che vi aveva dato la possibilità di un’esistenza dignitosa?

Perciò la smettano di prenderci in giro i burattinai di turno con le loro politiche palazzinare in favore dei più deboli e facciano degli interventi reali, perché le nostre periferie sono una bomba innescata che aspetta solo di esplodere. Fossi in voi non parcheggerei la vostra auto fuori, di notte: il giorno dopo potreste trovare solo un mucchio di cenere e lamiere. Parigi insegna.


PS: questo articolo era stato pubblicato sulle pagine del glorioso Erroneo nella rubrica "La colonna infame". Impossibile stabilire la data esatta (prima metà del 2005 circa)

mercoledì 14 dicembre 2005

Gettoni perduti

È inutile recriminare. Sapevamo tutti che sarebbe finita così… Che strano paese gli Stati Uniti. Candidare un uomo per quattro volte al Nobel per la letteratura e cinque al Nobel per la pace, lodarlo “per avere dimostrato, attraverso molteplici opere di bene dietro le sbarre, il carattere eccezionale dell'America” (cito Bush) e poi ucciderlo attraverso la giustizia di Stato. Stanley “Tookie” Williams è morto il 13 dicembre nel carcere di San Quintino, a San Francisco. Non aggiungerò alle tante litanie abolizioniste la mia: non ritengo di essere capace di una difesa più accorata, più decisa, più convincente delle altre, di certo più autorevoli. Anche perché ho talvolta la perfida impressione che la gente difenda il diritto alla vita perché trendy e non perché convinta della barbarie di un omicidio legalizzato.


Difendiamo Caino ma non dimentichiamo i diritti di Abele.


Tookie non era un santo. Era stato il capo dei Crips, una delle più famigerate street gang che l’America ricordi: era giusto che pagasse per i suoi crimini… Non con la vita. Vendetta non è giustizia e nessuno riuscirà a convincermi che tale può essere considerata l’istintualità di un omicidio. Non aveva mai chiesto perdono per gli omicidi di cui era accusato, è vero: ma chi si dichiara innocente non può chiedere perdono per un atto che non ha commesso.


Non era forse cambiato? Non aveva forse rinnegato il suo passato? Non aveva forse dimostrato che la suprema stronzata del “recupero sociale” ottenibile dalla repressione carceraria può talora avvenire? Sì, lo aveva dimostrato. Ma la gente ha bisogno d’illudersi che la giustizia funzioni, e tutto ciò che vuole vedere è il cadavere del cattivo di turno, nemesi della società, riflesso nello specchio della medesima società malata, incapace di comprendere i reali motivi della propria malattia.

Indegni di considerazione #2

Premesso che non capisco quale piacere si possa provare nel vedere ventidue uomini che corrono in mutande su un prato rincorrendo una palla, dirò che questo post parlerà di idioti #2 (vedi il post sottostante). Domenica scorsa Paolo di Canio, durante l'incontro di calcio Livorno - Lazio ha osannato il suo pubblico con un terrificante saluto romano.

"Non ce la faccio a non salutare così: saluterò sempre come ho fatto ieri, perché è un senso di appartenenza al mio popolo": ha dichiarato ieri il pallonaro intervenendo in diretta a RadioSpazioAperto, una radio di Roma. Lodevole dichiarare un simile attaccamento alle tradizioni e alla propria gente. Come segno di appartenenza al proprio popolo invito dunque:

1) Gli spartani a buttare dalla rupe Tarpea tutti i portatori di handicap della città;
2) I discendenti della famiglia Giulio-Claudia ad incendiare periodicamente Roma e ad uccidere i cristiani al Colosseo;
3) I cattolici ad affilare le macchine della tortura per i nuovi processi della Santa Inquisizione;
4) Gli americani ad uccidere tutti gli indiani;
5) Gli spagnoli ad importare schiavi nel Nord America;
6) I tedeschi a riaccendere i forni crematori;
7) Devo ancora continuare?

Essere legati alle tradizioni non significa accettarle acriticamente in nome di una continuità storica - solo gli imbecilli agiscono in siffatto modo - ma comprendere le ragioni che spingevano i nostri predecessori ad azioni simili e avere il coraggio di rifiutarle, qualora la Storia (quella maiuscola, non le storielle che ci raccontano tutti i giorni i media) abbia già dato il suo responso negativo.

Dal canto suo, un uomo che sarebbe pure simpatico se non si ostinasse a fare il politico, La Russa, ha affermato: "Ognuno saluti come vuole... Non mi pare sia un gesto violento, e non c'è nulla di drammatico. Se poi è vietato dai regolamenti lo puniscano, ma non facciamone un dramma". Caro il mio La Russa, mi rendo conto che certe tradizioni democratiche sono difficili da digerire, ma un regolamento che vieta atti simili esiste. E si chiama Costituzione Italiana. Nella XII disposizione transitoria si dice testualmente: "E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista". Ed esiste anche una legge, la 645/52 - conosciuta come legge Scelba - che punisce duramente l'apologia del fascismo. Legge che di tanto in tanto qualche giudice potrebbe ricordarsi di applicare, sia per gesti scandalosi come quello di Di Canio, sia per formazioni chiaramente anti-costituzionali come Forza Nuova.

lunedì 12 dicembre 2005

Indegni di considerazione #1

Nella notte tra sabato e domenica un autobus viene colpito, fortunatamente senza alcuna conseguenza, da un sasso lanciato da un cavalcavia all'altezza di Ancona, sull'A14. Certo non perderò il mio tempo né lo farò perdere a voi per parlare di un gruppo (presumibilmente) di idioti che non ha null'altro di meglio da fare che giocare in maniera così stupida con la vita di un essere umano: se ne avete tanta voglia entrate nell'esercito, andate in Iraq... Così torturate chi volete, oh scusate! solo quelli che non rispondono alla definizione di "combattente", così magari riuscite ad aggiungere qualche altro teschietto ai 30.000 iracheni morti dall'inizio della guerra secondo Giorgino Bush (ANSA, 18:27, 12/12/05): chissà magari siamo così fortunati che ci restate secchi... Selezione naturale.

Ah, quel "presumibilmente" si riferisce a gruppo, non a "idioti". Quelli che lanciano sassi sono sicuramente degli idioti.

sabato 10 dicembre 2005

E Pippo Pippo non lo sa

Eppure dovrei essermi abituato al fatto che in Italia non esiste una classe politica degna di questo nome. Decaduta ogni speranza di accettare passivamente un telegiornale a causa del solito sciopero di categoria, venerdì scorso, come spesso accade, sono uscito a comprare una selva oscura di giornali. Spreco d’inchiostri e cellulosa nonché di ossigeno e tempo, ne sfoglio uno dei tanti, alla vana ricerca di un articolo interessante che non sia cronachetta, puro pettegolezzo o rifrittume di già letto e ascoltato altrove fino a quando un occhiello non aggancia, incredulo, i miei occhiali. “L’Unione chiede a Pippo Baudo di candidarsi alla presidenza della Sicilia contro Totò Cuffaro”.

Cosa?

Passa qualche secondo prima che le mie sinapsi riescano a connettersi tra loro e farmi comprendere una simile sciagura. Pippo Baudo? In principio spero in un caso di omonimia, poi rifletto sullo stato dello Stato in Italia e comincio a disperarmi. Lo spettacolo della politica – di per sé deprimente – è diventato politica spettacolo. Idea del deputato Dl Sergio d’Antoni, al quale era stata già scippata la fiaccola per la corsa alla presidenza della nostra isola: credevo dunque si trattasse di una vendetta personale, un atto da kamikaze per mettere alla berlina il centro sinistra siciliano. Peccato che fosse serio. Così come seri erano stati Romano Prodi e Francesco Rutelli, che avevano chiesto ufficialmente a Baudo di candidarsi contro Totò Cuffaro.

Non ho nulla contro Pippo Baudo come essere umano, anzi mi dicono che nel pollaio televisivo occupa ancora degnamente il suo posto di gallo cedrone pronto a rimbambire le menti, neppure tanto sveglie, di molti italiani. Ma candidarlo… Per fortuna questo essere mitologico metà uomo metà festival di Sanremo ha declinato gentilmente l’offerta dicendo che al mestiere di presentato preferisce quello di presentatore. Non è dietrologia questa, perché anche se Baudo ha declinato, una richiesta simile da parte del centro-sinistra siciliano è indice di un profondo malessere e di una mancanza di coesione interna. Sì, d’accordo. L’intenzione era quella di offrire agli elettori un candidato moderato, ex-democristiano – sia detto per inciso, ma non erano di sinistra? –, una faccia conosciuta e rassicurante che blatera elegantemente incravattato tutte le domeniche dentro la scatola magica, che ha i tuoi stessi limiti e le tue stesse ipocrisie, infine che usa il tuo stesso linguaggio – anche se in realtà accade il contrario, e cioè che l’italiano piatto e scialbo che parli lo hai imparato dalla televisione.

Come Fernando Poe nelle Filippine, Schwarzenegger in California, e prima ancora Reagan alla presidenza degli Stati Uniti, George Weah in Liberia, la proposta di nomina a senatore a vita per Mike Bongiorno, la Carlucci deputato, la Ferilli testimonial per il referendum sulla procreazione assistita, Flavia Vento margheritina, Ombretta Colli in Lombardia, così Pippo Baudo in Sicilia: l’operazione di marketing politico era più che giustificata da altri – se non alti – precedenti, ma… Forse il mio è anti-modernismo piccato, forse preziosismo d’antan diventato ormai preistoria antropologica, ma la politica non si dovrebbe fare con i programmi? Non si dovrebbe presentare ai possibili elettori un programma con una serie di punti da sviluppare che riguardino sanità, istruzione, previdenza sociale ed altro ancora, magari una soluzione alla nuova povertà che in Italia sta avanzando paurosamente (una famiglia su quattro al Sud non arriva ai 700 euro al mese, secondo l’Istat)?

Esiste poi un’ultima ragione che potrebbe far comprendere meglio questa proposta di candidatura: l’uomo comune tende ad identificarsi nel personaggio dello spettacolo. Viviamo in una società in cui l’homo sapiens sapiens è stato sterminato dall’homo televidens, che filtra non solo le immagini della società di cui fa parte, ma anche il proprio vissuto attraverso la televisione. Per anni il personaggio televisivo è stato inavvicinabile, animale prezioso rinchiuso nel suo scintillante habitat innaturale fatto di paillettes e lustrini, quasi divinizzato dalla gente pur invidiosa per quella cittadinanza nel paese del Bengodi così tanto ostentata: potevi apprezzarne la sua affabilità, la spontaneità e la disponibilità, ma non certo identificarti in quella vita mondana e lontana diversi anni luce da una quotidianità fatta di figli da crescere e bollette da pagare. Poi…

Credo che in Italia tutto sia cominciato con Mike Bongiorno e le sue telepromozioni. Pubblicizzando prodotti che lui stesso diceva di aver provato poneva se stesso e la propria famiglia al medesimo livello delle famiglie italiane che seguivano i suoi quiz terrifici: champagne e feste chic erano affiancati – se non sostituiti – da pannolini e lavatrici. Questo processo di progressiva identificazione arriva fino ad oggi, tempo di fiction, info-tainment e reality show, in cui il personaggio televisivo viene apparentemente denudato di ogni sua specificità e mostrato in una falsa visione di quotidianità e normalità – la persona famosa diventa simile a noi: ecco il processo di identificazione.

Esiste poi un altro tipo di identificazione, quello della persona con il personaggio da lui interpretato: come Schwarzenegger è l’eroe che punisce i cattivi, così Baudo è da anni l’icona del padre di famiglia, del marito fedele e del cattolico fervente. Considerando questa doppia perversa identificazione si capiscono quali motivi possano aver spinto i sinistri siciliani a proporre Baudo come candidato. Ma una simile proposta è anche un’ammissione di sconfitta, come a dire, “siamo alle corde, abbiamo bisogno di un tizio famoso per raccattare il maggior numero possibile di voti”. È una idea malsana di questi ultimi anni che la politica si faccia con l’immagine, con il simbolo e con i personaggi televisivi: l’ha importata Berlusconi dagli Stati Uniti e la sinistra italiana ha deciso che per vincere le elezioni doveva copiare in tutto e per tutto non solo l’immaginario che sta dietro a Forza Italia e ai suoi accoliti, ma anche il programma. Con un triplice, deleterio risultato: la perdita delle elezioni, la perdita della fiducia della gente ed infine la perdita della propria identità. La sinistra italiana ha perso il coraggio e la capacità di dialogare con la gente: non è un caso se la maggior parte delle persone di sinistra appartenga alla categoria, questa sì davvero sinistra, degli “intellettuali”. Dove sono andati a finire gli operai, i contadini, i pensionati, gli sfruttati e i malpagati? Unica sola possibile risposta: ad ingrossare le file degli elettori di destra, di una destra rozza e populista, che dice alla gente ciò che vuole sentirsi dire, che propone delle sicurezze che la gente va cercando (tra il proporre e il garantire passa una bella differenza, epperó), che non prova alcuna vergogna a piegare e piagare la verità riducendola a poltiglia premasticata da ingoiare senza troppe difficoltà…

In questi giorni la maggioranza di governo sta facendo passare una legge elettorale che taglia le gambe alla nostra meravigliosa democrazia del migliore dei mondi possibili, e la sinistra che fa? Poiché questa è una legge ingiusta, aberrante eccetera eccetera… si astiene, non vota! Come se cercassero di uccidere vostra madre e voi per evitare un atto simile rimarreste a braccia conserte perché questo è un atto non vi appartiene. Dove sono finite le lotte a fianco della gente, per la gente? Cari diessini e pseudocompagnetti, non si può battere un tizio che possiede un impero mediatico copiandolo in tutto e per tutto o candidando un personaggio televisivo contro il suo signorotto di uno dei suoi feudi più forti: Berlusconi e camerati vanno cacciati facendo riacquistare fiducia alla gente, presentando un programma per la gente e non per Confindustria, parlando in maniera semplice, chiara e diretta alla gente e facendo capire che razza di puttanate questi quattro balordi neocon stanno combinando – e i discorsi eleganti ed arzigogolati del Parolaio rosso teniamoli per gli studentelli con la kefia che fanno tanto gli alternativi. La destra italiana mi fa paura, la sinistra ormai mi fa ridere (anche se dovrei piangere): il fatto è che non mi sento rappresentato da nessuno in questa mandria di conquistadores del potere, e ciò mi fa girare nettamente… beh, avete capito cosa.

Solo un uomo sembra ormai rappresentarmi, con il suo pensiero e la sua concretezza, un uomo che non cercò mai una poltrona ma che seppe fare della sua vita un’unica azione coerente: Camillo Berneri. Ucciso dai sicari di Stalin durante la guerra civile spagnola… Ma questa è un’altra storia.


PS: questo articolo era stato pubblicato sulle pagine del glorioso Erroneo nella rubrica "La colonna infame". Impossibile stabilire la data esatta (seconda metà del 2005 circa)

Cavour e il binario morto

ovvero di granite al limone e Fecce del Sud

Raccontano la loro vita due vecchi immigrati al “Nodd” davanti ad una granita di limone in un baretto scalcagnato. Vivono a Milano da quasi cinquant’anni, ma l’accento tradisce ancora i natali di una terra maledetta: in vacanza, a curare i loro interessi residui a Modica, la loro vera città. Tornati in treno come un tempo erano partiti in cerca di fortuna, carichi di sporte e sportarelle, appesantiti da un basto invisibile in quegli anni ’50 gravidi di speranza e guerre fredde: allora come adesso, la Freccia del Sud, oggi come ieri indignati per il trattamento vergognoso a cui sono stati sottoposti. Cavour era morto da un pezzo quando in Sicilia furono tracciati i primi percorsi delle strade ferrate, preludio di un ammodernamento della regione, unica possibile conseguenza all’Unità da poco raggiunta…

Fortuna che siamo fatalisti. Altrimenti qualcuno si sarebbe almeno indignato alla vista delle pulcinellesche pubblicità ultrapatinate di “TrenItalia” che promettono viaggi confortevoli su treni degni da Star Trek, in cui uomini e donne affascinanti decidono della propria vita tra una tartina di caviale Beluga e una hostess impeccabile. Siamo nel 2004, vi ricordo… Dove sono i nostri treni d’anteguerra, le Fecce del Sud, gli scompartimenti vecchi e luridi con le poltroncine sfatte in finta pelle, le foto ingiallite sulle spalliere le cuccette a sei posti, i bagni puzzolenti con il preistorico scarico a terra, i carri-bestiame stipati fino all’inverosimile che giornalmente percorrono le malandate linee del Sud, poche linee moderne a petto delle decine di binari unici?

Ogni giorno dalla Sicilia si muovono dieci treni a lunga percorrenza: due treni espressi da e per Torino (20 ore di viaggio fino a Catania se tutto va bene), due espressi da e per Milano (19 ore fino a Catania per grazia di qualche divinità ferroviaria), un espresso da e per Venezia (20 ore canoniche fino a Catania) ed infine cinque treni per Roma, due espressi e tre intercity: con l’espresso in appena 12 ore si arriva a Catania, mentre con il velocissimo intercity ne bastano 11 ma per una sola ora guadagnata si dovrà pagare un supplemento che graverà per almeno 1\5 sul costo del biglietto ordinario. Se per sorte un viaggiatore sprovveduto decide poi di proseguire imperterrito per la propria destinazione in un paesino dell’interno si aspetti trenini da Far West, soste improvvise sotto un sole tiranno, stazioni dirute del periodo post-bellico, tempi di percorrenza apocalittici – e ringrazi se il treno ha i finestrini sbloccati, l’aria condizionata è ancora un privilegio di poche carrozze… In Sicilia arrancano ancora sbuffando gasolio mal combusto le venerande littorine – un presentino di Benito Mussolini –, queste pazienti littorine che attendono ore ed ore in mezzo al deserto davanti ad un semaforo rosso – binario unico, non dimenticate! –, che attendono un altro brado carapace metallico sopravvenire sulla striscia di ferro carico di gente inferocita e disillusa.

Se poi deciderete per puro masochismo di raggiungere un’altra città siciliana con la ferrovia manifesterete al mondo di essere stati tra gli ultimi beneficiari della legge Basaglia. Di seguito alcuni ameni calcoli chilometrici condotti a partire dalla mia città, Modica, e realizzati con l’ausilio del sito di TrenItalia per la parte ferroviaria e il software “Androute” per le distanze su strada. Modica – Messina, circa 230 chilometri si percorrono in macchina in tre, quattro ore al massimo mentre in treno occorreranno fra le 5.14 e le 5.44 ore; se invece decidete di raggiungere il capoluogo (Modica – Palermo, 260 km circa) resterete chiusi in macchina al massimo quattro ore e mezza, mentre con il treno potrete scrivere nel frattempo un abbozzo di autobiografia, essendo dichiarata dalle stesse F.S. una durata del viaggio compresa tra le 8.24 e le 12 ore. Non va meglio se un modicano pone come meta il centro della Sicilia, Enna nella fattispecie: 140 chilometri in macchina si percorrono (s)comodamente in due ore e tre quarti, mentre la gloriosa littorina raggiungerà il cuore della Sicilia in non meno di dodici ore e mezza. Infine, last and least, se la vostra schizofrenia ha raggiunto livelli incontrollabili, recatevi a Trapani: 330 chilometri circa per cinque asfissianti ore di macchina, o le impensabili, insultanti, assurde, ridicole dodici - diciotto ore con il treno.

Le ferrovie siciliane sono un albero secco, inutile ormai da innaffiare con i contributi statali – solo quel tanto che basta perché si chiuda qualche occhio sulla spaventosa condizione della rete. Consideriamo poi l’onda lunga del liberismo che ha colpito anche le ferrovie: Trenitalia S.p.a. preferisce rendere conto solo agli azionisti, investendo dove maggiori sono i ricavi e minori i rischi e i costi di gestione - chiaramente si è preferito migliorare i collegamenti fra i grandi centri industriali del nord piuttosto che creare (tout court) dei collegamenti reali al sud. Non dimentichiamo poi la politica e gli interessi dei singoli a scapito della collettività. Si potrebbe citare il ministro dei trasporti Lunardi (quello del “dovremo convivere con la mafia“ per intenderci) il quale gestisce, a nome della moglie e dei figli, la società Rocksoil, che ha fornito la propria consulenza e assistenza al consorzio Cavet per il progetto alta velocità Bologna-Firenze, ma anche gli interessi del nostro governo regionale (e di alcuni dei suoi membri) che soprattutto nell’ultimo decennio ha voluto favorire il trasporto su gomma. Costruire strade e autostrade è molto più conveniente se qualcuno riesce a controllare e gestire gli appalti delle opere pubbliche, e ridurre la concorrenza risulta essere molto più vantaggioso se si è proprietari di una società di autotrasporti – si uccide senza tanti complimenti la rete ferroviaria e si conducono taciti accordi con le compagnie di trasporto privato in modo tale che né l’una né le altre risultino lese nei propri interessi.

Si capisce perciò l’origine di disastri come quello di Rometta Marea (Me), che il 20 luglio del 2002 causò la morte di otto persone e il ferimento di quarantasette altre. Proprio in questi giorni la Procura di Messina ha concluso l’indagine preliminare che ha portato al rinvio a giudizio di cinque persone per i reati di disastro ferroviario e omicidio colposo plurimo: Oscar Esposito, responsabile dell’impresa di Caserta che eseguì i lavori di manutenzione per quel tratto di linea ferroviaria, Carmelo D’Arrigo, tecnico del tronco Fs di Milazzo, Roberto Giannetto, ispettore capo Fs dell’ufficio territoriale di Catania, Salvatore Scaffidi, responsabile del tronco lavori Fs di Milazzo, e Filippo Bardaro, capo settore tecnico Fs della zona di Messina. Un giunto difettoso la causa del disastro, forse anche una massicciata poco solida: meraviglia solo che una simile strage non sia accaduta prima, considerando che la linea risale al 1890. E considerando che tutti i lavori di manutenzione della rete ferroviaria in Sicilia, 1.449 chilometri di binari scassati, sono stati affidati ad un consorzio di sole cinque, piccole imprese: due di Caserta, due di Palermo e una di Corleone, la “Lavorfer”, amministrata da Stefano Alfano, nipote del boss di Bagheria Michelangelo Alfano…

I resti disciolti della granita languono nel bicchiere: il vecchietto, dopo interminabili ed intricatissimi aneddoti meneghini si concede una pausa e sprofonda nella lettura di un quotidiano. La moglie si volta verso di me – ha ancora gli occhi speranzosi di una scolaretta – e mi dice di voler vivere tanto ancora da poter attraversare con il treno il ponte sullo Stretto di Messina; il marito la ignora, preoccupato com’è nel magnificare ad alta voce i pregi della prima (in realtà seconda) portaerei italiana, la Cavour. La venerazione per lo stupido e demagogico gigantismo dello Stato italiano soffoca in entrambi l’indignazione per il viaggio patito, la venerazione e l’estasi diventa totale. L’accento siciliano diventa più marcato… Sono emigrati troppo tardi, quando ormai l’inerzia vittimista della Sicilia aveva avvelenato la loro anima, fatto marcire i loro cuori.


PS: questo articolo era stato pubblicato sulle pagine del glorioso Erroneo nella rubrica "La colonna infame". Impossibile stabilire la data (2003 - 2004 circa)

Puttane

Ritorno a casa in macchina dopo una breve permanenza a Catania, la città in cui mi trovo costretto ad abitare per motivi di studio. Decido di abbandonare la litoranea in favore di una strada meno trafficata, ormai nota alla maggior parte delle persone come la strada delle prostitute. Nemmeno i cari vecchi Zep ascoltati a volume assordante riescono a distogliere la mia attenzione e a lenire la mia angoscia nei confronti di quelle ragazze. D’estate, quando il sole brucia i corpi e abbrutisce la mente, o d’inverno, con non più di dieci gradi in perizoma e poco più, loro stanno sempre lì, a battere sotto l’occhio attento – e nemmeno troppo nascosto – dei loro protettori.

Qualcuna fa un cenno svogliato con la mano cercando di attirare l’attenzione, altre stanno sedute con lo sguardo perso. Ragazzine ancora acerbe e donne dai corpi esplosivi, bianche e di colore, delicate e volgari: bambole di carne in attesa della prossima bestia che affitterà il loro corpo per una manciata di euro. È vero che ogni donna può usare il proprio corpo liberamente e fare con esso tutto quello che crede…

Ma queste donne non sono libere.

Ed è doloroso vedere una pattuglia di polizia che piazza il proprio autovelox a pochi passi da quelle ragazze ignorando le macchine dei protettori che passano e spassano. Competenze differenti, certo. Però se mi fossi fermato a spaccare l’autovelox sul cofano della gazzella sarei stato sicuramente arrestato per aver distrutto un bene dello Stato. Probabilmente non gliene frega niente… Tanto, sono solo quattro puttane.

giovedì 8 dicembre 2005

In morte di uno sciocco

Mark Chapman uccideva l'otto dicembre di 25 anni fa John Lennon. Odio le ricorrenze, perché danno un tono irreale agli eventi e perché ufficializzano e compattano un dolore di circostanza in un unico giorno. Così ce lo togliamo di mezzo e non se ne parla più, giusto? John Lennon moriva venticinque anni fa portando con sè l'idea di un mondo diverso, senza guerre né nazioni, senza religioni né lotte per il potere...

Un sognatore, certo. Uno sciocco.

Perché il mondo da allora è andato nella direzione totalmente opposta: la dignità umana violentata e calpestata, un potere sempre più capillare e pericoloso (Orwell era un genio), ed infine un'economia di oligarchi che soffoca e impoverisce il resto del mondo.

John, non avevi capito proprio nulla dell'essere umano e della sua bestialità... Ci hai resi dei disadattati, incapaci di accettare - o fors'anche di comprendere - un mondo storto, condannati a vivere la cupezza della legge del più forte, attaccati ad una speranza che si rivela ogni giorno sempre più lontana ed utopica. E questo caro John io non te l'ho mai perdonato.

above us only sky...

Perché la Luna

Catturare la Luna e raggiungerla, in un misto tra idealismo e follia, a recuperare il senno perduto per averla troppo a lungo cercata. Amica di randagi e puttane, consolatrice di ubriachi ed amanti, cattiva maestra d'insonni e poeti. Come una zattera alla deriva in un oceano di cielo condividerne il percorso, coprirla con una coperta ricamata di stelle a consolarla, in attesa che il despota sole, tiranno di una verità sola ed accecante, decida di abbandonare - anche se per poco - il suo trono.

La Luna. Patria di folli e sognatori, cittadini apolidi di un mondo sempre più corrotto dallo scintillio del denaro e da un'avidità bavosa di produttività e scadenze da rispettare. E allora tornare all'indistinto, sfumare nel nulla, percepire attraverso l'oscurità di una notte le ragioni di una luce riflessa e rimanerne fatalmente ammaliato. La Luna, per dire che il mondo sembra bianco o nero ma basta fermarsi ad osservare per scoprire un'immensa tavolozza di ombre, uniche e sfuggenti come ogni esistenza. La Luna. Respirare la sua polvere, ascoltare la sua voce.

La voce della Luna.

Non riesco a vederla, ma so che c'è, accompagnata ormai da Venere traditrice, pronta ad essere spodestata. La Luna. Che sorride - o forse deride - i nostri patetici tentativi di comprendere il suo fascino e il suo mistero.

Buonanotte a tutti, benvenuti!