sabato 10 dicembre 2005

Cavour e il binario morto

ovvero di granite al limone e Fecce del Sud

Raccontano la loro vita due vecchi immigrati al “Nodd” davanti ad una granita di limone in un baretto scalcagnato. Vivono a Milano da quasi cinquant’anni, ma l’accento tradisce ancora i natali di una terra maledetta: in vacanza, a curare i loro interessi residui a Modica, la loro vera città. Tornati in treno come un tempo erano partiti in cerca di fortuna, carichi di sporte e sportarelle, appesantiti da un basto invisibile in quegli anni ’50 gravidi di speranza e guerre fredde: allora come adesso, la Freccia del Sud, oggi come ieri indignati per il trattamento vergognoso a cui sono stati sottoposti. Cavour era morto da un pezzo quando in Sicilia furono tracciati i primi percorsi delle strade ferrate, preludio di un ammodernamento della regione, unica possibile conseguenza all’Unità da poco raggiunta…

Fortuna che siamo fatalisti. Altrimenti qualcuno si sarebbe almeno indignato alla vista delle pulcinellesche pubblicità ultrapatinate di “TrenItalia” che promettono viaggi confortevoli su treni degni da Star Trek, in cui uomini e donne affascinanti decidono della propria vita tra una tartina di caviale Beluga e una hostess impeccabile. Siamo nel 2004, vi ricordo… Dove sono i nostri treni d’anteguerra, le Fecce del Sud, gli scompartimenti vecchi e luridi con le poltroncine sfatte in finta pelle, le foto ingiallite sulle spalliere le cuccette a sei posti, i bagni puzzolenti con il preistorico scarico a terra, i carri-bestiame stipati fino all’inverosimile che giornalmente percorrono le malandate linee del Sud, poche linee moderne a petto delle decine di binari unici?

Ogni giorno dalla Sicilia si muovono dieci treni a lunga percorrenza: due treni espressi da e per Torino (20 ore di viaggio fino a Catania se tutto va bene), due espressi da e per Milano (19 ore fino a Catania per grazia di qualche divinità ferroviaria), un espresso da e per Venezia (20 ore canoniche fino a Catania) ed infine cinque treni per Roma, due espressi e tre intercity: con l’espresso in appena 12 ore si arriva a Catania, mentre con il velocissimo intercity ne bastano 11 ma per una sola ora guadagnata si dovrà pagare un supplemento che graverà per almeno 1\5 sul costo del biglietto ordinario. Se per sorte un viaggiatore sprovveduto decide poi di proseguire imperterrito per la propria destinazione in un paesino dell’interno si aspetti trenini da Far West, soste improvvise sotto un sole tiranno, stazioni dirute del periodo post-bellico, tempi di percorrenza apocalittici – e ringrazi se il treno ha i finestrini sbloccati, l’aria condizionata è ancora un privilegio di poche carrozze… In Sicilia arrancano ancora sbuffando gasolio mal combusto le venerande littorine – un presentino di Benito Mussolini –, queste pazienti littorine che attendono ore ed ore in mezzo al deserto davanti ad un semaforo rosso – binario unico, non dimenticate! –, che attendono un altro brado carapace metallico sopravvenire sulla striscia di ferro carico di gente inferocita e disillusa.

Se poi deciderete per puro masochismo di raggiungere un’altra città siciliana con la ferrovia manifesterete al mondo di essere stati tra gli ultimi beneficiari della legge Basaglia. Di seguito alcuni ameni calcoli chilometrici condotti a partire dalla mia città, Modica, e realizzati con l’ausilio del sito di TrenItalia per la parte ferroviaria e il software “Androute” per le distanze su strada. Modica – Messina, circa 230 chilometri si percorrono in macchina in tre, quattro ore al massimo mentre in treno occorreranno fra le 5.14 e le 5.44 ore; se invece decidete di raggiungere il capoluogo (Modica – Palermo, 260 km circa) resterete chiusi in macchina al massimo quattro ore e mezza, mentre con il treno potrete scrivere nel frattempo un abbozzo di autobiografia, essendo dichiarata dalle stesse F.S. una durata del viaggio compresa tra le 8.24 e le 12 ore. Non va meglio se un modicano pone come meta il centro della Sicilia, Enna nella fattispecie: 140 chilometri in macchina si percorrono (s)comodamente in due ore e tre quarti, mentre la gloriosa littorina raggiungerà il cuore della Sicilia in non meno di dodici ore e mezza. Infine, last and least, se la vostra schizofrenia ha raggiunto livelli incontrollabili, recatevi a Trapani: 330 chilometri circa per cinque asfissianti ore di macchina, o le impensabili, insultanti, assurde, ridicole dodici - diciotto ore con il treno.

Le ferrovie siciliane sono un albero secco, inutile ormai da innaffiare con i contributi statali – solo quel tanto che basta perché si chiuda qualche occhio sulla spaventosa condizione della rete. Consideriamo poi l’onda lunga del liberismo che ha colpito anche le ferrovie: Trenitalia S.p.a. preferisce rendere conto solo agli azionisti, investendo dove maggiori sono i ricavi e minori i rischi e i costi di gestione - chiaramente si è preferito migliorare i collegamenti fra i grandi centri industriali del nord piuttosto che creare (tout court) dei collegamenti reali al sud. Non dimentichiamo poi la politica e gli interessi dei singoli a scapito della collettività. Si potrebbe citare il ministro dei trasporti Lunardi (quello del “dovremo convivere con la mafia“ per intenderci) il quale gestisce, a nome della moglie e dei figli, la società Rocksoil, che ha fornito la propria consulenza e assistenza al consorzio Cavet per il progetto alta velocità Bologna-Firenze, ma anche gli interessi del nostro governo regionale (e di alcuni dei suoi membri) che soprattutto nell’ultimo decennio ha voluto favorire il trasporto su gomma. Costruire strade e autostrade è molto più conveniente se qualcuno riesce a controllare e gestire gli appalti delle opere pubbliche, e ridurre la concorrenza risulta essere molto più vantaggioso se si è proprietari di una società di autotrasporti – si uccide senza tanti complimenti la rete ferroviaria e si conducono taciti accordi con le compagnie di trasporto privato in modo tale che né l’una né le altre risultino lese nei propri interessi.

Si capisce perciò l’origine di disastri come quello di Rometta Marea (Me), che il 20 luglio del 2002 causò la morte di otto persone e il ferimento di quarantasette altre. Proprio in questi giorni la Procura di Messina ha concluso l’indagine preliminare che ha portato al rinvio a giudizio di cinque persone per i reati di disastro ferroviario e omicidio colposo plurimo: Oscar Esposito, responsabile dell’impresa di Caserta che eseguì i lavori di manutenzione per quel tratto di linea ferroviaria, Carmelo D’Arrigo, tecnico del tronco Fs di Milazzo, Roberto Giannetto, ispettore capo Fs dell’ufficio territoriale di Catania, Salvatore Scaffidi, responsabile del tronco lavori Fs di Milazzo, e Filippo Bardaro, capo settore tecnico Fs della zona di Messina. Un giunto difettoso la causa del disastro, forse anche una massicciata poco solida: meraviglia solo che una simile strage non sia accaduta prima, considerando che la linea risale al 1890. E considerando che tutti i lavori di manutenzione della rete ferroviaria in Sicilia, 1.449 chilometri di binari scassati, sono stati affidati ad un consorzio di sole cinque, piccole imprese: due di Caserta, due di Palermo e una di Corleone, la “Lavorfer”, amministrata da Stefano Alfano, nipote del boss di Bagheria Michelangelo Alfano…

I resti disciolti della granita languono nel bicchiere: il vecchietto, dopo interminabili ed intricatissimi aneddoti meneghini si concede una pausa e sprofonda nella lettura di un quotidiano. La moglie si volta verso di me – ha ancora gli occhi speranzosi di una scolaretta – e mi dice di voler vivere tanto ancora da poter attraversare con il treno il ponte sullo Stretto di Messina; il marito la ignora, preoccupato com’è nel magnificare ad alta voce i pregi della prima (in realtà seconda) portaerei italiana, la Cavour. La venerazione per lo stupido e demagogico gigantismo dello Stato italiano soffoca in entrambi l’indignazione per il viaggio patito, la venerazione e l’estasi diventa totale. L’accento siciliano diventa più marcato… Sono emigrati troppo tardi, quando ormai l’inerzia vittimista della Sicilia aveva avvelenato la loro anima, fatto marcire i loro cuori.


PS: questo articolo era stato pubblicato sulle pagine del glorioso Erroneo nella rubrica "La colonna infame". Impossibile stabilire la data (2003 - 2004 circa)

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