sabato 10 dicembre 2005

E Pippo Pippo non lo sa

Eppure dovrei essermi abituato al fatto che in Italia non esiste una classe politica degna di questo nome. Decaduta ogni speranza di accettare passivamente un telegiornale a causa del solito sciopero di categoria, venerdì scorso, come spesso accade, sono uscito a comprare una selva oscura di giornali. Spreco d’inchiostri e cellulosa nonché di ossigeno e tempo, ne sfoglio uno dei tanti, alla vana ricerca di un articolo interessante che non sia cronachetta, puro pettegolezzo o rifrittume di già letto e ascoltato altrove fino a quando un occhiello non aggancia, incredulo, i miei occhiali. “L’Unione chiede a Pippo Baudo di candidarsi alla presidenza della Sicilia contro Totò Cuffaro”.

Cosa?

Passa qualche secondo prima che le mie sinapsi riescano a connettersi tra loro e farmi comprendere una simile sciagura. Pippo Baudo? In principio spero in un caso di omonimia, poi rifletto sullo stato dello Stato in Italia e comincio a disperarmi. Lo spettacolo della politica – di per sé deprimente – è diventato politica spettacolo. Idea del deputato Dl Sergio d’Antoni, al quale era stata già scippata la fiaccola per la corsa alla presidenza della nostra isola: credevo dunque si trattasse di una vendetta personale, un atto da kamikaze per mettere alla berlina il centro sinistra siciliano. Peccato che fosse serio. Così come seri erano stati Romano Prodi e Francesco Rutelli, che avevano chiesto ufficialmente a Baudo di candidarsi contro Totò Cuffaro.

Non ho nulla contro Pippo Baudo come essere umano, anzi mi dicono che nel pollaio televisivo occupa ancora degnamente il suo posto di gallo cedrone pronto a rimbambire le menti, neppure tanto sveglie, di molti italiani. Ma candidarlo… Per fortuna questo essere mitologico metà uomo metà festival di Sanremo ha declinato gentilmente l’offerta dicendo che al mestiere di presentato preferisce quello di presentatore. Non è dietrologia questa, perché anche se Baudo ha declinato, una richiesta simile da parte del centro-sinistra siciliano è indice di un profondo malessere e di una mancanza di coesione interna. Sì, d’accordo. L’intenzione era quella di offrire agli elettori un candidato moderato, ex-democristiano – sia detto per inciso, ma non erano di sinistra? –, una faccia conosciuta e rassicurante che blatera elegantemente incravattato tutte le domeniche dentro la scatola magica, che ha i tuoi stessi limiti e le tue stesse ipocrisie, infine che usa il tuo stesso linguaggio – anche se in realtà accade il contrario, e cioè che l’italiano piatto e scialbo che parli lo hai imparato dalla televisione.

Come Fernando Poe nelle Filippine, Schwarzenegger in California, e prima ancora Reagan alla presidenza degli Stati Uniti, George Weah in Liberia, la proposta di nomina a senatore a vita per Mike Bongiorno, la Carlucci deputato, la Ferilli testimonial per il referendum sulla procreazione assistita, Flavia Vento margheritina, Ombretta Colli in Lombardia, così Pippo Baudo in Sicilia: l’operazione di marketing politico era più che giustificata da altri – se non alti – precedenti, ma… Forse il mio è anti-modernismo piccato, forse preziosismo d’antan diventato ormai preistoria antropologica, ma la politica non si dovrebbe fare con i programmi? Non si dovrebbe presentare ai possibili elettori un programma con una serie di punti da sviluppare che riguardino sanità, istruzione, previdenza sociale ed altro ancora, magari una soluzione alla nuova povertà che in Italia sta avanzando paurosamente (una famiglia su quattro al Sud non arriva ai 700 euro al mese, secondo l’Istat)?

Esiste poi un’ultima ragione che potrebbe far comprendere meglio questa proposta di candidatura: l’uomo comune tende ad identificarsi nel personaggio dello spettacolo. Viviamo in una società in cui l’homo sapiens sapiens è stato sterminato dall’homo televidens, che filtra non solo le immagini della società di cui fa parte, ma anche il proprio vissuto attraverso la televisione. Per anni il personaggio televisivo è stato inavvicinabile, animale prezioso rinchiuso nel suo scintillante habitat innaturale fatto di paillettes e lustrini, quasi divinizzato dalla gente pur invidiosa per quella cittadinanza nel paese del Bengodi così tanto ostentata: potevi apprezzarne la sua affabilità, la spontaneità e la disponibilità, ma non certo identificarti in quella vita mondana e lontana diversi anni luce da una quotidianità fatta di figli da crescere e bollette da pagare. Poi…

Credo che in Italia tutto sia cominciato con Mike Bongiorno e le sue telepromozioni. Pubblicizzando prodotti che lui stesso diceva di aver provato poneva se stesso e la propria famiglia al medesimo livello delle famiglie italiane che seguivano i suoi quiz terrifici: champagne e feste chic erano affiancati – se non sostituiti – da pannolini e lavatrici. Questo processo di progressiva identificazione arriva fino ad oggi, tempo di fiction, info-tainment e reality show, in cui il personaggio televisivo viene apparentemente denudato di ogni sua specificità e mostrato in una falsa visione di quotidianità e normalità – la persona famosa diventa simile a noi: ecco il processo di identificazione.

Esiste poi un altro tipo di identificazione, quello della persona con il personaggio da lui interpretato: come Schwarzenegger è l’eroe che punisce i cattivi, così Baudo è da anni l’icona del padre di famiglia, del marito fedele e del cattolico fervente. Considerando questa doppia perversa identificazione si capiscono quali motivi possano aver spinto i sinistri siciliani a proporre Baudo come candidato. Ma una simile proposta è anche un’ammissione di sconfitta, come a dire, “siamo alle corde, abbiamo bisogno di un tizio famoso per raccattare il maggior numero possibile di voti”. È una idea malsana di questi ultimi anni che la politica si faccia con l’immagine, con il simbolo e con i personaggi televisivi: l’ha importata Berlusconi dagli Stati Uniti e la sinistra italiana ha deciso che per vincere le elezioni doveva copiare in tutto e per tutto non solo l’immaginario che sta dietro a Forza Italia e ai suoi accoliti, ma anche il programma. Con un triplice, deleterio risultato: la perdita delle elezioni, la perdita della fiducia della gente ed infine la perdita della propria identità. La sinistra italiana ha perso il coraggio e la capacità di dialogare con la gente: non è un caso se la maggior parte delle persone di sinistra appartenga alla categoria, questa sì davvero sinistra, degli “intellettuali”. Dove sono andati a finire gli operai, i contadini, i pensionati, gli sfruttati e i malpagati? Unica sola possibile risposta: ad ingrossare le file degli elettori di destra, di una destra rozza e populista, che dice alla gente ciò che vuole sentirsi dire, che propone delle sicurezze che la gente va cercando (tra il proporre e il garantire passa una bella differenza, epperó), che non prova alcuna vergogna a piegare e piagare la verità riducendola a poltiglia premasticata da ingoiare senza troppe difficoltà…

In questi giorni la maggioranza di governo sta facendo passare una legge elettorale che taglia le gambe alla nostra meravigliosa democrazia del migliore dei mondi possibili, e la sinistra che fa? Poiché questa è una legge ingiusta, aberrante eccetera eccetera… si astiene, non vota! Come se cercassero di uccidere vostra madre e voi per evitare un atto simile rimarreste a braccia conserte perché questo è un atto non vi appartiene. Dove sono finite le lotte a fianco della gente, per la gente? Cari diessini e pseudocompagnetti, non si può battere un tizio che possiede un impero mediatico copiandolo in tutto e per tutto o candidando un personaggio televisivo contro il suo signorotto di uno dei suoi feudi più forti: Berlusconi e camerati vanno cacciati facendo riacquistare fiducia alla gente, presentando un programma per la gente e non per Confindustria, parlando in maniera semplice, chiara e diretta alla gente e facendo capire che razza di puttanate questi quattro balordi neocon stanno combinando – e i discorsi eleganti ed arzigogolati del Parolaio rosso teniamoli per gli studentelli con la kefia che fanno tanto gli alternativi. La destra italiana mi fa paura, la sinistra ormai mi fa ridere (anche se dovrei piangere): il fatto è che non mi sento rappresentato da nessuno in questa mandria di conquistadores del potere, e ciò mi fa girare nettamente… beh, avete capito cosa.

Solo un uomo sembra ormai rappresentarmi, con il suo pensiero e la sua concretezza, un uomo che non cercò mai una poltrona ma che seppe fare della sua vita un’unica azione coerente: Camillo Berneri. Ucciso dai sicari di Stalin durante la guerra civile spagnola… Ma questa è un’altra storia.


PS: questo articolo era stato pubblicato sulle pagine del glorioso Erroneo nella rubrica "La colonna infame". Impossibile stabilire la data esatta (seconda metà del 2005 circa)

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