mercoledì 14 dicembre 2005

Gettoni perduti

È inutile recriminare. Sapevamo tutti che sarebbe finita così… Che strano paese gli Stati Uniti. Candidare un uomo per quattro volte al Nobel per la letteratura e cinque al Nobel per la pace, lodarlo “per avere dimostrato, attraverso molteplici opere di bene dietro le sbarre, il carattere eccezionale dell'America” (cito Bush) e poi ucciderlo attraverso la giustizia di Stato. Stanley “Tookie” Williams è morto il 13 dicembre nel carcere di San Quintino, a San Francisco. Non aggiungerò alle tante litanie abolizioniste la mia: non ritengo di essere capace di una difesa più accorata, più decisa, più convincente delle altre, di certo più autorevoli. Anche perché ho talvolta la perfida impressione che la gente difenda il diritto alla vita perché trendy e non perché convinta della barbarie di un omicidio legalizzato.


Difendiamo Caino ma non dimentichiamo i diritti di Abele.


Tookie non era un santo. Era stato il capo dei Crips, una delle più famigerate street gang che l’America ricordi: era giusto che pagasse per i suoi crimini… Non con la vita. Vendetta non è giustizia e nessuno riuscirà a convincermi che tale può essere considerata l’istintualità di un omicidio. Non aveva mai chiesto perdono per gli omicidi di cui era accusato, è vero: ma chi si dichiara innocente non può chiedere perdono per un atto che non ha commesso.


Non era forse cambiato? Non aveva forse rinnegato il suo passato? Non aveva forse dimostrato che la suprema stronzata del “recupero sociale” ottenibile dalla repressione carceraria può talora avvenire? Sì, lo aveva dimostrato. Ma la gente ha bisogno d’illudersi che la giustizia funzioni, e tutto ciò che vuole vedere è il cadavere del cattivo di turno, nemesi della società, riflesso nello specchio della medesima società malata, incapace di comprendere i reali motivi della propria malattia.

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