giovedì 30 novembre 2006

Il Berlusconion di Arcore

E' bello rilassarsi dopo aver affrontato un esame: ecco il motivo della mia assenza da queste pagine! Così, avendo deciso di riposarmi qualche giorno prima di ricominciare a studiare, ho pensato di riordinare la cartella DOCUMENTI del mio computer e vi ho trovato un pezzo di fanta-archeologia che ricordo di aver scritto qualche anno in preda al delirio bacchico. Divertissement e parodia, quando decidi di non prendere troppo sul serio quei pochi neuroni che ancora vagano spaesati per il tuo cervello. Eccolo dunque, il pezzo in questione: tra gli interventi di una conferenza dell'anno 3132....


Il Berlusconion di Arcore e il personaggio Berlusconi tra mito e realtà.

Ringrazio preliminarmente gli organizzatori di questo convegno, il ministro della cultura antica prof. Hilmas al-Kuwarizmi, il Magnifico Rettore della nostra gloriosa Università prof. Salvatore Karatzic ed in special modo il prof. Turi Brasolati per aver deciso di inserire nel programma odierno il mio modestissimo tributo che ben felice mi accingerò a pagare per una maggiore conoscenza critica di un periodo rimasto tra i più oscuri della storia italiana del XXI secolo, periodo ancora oggi avvolto nelle nebbie della leggenda e che ha provocato, e continua ancora oggi, a provocare accesi e violenti dibattiti tra colleghi studiosi di fama internazionale, periodo che certamente dovette essere di grande confusione e di grandi speranze per il popolo della nazione italiana: mi riferisco, cari colleghi, ai primi decenni del XXI secolo, e in special modo agli anni compresi tra il 2001 e il 2020.


Secoli remotissimi, per noi uomini del quarto millennio, che a stento riusciamo a cogliere nella insopprimibile corsa del tempo che fugge, ma tuttavia secoli importantissimi per la comprensione di quel mondo remoto, mondo che appare ancor oggi legato indissolubilmente alla nostra realtà, perché comune rimane il nostro essere uomini, la nostra continua lotta per l’affermazione e la sopravvivenza, perché dunque una luce non sia oscurata da quel mondo lontanissimo e possa esser da garante e guida per i nostri errori: historia magistra vitae dicevano i nostri padri, e dicevano bene.

Per questo motivo, cari colleghi, il mio intervento necessiterebbe di una corretta contestualizzazione per ben comprendere il momento storico trattato, contestualizzazione che purtroppo potrà risolversi solo in alcuni nuclei problematici, analizzati criticamente anche sulla scorta dell’importante rinvenimento da noi effettuato: premesso che si tratta di considerazioni preliminari passibili di variazioni, mi accingerò dunque alla presentazione della nostra campagna di scavo nella regione da noi denominata Padania ridens, e in particolar modo dell’importante insediamento di età berlusconiana della città di Arcore; l’insediamento è stato indagato nell’area di culto, l’unica a non essere stata coperta dagli insediamenti successivi.

L’area venuta alla luce è apparsa subito ai nostri occhi come la più imponente rinvenuta dai tempi in cui il prof. Chiurlo aveva riportato alla vita l’area denominata di Sancti Petri a Roma, area cultuale questa di rito cattolico, ma la nostra si presenta certamente più sfarzosa, meglio conservata, e soprattutto più enigmatica.

Il santuario si presenta all’esterno con una sorta di temenos o muro di cinta di forma perfettamente quadrangolare, sui lati orientale e occidentale le stoai per l’ingresso dei fedeli. Le stoai introducono ad una spianata piuttosto larga e da lì alla via sacra, che si diparte in vie ortogonali secondarie, delle quali sono stati rinvenuti i cippi numerari e parte della pavimentazione in marmo di Carrara. Le vie secondarie, da noi denominate B1, B2, B3 e B4, conducono rispettivamente al boschetto sacro (B1 e B2), alle officine degli ex-voto (B3), alla stipe votiva e ai thesauroi (B4) di cui si parlerà in seguito; la via principale, decorata da una serie di statue riproducenti – forse – le fattezze dei sacerdoti preposti alla cura del santuario, conduce invece al tempio vero e proprio, splendidamente conservato.

Il tempio, imponente nella quadrupla peristasi e nel fregio raffigurante episodi della vita della divinità, presenta un ampio vestibolo con dodici colonne tra le ante che dà poi accesso all’immensa cella del tempio, divisa in tre navate da due file di sei colonne a doppio ordine: in fondo, protetta nell’adyton, la statua crisoelefantina del dio. Ed è a questo punto, cari colleghi, che cominciano le difficoltà d’interpretazione, è qui che l’annoso problema della questione Berlusconi si ripresenta in tutta la sua complessità, ed è qui, forse, che trova la sua definitiva soluzione.

L’enigma Berlusconi è stato ottimamente trattato nel rigoroso saggio del prof. Mohamed Zimmermann Berlusconi: la leggenda, il mito - Leipzig 31224, e in special modo nel nostro saggio Berlusconi e la politica italiana: sogni d’un aedo? - Modica 312913, saggio in cui polemizzavo vivacemente contro quanti consideravano – e considerano tuttora – le testimonianze provenienti dal passato come racconti mitici che nulla potevano avere di vero, essendo la politica qualcosa di serio e non potendo accettare perciò che un imprenditore continuasse ad essere imprenditore e uomo politico allo stesso tempo; pensate che questi esimi colleghi erano arrivati ad affermare che in Italia non esistette mai una classe politica vera e propria e che l’Italia fu un paese fondato sulla televisione e sciaguratamente governato da essa!

Noi invece, anche sulla scorta dei Fragmenta Italicorum Litterarum a cura di Maria Rosa Quadrio, affermavamo con certezza – e il tempo ci avrebbe dato ragione – che non solo Berlusconi era una figura realmente vissuta a cavallo del XX e XXI secolo, ma che anche i vari Bossi, D’Alema, Bertinotti, Fini, Mastella, Rutelli e Buttiglione dovessero essere considerati come importanti figure della politica italiana, non ultima l’inquietante grande vecchio della politica Giulio Andreotti. Difatti le testimonianze antiche erano esplicite a tal riguardo; ricordiamo tra l’altro il pur abbondantemente integrato Bruno Vispo, o Vespo, secondo la lettura degli studiosi, che affermava (F. I. L., frag. 29):

e Silvio Berlusconi l’imprenditore aveva in tal modo vinto le elez[ioni del] 13 maggio 2001, […] riuscendo in tal modo a conquistare per sé e per Forza Italia il go[verno del pae]se, aiutato, pur se indirettamente, dall’avversario di Rifon[dazione Com]unista Fausto Bertinotti mentre […] Rutelli […] a bocca asciutta.

Come dimenticare poi la Paries Capitolina, mirabile affresco coevo di autore ignoto in cui si affermava – secondo la lettura di Guido Strabico, in Quaderni di corrispondenza archeologica, Roma, III: Berluska bast[one d’I]talia, figlio di pu[rezz]a, Berluska mer[aviglia] infa[nte], inno alla prosperità del nuovo governo e che aveva portato all’equivoco il Marinone, facendogli dichiarare con sicumera che Berluska era il nome di un re – e non invece l’affettuoso nomignolo di un affezionato elettore – che aveva preso il potere con la forza?

Ricorderemo infine la testimonianza di un noto periegeta del tempo, Ivo (o Indro?) Montinelli, il quale, raccontando tra l’altro l’organizzazione del partito, l’iconografia preferita da essi e da Berlusconi, ne aveva descritto il santuario edificato ad Arcore con ricchezza di particolari per noi preziosissimi:

(F. I. L., frag. 137) …baluardo del partito era poi una bandiera avente gli stessi colori di quella italiana, con sopra scritto Forza Italia… e (F. I. L., frag. 142 passim) … così Silvio Berlusconi, a cui tutto andava bene, fece edificare nella sua terra un santuario a lui dedicato, il cosiddetto Berlusconion di Arcore, luogo in cui i devoti e fedeli elettori avrebbero potuto libare in favore di quello, pregare, e chiedere una grazia di fronte alla statua crisoelefantina del presidente eroizzato, rappresentato giovane, in giacca e cravatta, dal cranio ben lucido e dal sorriso splendidissimo d’avorio, con le mani alzate, quasi a voler abbracciare la moltitudine d’italiani… il fregio, raffigurante eventi della giovinezza del dio: Berlusconi che cantava sulle navi da crociera per pagarsi gli studi, Berlusconi che passava i temi ai compagni intellettualmente meno dotati, Berlusconi imprenditore… i fedeli potevano libare al boschetto sacro in compagnia di cavalli, cigni e lama che gioiosamente strepitavano all’epifania della divinità mentre bandiere sventolavano libere… o comprare ex-voto da depositare poi nella stipe votiva o nei thesaoroi, o libri sulla vita e sulle aspirazioni della divinità e del suo partito, o bandiere di Forza Italia… famosi nei tempi l’agalma di Emilio Fede, un kouros che leggeva le notizie del telegiornale, e l’agalma di Fedele Confalonieri, un kouros che teneva sottobraccio, sorridente, un televisore…

Ed è con vivo piacere, cari colleghi, che possiamo affermare la coincidenza dei frammenti montinelliani con lo scavo da noi effettuato: davvero ogni elemento corrisponde precisamente. Prima tra tutti la statua crisoelefantina del dio, d’altezza maggiore al vero (3,05 metri) in veste ufficiale, incedente e raffigurato così come ci dice Montinelli – il fatto che la divinità fosse stata rappresentata in maniera giovanile non deve sorprendere, talvolta le iconografie si cristallizzavano e gli artisti non volevano abbandonare tecniche ben consolidate –; il fregio – la cui analisi rimando alla pubblicazione degli atti -; il boschetto, in cui sono stati ritrovati i pennoni delle bandiere e le ossa di alcuni lama; le officine di ex-voto, in cui sono stati rinvenuti centinaia di frammenti cartacei che ben riassumono l’ideologia del partito e le iconografie più amate nonché la vita del dio, frammenti che certamente chiariranno con dovizia di particolari i lati ancora oscuri della vicenda, primo fra tutti il motivo per cui Berlusconi era stato divinizzato e non ultimo, sapere fino a che punto riuscì a realizzare l’ambizioso programma presentato in questi frammenti.

Gli agalmata, rinvenuti entrambi nel thesauros di Mediaset, meriterebbero un discorso più approfondito, impossibile in questa sede – e anche in questo caso si rimanda agli atti. Basti qui dire che il kouros di Fede, in marmo delle Madonie, è rappresentato stante, in giacca e cravatta, con le mani nell’atto di stringere verosimilmente un foglio di carta – in bronzo, non rinvenuto –, che il kouros di Confalonieri, in marmo del Resegone, è raffigurato incedente mentre stringe un televisore e che entrambi accompagnano un terzo kouros, non menzionato da Montinelli, rappresentato incedente, con una strana acconciatura –o un elmo?- che regge un paio di occhiali in mano mentre sotto, una base circolare con graffiti alcuni numeri in sequenza – una patera? – e l’iscrizione del dedicante: “Mike mi dedicò al dio operaio imprenditore presidente”; che sia l’ex-voto di una leggendaria figura della televisione italiana, di un personaggio considerato mitologico e invece realmente esistito, il centauro – metà uomo, metà quiz – Mike Bongiorno?

Ipotesi affascinante, ma ritengo sia ancora troppo presto per considerazioni così specifiche: il rinvenimento del Berlusconion di Arcore impegnerà ancora per molto tempo i nostri studi, e non nascondo un certo timore per la mole degli oggetti da catalogare, studiare, analizzare criticamente, prima di arrivare ad una monografia e ad una conoscenza definitiva. Dovremo impiegare tutte le nostre forze intellettuali per raggiungere l’intento, superare noi stessi: arriveremo stremati alla meta, è vero, ma sarà stata ben poca fatica se avremo potuto lasciare ai posteri i risultati della nostra ricerca e se saremo riusciti a dare una risposta definitiva all’enigma che ci tormenta ormai da tempo, enigma che – spero – riceverà da noi una risposta appropriata, enigma che fino ad oggi però, rimane sostanzialmente tale, e cioè: chi era Berlusconi?

Prof. Anastasio Amedeo Spizzichino de’ Cavaletto, ordinario di Archeologia del secondo e terzo millennio all’Università di Orbis Tertius.

Catene

Forse qualcuno avrà letto la querelle tra me e Steccus tra i commenti di qualche post precedente a questo. La riassumo brevemente:

Steccus: Per Cuzia: la morale è punirne uno per educarne cento. Non approvo la violenza ma nemmeno la sottomissione. Per Dyotana: vero, a mali estremi estremi rimedi, la Toscana non è la Sicilia, qui la gente non si prostra davanti al delinquentello e non ha paura..

Lunatico: Vai al diavolo Steccus. Con tutto il cuore. Non accetto che qualcuno attacchi la mia terra in maniera così imbecille e deliberata. Non pontificare su questioni che non conosci e soprattutto NON PERMETTERTI di bollare la mia terra e i siciliani con simili paragoni. Almeno non su questo blog.

Steccus: Se la verità ti ha fatto male Marco, sinceramente mi dispiace, ma è brutto e becero offendere qualcuno per giunta sul proprio blog. Sicuramente non ti fa onore. Leggendo ciò che nel tempo hai scritto ti ritengo una persona intelligente e, senza nulla togliere alla meravigliosa terra siciliana, converrai con me che se i siciliani cominciassero ad avere un po' meno paura forse qualcosa si risolverebbe. Il post sul delinquentello che riscuote il pizzo l'hai scritto tu ed hai concluso dicendo "si capisce chi dei due ha vinto". Io ti ho raccontato come le cose vadano diversamente altrove, non sono stato nè becero ne offensivo, ho creduto che tu fossi una voce fuori dal coro ma evidentemente non è così. Stammi bene.

Non per niente mi definisco lunatico... Temo, caro Steccus, che la mia reazione sia stata troppo sanguigna e istintiva, e me ne scuso. Ma credo capirai anche quanto mi faccia male il vociare continuo dei media, della gente e dei luoghi comuni che continuano a crescere e prosperare. Purtroppo per capire certe realtà bisogna viverle quotidianamente, toccare con mano e comprenderle se si vuole cercare di porre argine alle migliaia di contraddizioni che vivono nella mia terra. Non è vero che la gente ha paura del delinquentello: se fossi andato io a chiedere il pizzo probabilmente il bottegaio mi avrebbe preso a colpi di mannaia e poi, terminato il dissezionamento del mio cadavere, avrebbe probabilmente chiamato la polizia. La gente non ha paura del delinquentello. La gente ha paura di tutto ciò che sta dietro al delinquentello. Chiamala malavita, chiamale organizzazioni criminali, chiamala mafia se vuoi.

Un fenomeno complesso, la mafia, una sovrastruttura che organizza e gestisce la semplice criminalità, che la rende sicura nell’identificazione ad una famiglia o ad un mandamento e forte nella certezza dell’impunità. Criminalità nasce quasi sempre dalla povertà, non dimenticarlo mai. E allora questo fenomeno che ancora oggi tiene le fila più sottili del potere siciliano e che affonda le proprie radici – o le nostre catene, se preferisci – nei campieri delle vecchie famiglie latifondiste, potrà essere sconfitto solo se “...lo Stato concederà come diritto ciò che la mafia concede come privilegio”. La frase non è mia, ma del generale Carlo Alberto dalla Chiesa...

Non puoi fare una colpa alla gente se ha paura di un meta-stato più efficiente e forte dello Stato italiano: uno stato che latita e si fa vivo solo per i funerali dei nostri morti. E’ facile parlare da fuori, è facile parlare per me che non ho nulla da perdere. Ma se avessi un’attività commerciale o fossi un imprenditore e la mafia mi chiedesse denaro o un appalto da assegnare agli amici dei suoi amici sarò sincero...Non so in che modo reagirei. Forse denuncerei l’accaduto aspettando uno Stato letargico ed infiacchito o forse, dopo aver trovato una testa di cavallo mozzata sulla mia porta d’ingresso, dopo che la mia auto o il mio locale fossero stati incendiati, forse dopo che fossi stato gambizzato da qualche estremo attentato intimidatorio abbasserei la testa, come tutti gli altri. O cercherei di farmi giustizia da solo: fai da te, oppure rivolgendomi al clan rivale di chi mi sta taglieggiando.

La cosa che odio è vedere accomunata la parte sana della Sicilia con la parte malata. Le nostre strade sono lavate dal sangue dei nostri morti, di quelle persone che hanno creduto fino in fondo alla follia di un cambiamento, di quelle persone che hanno voluto sfidare l’utopia di una vittoria senz’armi. Senza le armi di uno Stato e dei suoi indegni rappresentanti, troppo occupati a spartirsi le poltrone per pensare alla vita e alla dignità di un intero popolo.

lunedì 20 novembre 2006

Origami d'attacco

Nel suo viaggio in Asia Giorgino Bush ha ribadito ancora una volta la pericolosità della Corea del Nord auspicando la cessazione di ogni programma nucleare del regime di Kim Jong-il e il rispetto della risoluzione Onu 1718, pena “forti ritorsioni” non meglio specificate. Visto che la Corea del Nord fa parte dell’asse del male comunque non credo si tratterà di un lancio di cioccolatini su Pyongyang. Corea, l’altro cattivone che insieme all’Iran vuole sviluppare una tecnologia nucleare per distruggere il mondo civile e rifiuta la democrazia come fosse la peggiore forma di governo possibile.


Brutto vizio quello degli Stati Uniti. Accusare la gente di possedere armi che non ha voglio dire, e scatenarvi dietro i propri analisti nonché i propri media in modo tale da giustificarne un futuro attacco: liberi confronti ammessi con l’Iraq. Peccato – e per fortuna – che a tutt’oggi, nonostante l’esperimento avvenuto qualche settimana fa, la Corea è ben lontana dalla produzione di missili nucleari. Nemmeno per atto di rappresaglia. La Corea del Nord possiede invece un esercito di un milione e duecentomila uomini, mezzi moderni, centomila soldati ben addestrati nelle unità speciali e uno degli arsenali chimici e biologici più potenti del mondo: otto strutture industriali attive e produttive che realizzano agenti chimici da poter utilizzare in caso di guerra nonché vaste riserve di antrace, colera e peste da spedire in punta di bomba come gradito presente ai propri avversari.

Eppure ci preoccupiamo della minaccia nucleare coreana.

Quello che fingono di non capire gli americani è che la smania di Pyongyang di mostrare al mondo la sua potenza militare è in realtà un segno di debolezza. Se Kim Jong-il gonfia il petto è solo perché si rende conto di quanto sia fragile il suo regime e di come la Cina sia sempre più interessata alla posizione geografica del suo paese, soprattutto agli sbocchi sul mare vicino alla Russia. Uno dei principali obiettivi di Kim Jong-il è pertanto quello di costringere gli Stati Uniti a trattare direttamente con lui senza mediazione dei paesi confinanti: se riesce a sembrare più forte di quanto non sia in realtà riuscirà a rafforzare la sua posizione nei confronti della Cina e a conservare ancora per un poco il suo potere.

D’altro canto gli Stati Uniti, che vista la scusa irachena non dovrebbero attendere un secondo per attaccare un paese come la Corea del Nord del quale si è ampiamente provata la capacità di produrre e conservare armi di distruzioni di massa, hanno accolto come grazia insperata un casus belli da poter usare sfruttando un possibile avallo Onu per le loro azioni. Così Kim Jong-il salverebbe la faccia nonché il culetto ottenendo delle garanzie in funzione anti-cinese e gli Stati Uniti fingerebbero di risolvere con la diplomazia quello che altrimenti (non) avrebbero risolto con un attacco militare. Tutti contenti, a parte la Cina. Che con la sua insaziabile fame di risorse e la spregiudicatezza dei suoi governanti potrebbe essere la causa di molte crisi politiche dei prossimi anni. Non a caso anche il mite Giappone ha dato il via ad un processo di riarmo considerando l’ipotesi inquietante di una tecnologia atomica ad uso militare: una bomba atomica anche per loro insomma, per i figli ed i nipoti di Hiroshima e Nagasaki.

Logica vorrebbe infine che se gli Stati Uniti sono intervenuti in Iraq per sbarazzarsi del regime di Saddam, facessero lo stesso con la dittatura di Kim Jong-il e del suo clan familiare. E se gli Stati Uniti avessero tutto l’interesse per mantenere divise le due Coree? La Corea del Sud è un paese forte e una riunificazione avrebbe l’effetto di indebolire l’intera penisola coreana dando la possibilità alla Cina di approfittarne destabilizzando così l’intera regione e coinvolgendo di fatto gli Stati Uniti in una nuova guerra suicida. Mentre con due paesi distinti e separati si può cercare di mantenere uno strano equilibrio fatto di minacce, giochi di potere e blocchi di forza che finora ha dato stabilità artificiale e un po’ di respiro politico alla regione.

Sempre che Kim Jong-il non decida di giocare al piccolo kamikaze, chiaramente.

mercoledì 8 novembre 2006

Così vanno le cose, così devono andare

Entro nel mini-market sotto casa per acquistare una ricarica telefonica. Rimango all’esterno, chiedendo direttamente al cassiere la scheda senza passare attraverso gli scaffali. Subito dopo entra un individuo che rimane dietro di me: guarda il cassiere negli occhi e il cassiere, senza dire nulla apre la cassa, prende velocemente quella che penso sia una banconota e la mette in mano all’altro che attende silenzioso. Dopo questo rapido passaggio di mani l’uomo va via salutando come se avesse fatto la cosa più naturale di questo mondo. Davanti a tutti, con sfrontatezza, con arroganza...


Lo sguardo del cassiere mi fa capire chi fra i due abbia vinto la guerra.

lunedì 6 novembre 2006

Firenze, 4 novembre 1966
















Gli angeli del fango... L'umanità non smetterà mai di esser loro grata

Trancio di vita in due tempi - Due etti e mezzo, lascio?

I
Accompagnare mia madre al supermercato il sabato mattina è una di quelle corvée da cui difficilmente riesco a liberarmi. Solitamente rimango in macchina a leggere, ad ascoltare musica o ad osservare la stramba congerie umana che si raccoglie intorno ai luoghi di procacciamento del cibo. Donne guidano i mariti – non più che propaggine ambulante di un portafogli o di una carta di credito – attraverso il terrificante rito della spesa settimanale e ritornano alla proprie auto con simil-traghetti che ad un attento esame si rivelano essere carrelli stracolmi di spesa; single con il triste sacchettino semivuoto che contiene surgelati, sofficini e tonno in scatola; pensionati con l’occhialino indagatore che entrano nel supermercato per poi trascorrere un numero imprecisato di ore dediti alla nobile arte della tetrapiloctomia pur di risparmiare qualche centesimo sulla spesa; operai che comprano il pranzo da consumare durante la pausa di mezzogiorno – l’intramontabile panino con birra familiare; i ragazzini che escono da scuola e comprano patatine e altre schifezze… Potrei continuare all’infinito.

Esiste poi un’altra categoria: l’acquirente schizofrenico, che riassume ed ingloba tutti gli aspetti delle categorie possibili e li fa affiorare variamente combinati, per capriccio del caso. Mia madre è un acquirente schizofrenico. Talora compra folli quantità di cibo giustificandone l’acquisto con le offerte speciali, tal’altra scruta con ragioniera taccagneria una differenza di dieci centesimi tra due prodotti simili; talora sembra essere passata al salutismo o al vegetarianesimo più intransigente, tal’altra spinge innanzi a sé un carrello pieno di schifezze alimentari che la convenzione di Ginevra ha da tempo definito armi di distruzione di massa; talora mi chiede di scendere per aiutarla a prendere “una cassetta d’acqua, è pesante da portare”, salvo poi trascinarmi in un tour fatto di illogici andirivieni all’interno del supermercato, tal’altra mi dice di rimanere in macchina perché deve prendere solo “due cose” salvo poi ritornare con un carrello pieno fino all’orlo corredato da due o più cassette d’acqua:

“Ormai che ero entrata…” mi dice.
“E l’acqua?”, le chiedo “Non era pesante da portare stavolta?” aggiungo con una punta di sarcasmo.
“Non ti volevo disturbare” è la sua risposta disarmante. Fortuna che ho una personalità quasi equilibrata.

Mia madre non compra le cose perché sono finite, le compra in previsione di un loro futuro, lontano esaurimento: ciò provoca un accumulo di provviste in quantità tali da poter sopravvivere agevolmente ad una guerra nucleare. Ha poi dei principi merceologici da cui non transige se non per gravi e motivate ragioni. Fissazioni, diciamolo pure. I discount sono delle perversioni tedesche da cui è bene stare alla larga, le uova non si comprano al supermercato perché non sono mai di giornata, la carne si compra solo dal macellaio di fiducia che sa bene quale taglio darle – viste le dimensioni delle fettine che porta a casa credo siano bistecche di bisonte –, la ricotta si compra solo se si conosce chi la produce e in che modo, il dado da brodo è una diavoleria inventata per traviare la buona cucina, lo yogurt fa schifo – apodittico.

Conosce tutti i commessi e le commesse dei supermercati che frequenta – sì, supermercati, perché in uno si va per il prosciutto buono, in un altro si va perché vende la confezione di detersivo da cinquemila misurini, in un altro perché l’ortofrutta è migliore, in un altro ancora perché la cassiera è figlia di una sua amica…– e riesce ad intrattenere interminabili discussioni con perfette sconosciute sulla giusta dose dello zucchero per una cotognata più delicata. Quando la accompagno nel suo tour percorriamo l’equivalente di qualche miglio all’interno del supermercato alla ricerca spasmodica dei cibi più improbabili fino a quando, grazie a qualche divinità imperscrutabile, arriviamo alle casse con il nostro carrello ricolmo a dovere. Solitamente piomba alle nostre spalle la sconosciuta di prima e ricominciano le discussioni su alta cucina e cotognata. Di solito io impreco mentalmente nelle lingue dei Profeti o mi distraggo lanciando occhiate alla cassiere più carine che con voce atona ripetono carta? carta? carta? Ha la carta signora?

Usciamo ondeggiando tra la folla e proprio in macchina un’agnizione improvvisa scuote il mio torpore da prostrazione consumistica. “ Abbiamo dimenticato l’acqua!” dice con voce stridente. “E va bene, poi la compro io durante la settimana. Ormai non mi aiuti più, non mi fai ricordare niente… Come sei cambiato, da piccolo non eri così!”. Ritornano le lingue dei Profeti.

II
Sabato scorso rimango in macchina. Niente libri con me, i miei cd dimenticati a casa, nemmeno troppe persone da osservare in un delirio da etologo dilettante. Guardandomi intorno tuttavia mi accorgo che l’intero marciapiede antistante il parcheggio del supermercato è occupato da vasi in terracotta, tappeti e rose del deserto: parcheggiato accanto il furgone dell’ambulante che ha ricreato questo microbazar a scapito dello spazio pubblico. Un uomo sulla quarantina, alto e in carne, dai tratti decisamente mediorientali che vigila sulla sua mercanzia e passeggia impaziente in attesa di clienti. D’un tratto si dirige verso il furgone, accende il motore e va via: solo allora mi accorgo che ha lasciato a guardia dei vasi quello che credo essere suo figlio. Un bambino, avrà avuto otto, nove anni al massimo. Chiaramente orgoglioso della responsabilità di una simile investitura comincia a spazzolare i tappeti con veemenza e cambia disposizione a qualche vaso in modo tale da renderlo maggiormente appetibile ai potenziali acquirenti. Dopo un po’ si ferma un furgoncino da lavoro con a bordo due ragazzi: una volta scesi cominciano ad osservare i vasi esposti e a chiedere con insistenza al bambino i prezzi di ciascun vaso. E’ chiaro che vogliono fregarlo e approfittare della sua giovane età. Dopo aver gironzolato attorno a diversi vasi focalizzano la loro attenzione su una enorme giara in terracotta con ingubbiatura giallina... Una bella giara, se non fosse per un buco piuttosto evidente all’altezza della spalla. Con la scaltrezza di una faina mesopotamica il bimbo, accortosi del buco, vi appoggia la mano e lo copre lestamente prima che i due ragazzi possano accorgersene. Dopo aver contrattato un po’ con la sapiente maestria di un mercante di suq il bambino riesce a vendere loro la giara e ad intascare i soldi senza che i ragazzi – forse non esattamente delle aquile – si avvedano del difetto. Li guarda allontanarsi con la fierezza di un uomo consumato che ha appena concluso il primo affare della giornata.