lunedì 29 giugno 2009

Giochi di guerra

Si sa che il gioco è un’attività che forma il bambino e che consente di scaricare le tensioni inespresse. Per questo è sempre tenero vedere dei bambinoni che si divertono con giocattoli da migliaia di euro comprati con i soldi di tutti… Esco dal linguaggio criptico.


Alla fine di maggio le Commissioni Difesa di Senato e Camera hanno espresso parere favorevole per l’acquisto di 131 cacciabombardieri F-35 Lightning II a decollo verticale, e per l’ampliamento della base aerea di Càmeri in provincia di Novara in cui gli aerei verranno assemblati. Spesa complessiva stimata ad oltre 13 miliardi di euro, mica bruscolini. Ne ha dato notizia qualche tempo fa Enrico Piovesana sul sito di PeaceReporter (qui l’articolo). Questi aerei dovrebbero progressivamente sostituire in un piano quasi ventennale, a partire dal 2014, tutta la flotta aerea d'attacco italiana che è attualmente composta dai Tornado e dagli Amx dell'Aeronautica e dagli Harrier-II della Marina. A questi si aggiungono i 121 caccia Eurofighter che abbiamo già acquistato per sette miliardi di euro qualche annetto fa.


Nei mesi scorsi il generale Vincenzo Camporini, capo di Stato Maggiore della Difesa, aveva definito l’acquisto degli f-35 assolutamente vitale per la difesa dell’Italia, mentre il testo che il ministro La Russa ha sottoposto alle commissioni parlamentari afferma senza ombra di dubbio la destinazione d'impiego degli F-35: “nelle missioni internazionali a salvaguardia della pace” in virtù della loro “spiccata capacità di impiego fuori area”. E allora mettetevi d’accordo: servono per le missioni internazionali di pace (spiegatemi come un cacciabombardiere possa essere uno strumento di pace) o abbiamo acquistato questi giocattoloni coi soldi di tutti i contribuenti per trastullare i nostri capetti militari?


Ammetto che la flotta aerea militare italiana sia una flotta obsoleta, e si sa che le armi sono come i formaggini, che quando scadono si possono solo buttare via. E così ci riarmiamo. Ma state tranquilli: come contentino per quanti hanno pensato che questi soldi potevano essere investiti in opere di più immediato riscontro per la collettività il ministero della Difesa ha affermato che la costruzione del bombardiere creerà almeno 10 mila posti di lavoro, genererà un forte sviluppo tecnologico dell'industria italiana e determinerà un incremento del Pil. Teorie rivoluzionarie, insomma. Il riarmo come via d'uscita dalla crisi economica, come per la grande depressione di fine Ottocento o la grande crisi degli anni '30: peccato, come ricorda anche Enrico Piovesana, che in entrambi i casi citati il riarmo abbia poi abbia condotto a due piccoli e trascurabili effetti collaterali.


Le guerre mondiali.


Giusto perché sarebbe stato un peccato buttare i formaggini, o le armi, in scadenza. Ma prima di indignarvi troppo e di scagliarvi solo contro questo Governo sarebbe giusto sapere che i caccia F-35 sono il frutto del programma di riarmo internazionale Joint Strike Fighter (Jsf) lanciato dagli Stati Uniti a metà degli anni '90, al quale l'Italia ha aderito nel 1996 con il primo governo Prodi. Adesione poi confermata nel 1998 dal governo D'Alema, nel 2002 dal secondo governo Prodi e adesso, ovviamente, ratificata dal governo Berlusconi. Vedete dunque che non è un problema di colore politico, quanto piuttosto di accordi internazionali e di asservimento agli States che ci hanno dato una mano durante la seconda guerra mondiale, e che ci hanno usati come pedina sullo scacchiere internazionale – ma questo è un altro discorso – durante la guerra fredda.


Da tutte queste operazioni ne esce rafforzata Finmeccanica: infatti il nostro Paese partecipa al consorzio industriale Jsf tramite l'Alenia, l'azienda aeronautica del gruppo Finmeccanica appunto. Cito direttamente dall’articolo di Piovesana: “Lo stabilimento piemontese di Cameri (Novara) è già stato attrezzato per diventare l'unica linea di montaggio finale del velivolo al di fuori fuori dagli Stati Uniti, dove verranno assemblati tutti gli F-35 destinati alle forze aeree del Vecchio Continente (per ora è certa l'Olanda). Secondo i piani, l'Alenia di Cameri si occuperà anche delle successive revisioni e aggiornamenti per tutta la vita operativa degli F-35, vale a dire per altri trentacinque anni circa”.


Un vero affare, no? Sulla vita delle persone… Ma anche qui, sapete, è tutto un altro discorso.


giovedì 25 giugno 2009

Riserva indiana

ovvero
Modesta riflessione sul suicidio assistito della sinistra italiana


Dopo un po’ subentra la stanchezza della ripetizione. Una vox clamans che rimbomba necessariamente fra le pareti di sabbia del vuoto circostante… È desolante vedere l’ombra di un’idea ridotta in poltiglia da diecimila piccoli capetti capaci di litigare anche per il colore delle calze dei propri candidati. Cosa fanno due elettori di sinistra? Almeno tre partiti: una freddura che sicuramente avrete sentito anche voi in questi giorni. E la cosa più desolante è che è vera. Perché la sinistra è certamente masochista, l’attuale sinistra caricatura della propria gloriosa tradizione intendo.

Non posso credere infatti che gente di media cultura, che ci si figura tutto sommato intelligente, abbia voluto coscientemente perdere le elezioni per futili divergenze, che abbia definitivamente abbandonato la gente reale per pascersi di parole e di autoreferenzialità… Per capirci, ho avuto modo di assistere ad un comizio di Riaffondazione Comunista a Catania e, di sbieco, a uno di Sinistra e Libertà prima delle elezioni europee e di ascoltare dal palco parole completamente fuori dal mondo reale: lotta di classe, partito antimperialista. Anche belle parole, come partito antifascista. Eppure è stato come assistere al suicidio per ottusità di un gruppo politico. Perché non si può parlare di lotta di classe nel 2009 quando la classe operaia, politicamente parlando, non esiste più, quando l’operaio medio ora vota Lega al Nord e UDC o PDL al Sud. Non si può parlare nel 2009 di partito antifascista o di partito antimperialista: ottimi concetti, lodevoli, ma il Paese reale, la gente reale, non può considerarli come priorità.

Perché non sono priorità per una famiglia che deve tirare la cinghia per arrivare alla fine del mese. Perché il lavoratore a tempo determinato sarà pure orgogliosamente antifascista e antimperialista, però con lo stipendio che prende non riesce a campare. Perché il pensionato ricorderà con piacere le conquiste di civiltà portate avanti dalla sinistra dei suoi tempi, eppure non può fare a meno di sentirsi indifeso e abbandonato dalla classe politica attuale. Perché il tanto vituperato bamboccione mantenuto dalla famiglia, che magari cerca disperatamente di rendersi indipendente non può sperare in un futuro con le quattro lire elemosinate dal proprio donatore di lavoro.

Perché potersi ribellare, di questi tempi, è un lusso. Paradossalmente. È un paradosso perché di solito dovrebbe essere proprio il bisogno a spingere alla ribellione, a stravolgere l’ordine delle cose, per ottenere maggiori diritti. Il fatto è che viviamo in una sorta di terra di mezzo: lontani nella quasi totalità dei casi dalla disperazione più nera, ma lontani anche, in molti casi, da una qualità di vita dignitosa per un paese civile.

E allora i tanti si accontentano del poco che hanno perché non si può mai sapere, tirano avanti e vedono il mondo della politica come una realtà estranea alla propria esistenza, da avvicinare quel tanto che basta magari per ottenere un favore. Questa è la verità. Ed ecco perché la sinistra si suicida: perché corre appresso ai “figli d’arte”, ai centri sociali avulsi dalla quotidianità, ai ragazzini viziati dai genitori sessantottini, perché magari organizzerebbe raccolte di fondi per la Palestina ignorando invece i bisogni delle persone a loro più prossime. Per l’ennesima volta lo ripeto: la sinistra muore coscientemente perché non vive più tra la gente, perché si batte per principi di civiltà pur importanti ma non prioritari nella vita quotidiana, perché si rinchiude in un meccanismo autoreferenziale e in uno sterile voto di rappresentanza: avete presente quei comizi, magari partecipati, con tante bandiere rosse e proclami accesi? Quelli sono comizi che non porteranno a niente: perché parleranno a gente che è già d’accordo con quelle idee, gente che la pensa già come chi sta sul palco. Lotta di classe? Bravi! Partito antimperialista? Fico! Partito antifascista? Così ti voglio! Berlusconi bla bla bla e ancora bla? Giustissimo! Va bene, ma poi? Lo sappiamo tutti che razza di farabutto è il Cavaliere Nero, parliamo d’altro per favore. Quali i provvedimenti per far sentire il cittadino più sicuro, quali le proposte economiche per uscire dall’impasse e dalla crisi, quali i suggerimenti per migliorare la qualità di vita del cittadino, per riportare fiducia nelle istituzioni?

Il Nulla. E il Nulla Nulleggia, ricordava giustamente il professor Umberto Eco in passato.

Che rabbia perciò vedere dei partiti che in tempi di crisi dovrebbero compattarsi, dovrebbero raccogliere percentuali altissime di consensi e invece non solo sono votati da quattro gatti, ma hanno pure l’incoscienza di dividersi per il voto utile, per il sogno utile e altre puttanate simili. Per rimanere perciò a casa a girarsi i pollici e a pensare alle rivoluzioni antimperialiste e al prossimo corteo pro Palestina. Non vi siete chiesti perché la Lega e l’Italia dei Valori hanno guadagnato così tanti punti in queste ultime elezioni? Ma perché parlano il linguaggio della gente, perché stanno attenti alle esigenze del Paese: la Lega con toni eccessivi e fuori luogo, fascisti, razzisti e demagogici, Di Pietro con un sano e tutto sommato innocuo populismo di sinistra. E una persona come me e come milioni in Italia, nel caso in cui decidesse follemente di andare a votare non saprebbe più per chi votare. Almeno io non so più per cosa votare da tanto tempo.

Non un partito di destra o di centrodestra, perché estraneo al mio pensiero, alla mia etica e dalla mia prassi. Non il PD, un partito senza anima, senza veemenza e senza futuro che tuttavia – pura statistica – partorisce di tanto in tanto proposte al limite dell’accettabile. Non Di Pietro, che pur facendomi simpatia non riscuote la mia fiducia per certe sue tirate populiste e un antiberlusconismo che alla fine finirà per stancare. Non certo questa sinistra (anche se apprezzo persone concrete come Diliberto), in generale completamente avulsa dal paese reale…

E allora? O crei un partito da te, o non voti, o decidi di votare per opportunismo, o per ideale, o turi il naso e scegli il meno peggio. Oppure si presentano rare occasioni in cui puoi votare per una persona che vale davvero e che ti senti orgoglioso di definire “tuo rappresentante”.

Stavolta ho votato Rosario Crocetta, e, sensazione insolita dopo un'elezione, sono orgoglioso di averlo votato.


venerdì 19 giugno 2009

Stringiamoci a coorte

Prima guardate questo e poi parliamo del resto.



Michela Vittoria Brambilla, ministro della Repubblica italiana. Per chi non l'avesse riconosciuta è quella in tailleur tinta pastello che fa il saluto romano alla fine dell'inno di Mameli.

Ancora una volta le istituzioni repubblicane offese dal dilettantismo di politicanti allo sbaraglio: perché non è tanto lo scatto orgoglioso del saluto romano tirato fuori dalla naftalina ad offendere gli occhi e lo spirito dei singoli. Si tratta di ciò che rappresenta. Il dolore di un funesto ventennio fatto di libertà soffocate e di terrore, di morti e devastazioni volute da un regime che condensava in quel gesto tutto il suo stupido impeto di virile brutalità etica e politica.

Nessuno, io credo, può o vuole impedire ai nostalgici e ai fascisti vecchi e nuovi di venerare quel tetro periodo della storia d'Italia. Ma un ministro della Repubblica italiana, di quella Repubblica nata grazie al sacrificio di tanti uomini e donne che combatterono il fascismo, un ministro della Repubblica italiana non può permettersi un gesto simile in un contesto istituzionale.

Certo la Brambilla ha imparato bene la lezione dal Cavaliere Nero il quale, com'è noto, se attaccato non solo evita di rispondere, ma sferra un contrattacco fatto di insulti e contumelie a quanti chiedono conto di un suo comportamento. "Non avendo argomenti politici" ha affermato la Brambilla "i nostri avversari si sono ridotti a misurare l'angolazione del mio gomito quando saluto i cittadini o a calcolare l'altezza delle mie braccia".

Eh no cara ministra, mi spiace contraddirla ma questo è un argomento politico, e di non poco conto. Perché non si può giurare fedeltà alla Repubblica italiana e poi calpestarne la storia in tal modo, perché non si può essere così superficiali da pensare che il saluto romano sia oggi solo un gesto pittoresco scevro da significati profondi. Senza contare che questo episodio potrebbe avere implicazioni legali: sebbene la vecchia legge Scelba non consideri il saluto romano apologia del fascismo, non ci sono forse le aggravanti del ruolo istituzionale ricoperto e del contesto in cui è stato mostrato? In un Paese serio dalla forte coscienza storica, con una classe politica seria e responsabile la Brambilla si sarebbe già dimessa.

Paese serio, coscienza storica, classe politica responsabile: troppe variabili da applicare. Almeno in Italia.


Ps: il sito di Repubblica ha pubblicato la testimonianza di Virginio Brivio, presidente uscente della provincia di Lecco, il quale afferma che la Brambilla non è nuova a performance vetero-fasciste di tal fatta. Qui il link.

Il resto viene dal Maligno

''Dobbiamo prendere atto di un istituto, quello del referendum, che è stato preziosissimo per questo paese, ma che presenta margini di logoramento sia per un uso eccessivo, sia perché è stato molte volte disatteso, come sul finanziamento pubblico oppure sull'abolizione del Ministero dell'Agricoltura''. Questo ha dichiarato Peppino Calderisi, capogruppo in Commissione Affari Costituzionali della Camera del PDL nel corso di un'intervista all'Agenzia Radiofonica Econews.

Sapete, mi piacciono questi elementi ruspanti del PDL. Mi piacciono davvero. Sono concreti, pratici, gente tutta d’un pezzo il più delle volte incapace dei capolavori di doppiogiochismo linguistico e delle dichiarazioni-smentita del loro comandante in capo nonché – ahinoi – primo ministro di questo bistrattato Paese. Incapaci, pertanto, di nascondere sotto il velo della retorica il nucleo delle loro speranze totalitarie cui la decenza di un istituto democratico, di solito, consiglia il silenzio. Ecco perciò il mitico Calderisi affermare candidamente: ''Dobbiamo rivedere questo istituto, magari aumentare il numero delle firme ma poi abolendo il quorum. E' un problema politico: in nessuna democrazia politica chi non vota conta più di chi vota. Alla luce anche dell'esito di questo referendum dovremo fare un pensiero su questo problema”.


Abolire il quorum.


Certo ha ragione Calderisi quando afferma che in nessuna democrazia chi non vota conta più di chi vota. Ritengo tuttavia, nella mia arcaica concezione di prassi politica, che il concetto di democrazia rappresentativa rimanga tale solo se supportato dal suo principio più semplice ed immediato: la maggioranza. Il volere dei più, il governo dei molti, una comunità che decide e si organizza sulla base della scelte più popolari… Via, cancelliamo questo patetico e fastidioso residuo di una politica partecipata e non se ne parli più. Invece di chiedersi cosa abbia portato la gente a perdere fiducia nei propri rappresentanti, ad odiare la politica e a disinteressarsi dell’unico strumento di consultazione popolare che si avvicini lontanamente all’idea di democrazia si vorrebbe eliminare il problema alla radice, per dirla alla buona buttando l’acqua con tutto il bambino.


E la volontà popolare quando si rispetta? Belle parole. Solo se il popolo in questione è quello della libertà, temo: quel popolo che supporta il proprio ridicolo leader e lo protegge sperando magari in una futura democrazia a partecipazione… diciamo “ristretta”?


Ecco perché andare a votare per i referendum è indispensabile: perché dopo l’abolizione del voto di preferenza ci da l’illusione di poter ancora decidere della nostra sorte, perché ci fa sentire partecipi di uno stato più o meno liberale in cui le decisioni sono ancora prese a maggioranza, in cui la politica è ancora tra le strade e non nei palazzi ammuffiti del Potere. Andare a votare con cognizione di causa, dunque, apporre su quel foglio di carta la propria scelta: sì, no. Anche scheda bianca, anche una croce su tutto il foglio. Ma andare a votare, per non lasciare che altri possano decidere al posto nostro in maniera maggiore di quanto già non facciano.


Andare a votare. Oh bella, e per cosa?


Abbandoniamo per un attimo la veste di cesellatore divertito e indignato e spieghiamo con chiarezza i quesiti e gli eventuali effetti dei tre referendum.


Glossario minimo per quanti non conoscessero i termini della questione:

premio di maggioranza è una quota di parlamentari in più che viene assegnata dall’attuale legge elettorale alla coalizione vincente in modo che possa governare con un’ampia maggioranza parlamentare;

soglia di sbarramento: è la percentuale minima di voti che consente ad un partito/coalizione di entrare in Parlamento;

candidatura multipla: è la possibilità di candidarsi in più circoscrizioni elettorali;


Primo quesito: Scheda viola

Il primo quesito chiede che sia abolito il premio di maggioranza per la Camera, finora assegnato alla coalizione che ottiene il maggior numero di voti. Viene inoltre portata la soglia di sbarramento al 4%.

Se vince il sì il premio di maggioranza sarà assegnato alla lista che ottiene il maggior numero di voti in una competizione elettorale mentre le liste che otterranno meno del 4% saranno escluse dal Parlamento. L’effetto più immediato è l’eliminazione dei partitini dall’attività parlamentare, solitamente le ali estreme della destra e della sinistra. Il premio di maggioranza alla lista più votata elimina inoltre la necessità di creare coalizioni regalando il governo del Paese ad un partito che può essere stato votato anche solo dal 20-30% di italiani.

Se vince il no tutto rimane com’è.

Io voto no: riuscite ad immaginare un Parlamento fatto da una maggioranza del PdL che non deve chiedere conto e ragione a nessun alleato?Riuscite ad immaginare per chi voterebbe alle prossime elezioni del presidente della Repubblica? L’Italia del presidente Papi… Brrr, no, per favore.


Secondo quesito: Scheda beige

Il secondo quesito chiede che sia abolito il premio di maggioranza per il Senato, finora assegnato alla coalizione che ottiene il maggior numero di voti. Viene inoltre portata la soglia di sbarramento all’8%.

Se vince il sì il premio di maggioranza sarà assegnato alla lista che ottiene il maggior numero di voti in una competizione elettorale mentre le liste che otterranno meno dell’8% saranno escluse dal Parlamento. L’effetto più immediato è l’eliminazione dei partitini dall’attività parlamentare, solitamente le ali estreme della destra e della sinistra Il premio di maggioranza alla lista più votata elimina inoltre la necessità di creare coalizioni regalando il governo del Paese ad un partito che può essere stato votato anche solo dal 20-30% di italiani.

Se vince il no tutto rimane com’è.

Io voto no per le stesse ragioni del primo quesito.


Terzo quesito: Scheda verde

Il terzo quesito chiede che siano abolite le candidature multiple.

Se vince il sì il candidato o la candidata potranno scegliere un’unica circoscrizione in cui presentarsi limitando così la possibilità di giochi politici tra i leader di partito, le rappresentanze locali e i “primi dei non eletti”.

Se vince il no tutto rimane com’è.

Io voto : non sopporto il fenomeno di personalità in vista che si candidano in più circoscrizioni per fare scattare più seggi salvo poi rinunciarvi in tutte le circoscrizioni (meno che una, ovviamente) in favore del “primo dei non eletti”. Se un partito vuole acquistare maggiore visibilità in una circoscrizione che lo faccia rafforzando la propria presenza su quel territorio, non piazzando un volto noto come specchietto per le allodole. Se no è troppo comodo.


Questo è quanto. Non mi credete? Leggete pure altrove, ma andate a votare informati: per non rischiare di trovarvi nel segreto dell’urna di fronte a questo, questo e questo.


E poi dicono che la gente preferisce andare a mare.

venerdì 5 giugno 2009

Stuzzicadenti