sabato 24 maggio 2008

Crini rotti

Sopravvivere alla tempesta.

Vuota scatola inerte inghiottita sul fondo melmoso della realtà più cupa. Tramonta la Luna mentre i petali di una rosa nera sono trascinati via da un male oscuro. Una pellicola sottile, trasparente che impedisce di vivere appieno. Di sentire, di provare reali emozioni. Sottile inquietudine, insoddisfazione di fondo. Autodistruzione. Amare di un amore assoluto, senza pentimenti, un miraggio fin troppo reale e concreto… Eppure sembrava vero. E forse lo era. Eppure sarebbe bastato così poco: allungare la mano e toccare la tranquillità. Arrivare a sfiorare la gioia di un momento… Incredibile a dirsi. Sperare nella follia di un ripensamento, del ritorno. Sperare di sognare un incubo e risvegliarsi in un altro sogno. Difficile, turbolento eppur bellissimo… Sono pronto, nonostante tutto. Sono pronto. Navigare a vista nel frattempo, senza certezze, con una tempesta sempre minacciosa e pronta a sferrare il colpo decisivo. Sopravvivere, sopravvivervi. Superare la confusione e il baratro per inseguire se stessi e la propria felicità.

Il tempo lenisce le ferite, le rimargina. Il tempo trasforma tutto e fa dimenticare ogni cosa. Il tempo, si dice. Ah, certo. Ma perché ogni singolo rintocco dei secondi mi sembra un’immobile maledizione? Perché il tempo scorre così lento? Perché sembra che il peso del mondo mi stia crollando addosso tutto ad un tratto? Sostenere le cateratte del cielo sulle proprie spalle.

Non ce la faccio. Voglio che tutto questo finisca presto… O che tutto ricominci.

venerdì 23 maggio 2008

martedì 20 maggio 2008

Le mille e una sorte

Quattordici, quindici anni al massimo. Era la prima edizione de “La fiera della Contea”, una manifestazione nata per promuovere i prodotti delle piccole aziende modicane e ormai da tempo degenerata in pubblicità spicciola e selva di stand noiosi ed anonimi. Andavo a trovare spesso mio fratello – self-made-man, imprenditore locale, il vincente della famiglia – il quale aveva uno spazio in fiera: appropriandomi indebitamente di un banner identificativo gironzolavo tra gli stand anche dopo l’orario di chiusura curiosando e cercando di scambiare quattro chiacchiere con gli altri espositori. Di solito, dopo una giornata trascorsa a dispensare sorrisi finti e salamelecchi gratuiti nella speranza di un acquisto, gli espositori si rinchiudevano in un silenzio assoluto fatto di stanchezza e di odio per l’universo conosciuto. “Questo è l’ultima volta! sentivo esclamare da individui stravolti e trucchi sfatti. Maniche di camicia, giacche stazzonate, posacenere da svuotare. Gambe gonfie, donne scalze coi tacchi riversi in terra. “Mai più! Troppo lavoro… Questo è l’ultimo anno!”. Ma tanto non era vero. L’anno successivo sarebbero tornati tutti.

Ricordo di averlo conosciuto così. Camicia a quadri larghi, riccioli fittissimi e baffo non folto eppure ben tenuto. Curava uno stand per conto della comunità maghrebina di Modica e stava rimettendo al proprio posto vasellame, ceramiche, tappeti, foulard, strumenti musicali insieme a cianfrusaglie di varia natura che sembravano andare forte in fiera. Ricordo che mi colpì la gentilezza e il tono della sua voce: bassissimo, come se fosse certo di essere ascoltato. Mohammed. Per la prima volta conoscevo un immigrato diverso dallo standard al quale ero abituato. Non avevo ancora raggiunto la maturità necessaria per comprendere la ricchezza della diversità. Una sola razza: quella umana. Facevo parte allora di quella schiera di persone che popolano l’Italia senza distinzione di regioni, sesso, età e cultura: razzisti sottili. Quasi inconsapevoli, direi. Che accettano chi è diverso da loro se è ricco, viene da turista, spende e spande, contento di farsi derubare onestamente dagli italici negozianti. Diversità che si accetta solo se belli o belle, raggianti, pieni di soldi e venuti da noi a divertirsi.

Come se il razzismo fosse anche un fattore estetico. Gli uomini e le donne che si trascinano nelle nostre città arrabattando le loro vite non sono fotogenici, salvo quando le loro foto compaiono sui giornali per illustrare qualche articolo di cronaca. Stonano, nell’organicità visiva che qualcuno vorrebbe e desidererebbe. Gli stranieri non sono rassicuranti. Li si evita. Si ha paura al solo vederli. Nominarli a volte. Lo straniero è diverso, pericoloso. Delinque, spaccia, ruba, violenta, uccide. Tutti così, senza alcuna distizione. E anche quando qualcuno si apre a loro ciò accade talora quel tanto che basta perché le coscienze possano essere addormentate.

Bisogna aiutarli… Poveretti, tirano a campare! Come se tirare a campare fosse stata la loro aspirazione quando hanno abbandonato casa, famiglia, terra, quando hanno lasciato la loro vita nei paesi d’origine portando con sé solo il ricordo della miseria e una folle speranza di miglioramento. E vengono da noi, alla ricerca di una dignità che nei loro paesi non avrebbero mai ottenuto. Immigrazione regolare, è vero, ma soprattutto immigrazione clandestina: tutti miserabili e senza diritto di parola, imbarcati di notte su carrette rugginose e fatiscenti, in partenza per paesi sconosciuti, con lingue sconosciute, masticate appena, rigurgitate da amici e parenti che già hanno vissuto per qualche tempo nei paesi della speranza… Per un futuro imprevedibile. Un futuro di tristezza, di sacrifici, umiliazioni. E per pochi, ancora pochi, un futuro d’integrazione.

Integrazione. Certo è difficile integrarsi per uno straniero in una società ostile e diversa dalla propria. Tahar Ben Jelloun diceva che lo straniero ha quella faccia disorientata di chi sembra volersi scusare in continuazione. Scusarsi con la gente che gli sta attorno, per la sua diversità, come se fosse una sbavatura della storia, un ospite ingrato… Considerate per un attimo voi stessi, consideratevi in un paese di cui non conoscete nulla, di cui ignorate la lingua, in cui persino l’alfabeto è diverso dal vostro: pensate di dover sopravvivere, di mettere radici. Pensate a tutte le vostre sicurezze, anche le più elementari, spazzate via con una folata di vento. Immergetevi in quelle vite sradicate – ma fatelo sul serio – e vedrete gli immigrati non più come una minaccia. Persone, punto. Brave persone, cattive persone. Delinquenti e gente perbene. Persone come noi, comunità di migranti la cui parte sana può davvero fornire nuova linfa alla nostra cultura...

Forse possedevo già la chiave per uscire dalla prigione del sospetto e del razzismo se mi sono fermato a chiacchierare con Mohammed: forse avevo solo bisogno di tempo per maturare maggiore coscienza critica e quest’incontro ha contribuito ad abbattere quelle barriere mentali che avevo eretto per convenzione familiare. Certo mi ha aiutato il fatto che Mohammed non fosse esattamente un immigrato come tutti gli altri. Stesso destino purtroppo, medesima sfortuna, ma diversa condizione culturale. Intellettuale, trilingue, Mohammed al suo paese possedeva una laurea in terapie riabilitative con relativa specializzazione: inutile, se è stato costretto ad emigrare dal Marocco e a raggiungere, da clandestino, le coste della Sicilia. Carta straccia in Italia la sua qualifica, dopo anni di fortune alterne è riuscito a trovare un lavoro stabile – operaio – che gli consente una vita onesta e dignitosa insieme alla moglie e a quella piccola peste del loro bimbo.

Di fatto non gli ho mai chiesto in che modo abbia raggiunto l’Italia: non voglio forzarne la riservatezza, non voglio forzarlo a raccontare fatti dolorosi… Non c’è ragione per nutrire la mia curiosità sulla pelle di un uomo. Mi basta sapere che da allora sono cresciuto anche grazie a lui, e che da allora ho un amico intelligente, colto, brillante e disponibile al dialogo. Quando ci incontriamo diventa difficile capire chi dei due sia il marocchino e quale invece il siciliano: se non fosse per la mia carnagione estremamente chiara sarebbe quasi impossibile distinguerci. Nel nostro sangue scorrono millenni di culture affascinanti che si sono scontrate ed incontrate e che hanno fatto grande il Mediterraneo e le civiltà che l’hanno abitato. Siamo simili, nati e cresciuti nell’immenso calderone di una razza unica e speciale. Siamo uguali: tutto il resto è solo pochezza ed aridità di spirito per uomini piccoli piccoli.

venerdì 9 maggio 2008

La nostra pena non ha testimoni

E venne da noi un adolescente
dagli occhi trasparenti
e dalle labbra carnose,
alla nostra giovinezza
consunta nel paese e nei bordelli.
Non disse una sola parola
né fece gesto alcuno:
questo suo silenzio
e questa sua immobilità
hanno aperto una ferita mortale
nella nostra consunta giovinezza.

Nessuno ci vendicherà:
la nostra pena non ha testimoni.


Peppino Impastato
(Cinisi, 5 gennaio 1948 - Cinisi, 9 maggio 1978)

martedì 6 maggio 2008

Il paese di Pirandello #3


Il volantino che esplicita il voto di scambio ancora mi mancava. Che schifo.

lunedì 5 maggio 2008

De Profundis

Suonare le campane a morto non servirà a nulla nemmeno stavolta. Perse le elezioni, persa la speranza. Vince la destra, stravince. Ancora una volta, follemente, gli italiani hanno scelto Silvio Berlusconi con un inquietante codazzo di leghisti ed autonomisti. Ventimila leghe sotto il Nano. Tolti di mezzo i baciapile dell’Udc dal governo ritornano tuttavia i signori dell’a-moralità: tornano gli autonomisti, i razzisti, i condannati, i revisionisti. Tornano i politici di professione, gli inquisiti, i furbastri, gli affaristi. I mafiosi, i populisti, i demagoghi. Partito delle Libertà… Basta solo il nome. Una vergogna macchiare con le loro turpi manovre una delle parole più belle che possano affiorare sulla bocca di un uomo: Libertà. Cosa ne sanno loro, di libertà?
Un governo stabile purtroppo, nonostante quel povero disgraziato di Bossi al quale i media nazionali danno credito ancora per oscura pietà. Perché l’Italia si sposta sempre più a destra? Perché tutto ciò che si avvicina anche lontanamente alla sinistra riesce a perdere anche un torneo di bocce? Indicativo l’avanzamento della destra più becera e populista: Lega Nord in primo luogo, ma da non sottovalutare nemmeno il successo de “La Destra” di Storace – che ha accolto buona parte dei destri che non hanno digerito lo scioglimento di An nel PdL – e di quella formazione anticostituzionale quale Forza Nuova di Roberto Fiore. Su questo risultato ha pesato, io credo, la mancanza di certezze degli italiani e soprattutto un crescente senso di insicurezza che investe soprattutto le città del Nord. La destra è riuscita a colmare un vuoto ideologico grazie alla demagogia di chi urla cacciamo gli stranieri, tolleranza zero, Roma ladrona, fucili caldi e minchionate simili. Un popolo impaurito e senza punti di riferimento è facile a scaldarsi. Ad essere manovrato.

La destra estrema in Italia ha raccolto consensi anche grazie a questo. Fondamentalmente non credo che gli italiani siano razzisti: diffidenti sì, conservatori, ma non razzisti della peggior specie. Semplicemente, l’italiano medio vuole vivere tranquillamente, vuole sicurezza personale: ecco perché avanzano le destre in Italia, ed ecco perché ancora una volta il centrosinistra non ha saputo interpretare i bisogni della popolazione italiana. O meglio, pur sapendoli interpretare non è riuscito a comunicare le proprie strategie – valide, per inciso – per stroncare la criminalità e per fornire maggiori sicurezze ai cittadini italiani. La gente ha paura e il governo Prodi che fa? L’indulto. Continuiamo a farci del male.

Tonfo dell’Udc in quasi tutta Italia, che paga a caro prezzo la scelta di correre da sola. Tiene alla Camera mentre si ritrova fortemente ridimensionata al Senato con soli tre senatori. A dirla tutta mi spiace che l’Udc abbia avuto anche quei tre senatori perché uno di essi è Totò Cuffaro, un uomo che definire uomo credo sia un insulto alla categoria. Totò Cuffaro, ex governatore della Sicilia condannato in primo grado a cinque anni per favoreggiamento a singole personalità mafiose e all’interdizione dei pubblici uffici: lo voglio ricordare fino alla nausea. Totò Cuffaro, capolista dell’Udc in Sicilia che grazie a questa elezione, come preannunciato si salverà il culetto dal carcere.

Immunità parlamentare!

E questa sarebbe la difesa dei valori che l’Udc vuole portare avanti? Candidare un tizio già condannato in primo grado a cinque anni di galera… Smettetela di fare gli ipocriti e, per cortesia, andate al diavolo.

Passiamo a quella che ormai, bontà loro, si definisce con un po’ di presunzione autoreferenziale sinistra. Il Partito Democratico. Una formazione politica nuova che ha tagliato i contatti con la sinistra cosiddetta radicale presentandosi come il primo grande partito riformista italiano. Centrosinistra insomma. Il Pd ha tenuto bene in effetti, e la presenza di Veltroni ha certamente contribuito a fargli acquistare consensi. Veltroni è rassicurante, parla bene e sa come accattivarsi la simpatia della gente: un candidato dalla presenza scenica più forte di Prodi, che per vitalità e potenza retorica era assimilabile ad una pirofila di cozze gratinate. Veltroni tuttavia non ce l’ha fatta, però credo che questo possa essere un buon inizio per lui e per le persone che hanno creduto in lui. Non è sinistra, certo, ma una riproduzione stinta che somiglia fin troppo al PdL… Bah, staremo a vedere. Certo l’inizio non è dei migliori con dichiarazioni ridicole quali “opposizione non ideologica” e “governo ombra”. E sappiamo bene che l’ombra segue di pari passo il corpo dal quale deriva e grazie al quale vive… Il Veltrusconi. Continuiamo a farci del male.

Eccellente risultato per l’Italia dei Valori di Antonio di Pietro che esce da queste elezioni come il quarto partito italiano, un partito che quasi raddoppia la sua presenza alla Camera e la triplica al Senato: possiamo dire che il partito di Di Pietro sia stato uno dei pochi a “sinistra” a comprendere le voci della gente e a dialogare con loro. È bene non dimenticare tuttavia quanto sia ancora importante la figura di Antonio di Pietro nell’immaginario collettivo e quanto, nei momenti di incertezza, una figura emblematica possa farsi simbolo e catalizzatrice delle ansie e delle paure degli elettori.

Andiamo infine alla vittima più illustre di questa competizione elettorale. Ei fu. La sinistra. Anzi “La Sinistra – L’arcobaleno”. E continuiamo a farci del male. Un cerbero senza denti formato dalle rovine di Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi. Che dire: una debàcle, una disfatta, una Waterloo con una impressionante emorragia di voti. Quasi due milioni e mezzo in meno rispetto al 2006 per un impressionante 61,5%. In questo caso inutile negare che uno dei carnefici della sinistra arcobaleno sia stato proprio il Partito Democratico: sarebbe da ipocriti affermare il contrario. Il PD ha rotto i ponti con la sinistra per motivi di convenienza elettorale, per cercare di scrollarsi di dosso l’immagine di comunisti che esaltati come Berlusconi ancora oggi, ridicolmente, affibiano a qualsiasi individuo che non la pensi come loro. Via la sinistra dal PD insomma, per diventare politically correct e non indispettire Confindustria e Montezemolo. Non dimentichiamo poi il continuo richiamo al voto utile, che ha convinto moltissimi elettori della sinistra a votare a denti stretti per il Partito Democratico: molti elettori della sinistra hanno pensato che votare Sinistra Arcobaleno sarebbe stato come regalare un voto a Berlusconi. Non è bastato purtroppo, e così le uniche forze più o meno di sinistra in Italia sono rimaste fuori dai giochi di governo del Paese… Pazienza.

In questi anni speriamo che la sinistra riesca finalmente a comprendere i propri limiti e che la smetta, e lo dico a voce alta, la smetta di andare appresso ai ragazzetti dei centri sociali o a fare lotte ideologiche che spesso entusiasmano solo le persone coinvolte e che lasciano il tempo che trovano. Ha ragione Diliberto quando dice che la sinistra, se vuole acquistare consensi, deve tornare ai vecchi simboli: falce e martello. Simboli dei lavoratori. Assolutamente datati nella forma, ancora attuali nella sostanza. Simboli che in passato hanno rappresentato nell’Europa libera, e quindi anche in Italia, volontà di riscatto, di modernità e di giustizia sociale per le classi cosiddette subalterne. Ricominciare dalla gente, dagli operai, dai lavoratori: smetterla di essere solo il partito dei cineforum, delle kefie, della solidarietà al popolo palestinese, dell’antiamerikanismo con la kappa, della legalizzazione delle droghe leggere. Smetterla di andare dietro a bagattelle o a drammi complessi ma che si risolvono in inutile populismo e dietrologia se discussi in Italia.

Basta, basta.

Smettetela per favore, e tornate tra la gente, tornate ad ascoltare la gente e a parlare il loro linguaggio. Operai, contadini, precari, pensionati, nuovi poveri: gente che verrà spazzata via dal berlusconismo come un fiume in piena e che difficilmente l’opposizione veltroniana, costruttiva ma non ideologica, riuscirà a contrastare. Ricordate che Veltroni ha detto che la lotta di classe è ormai superata… Ricordatelo. Bandiere arcobaleno, compagni. Social forum, danze e bellissime canzoni di lotta usate da ragazzetti che non sanno nemmeno dove stanno messi. Professori ed intellettuali fighetti con la puzzetta sotto il naso. Sciarpette, eskimo, cene sociali: basta, smettetela. Tornate a fare una seria politica di sinistra e la gente tornerà a votare per voi. Come facevano i nostri nonni, come hanno fatto i nostri padri.

Tornate a fare i comunisti, se ancora vi ricordate cosa significa.