sabato 26 luglio 2014

Dalla parte del torto

Tragica consuetudine dell’umana sorte vuole che un popolo per passare alla storia debba talora attraversare anche la geografia. Preferibilmente con un esercito capace di piegare e umiliare il nemico. Di sottometterlo alla propria supremazia. Sterminarlo magari, se proprio l’avversario non dovesse avere la buona creanza di crepare per cause autonome.

La storia dell’umanità fa bella mostra di stermini, appuntati sul petto del passato come tante medaglie dalle mostrine rapprese di sangue. L’ecatombe delle popolazioni amerindie per mano dei cattolicissimi conquistatori e il massacro silenzioso dei nativi americani. Milioni di morti nelle trincee delle guerre mondiali per la ridicola conquista di un palmo di terra. Il genocidio armeno negato per troppo tempo dalla Storia e la tragedia immane della Shoah. Le atroci dittature sudamericane, la carneficina iugoslava e la raccapricciante macelleria del Ruanda. Tutti esempi, questi, di come la crudeltà dell’uomo possa raggiungere vette di agghiacciante perfezione scientifica: l’uomo, bestia tra le più sciocche e crudeli mai apparse sulla faccia della Terra.

Un altro genocidio si sta consumando in questi giorni. Negato anch’esso dalle ragion di Stato, spacciato follemente per operazione di polizia (pulizia etnica piuttosto) e ristabilimento dell’ordine. Protetto dal silenzio disgustoso delle cosiddette democrazie occidentali, appoggiato, incoraggiato e finanziato dalla prima potenza mondiale. In questi giorni un intero popolo rischia seriamente di scomparire, sterminato dalla superiorità militare e politica di un altro popolo che sembra aver dimenticato del tutto la propria storia. Quella Storia maestra di vita e monito che difetta di allievi capaci di imparare dagli errori del passato. Allievi smemorati e avidi, letali discendenti di quel popolo trucidato a milioni dai nazifascisti e che adesso sembra esercitare quasi una insensata volontà di rivalsa e di riscatto recitando la parte del carnefice. Oggi come allora, masse di persone incolpevoli stanno pagando per l’irrazionalità e il fanatismo di pochi.

Chissà se la Storia, quella con la maiuscola, chiamerà un giorno col termine più appropriato ciò che il governo israeliano sta facendo al popolo palestinese. Chissà quanto tempo ancora dovremo aspettare prima di poter leggere la verità su quanto sta accadendo.

GENOCIDIO.

Non esistono altre parole per definire il dramma che il popolo palestinese vive quotidianamente. Non un sinonimo, non un eufemismo. Non si può definire altrimenti questo spietato processo di segregazione razziale e di pulizia etnica attuato dal fondamentalismo dello Stato israeliano. Fine ultimo, evidente, l’eliminazione del popolo palestinese dalla propria terra. Forse finanche dalla Terra stessa. Un pogrom allo specchio. Una diaspora riflessa.

Si tratta di un processo scientifico affinato negli anni e condotto con la prepotenza di chi è consapevole dell’impunità derivante dal disinteresse interessato delle cosiddette democrazie occidentali. I territori occupati usati come teste di ponte in un territorio a loro estraneo, la fittissima rete di infrastrutture che collega le colonie e l’infamia del Muro che frammenta l’unità territoriale delle popolazioni arabe e impedisce, di fatto, la formazione di uno Stato palestinese. Impedisce uno straccio di vita che possa considerarsi normale: perché non è vita quella che ti costringe ad essere continuamente fermato, perquisito, vessato, umiliato, arrestato e detenuto in condizioni spaventose da ragazzini con il fucile spianato e la kippah sotto il casco, non è vita quella che ti costringe a scappare dalle bombe di un popolo ostile, a dover contare ogni volta quante persone sono sopravvissute intorno a te e a seppellire gli altri. Uomini, donne, vecchi e bambini. Tanti bambini. Non è vita se qualcuno vuole cacciarti dalla casa che hai costruito, rubare l’acqua dei tuoi pozzi e i pesci del tuo mare, strapparti la terra che la tua famiglia ha coltivato in nome di un libro “sacro” scritto migliaia d’anni prima da qualche pecoraio che millantava di essere stato ispirato da Dio.

Israele ha diritto a difendersi dal terrorismo, nessuno dotato di buonsenso potrebbe negarglielo. Ma più di ottocento morti palestinesi, migliaia di feriti e centinaia di migliaia di sfollati descrivono una rappresaglia degna della più vile barbarie, una spropositata legge del taglione applicata per l’assassinio altrettanto vile di tre ragazzi israeliani. Né può valere come giustificazione il fatto che gli israeliani avvisano con cariche di avvertimento prima di bombardare un luogo (il grottesco roof knocking) perché si tratta della storia dell’animale in gabbia: dove scappare se tutto intorno è filo spinato, check point, recinzioni e  muri? Ed è altrettanto grottesco leggere le dichiarazioni degli israeliani che giustificano le centinaia di vittime tra i palestinesi con il pretesto di Hamas che usa le persone come scudi umani per proteggere le armi. Fingendo di ignorare che è impossibile paragonare i due attori di questa tragica farsa.

Da una parte l’esercito più potente al mondo e uno di quelli tecnologicamente più avanzati, espressione e braccio armato di uno Stato “tradizionale” legittimato dalla comunità internazionale, con un comando militare che dispone di una precisa gerarchia, l’esercito nelle caserme, le bombe negli arsenali sorvegliati e corazzati. Dall’altra parte un popolo in guerriglia permanente senza Stato né esercito che per forza di cose nasconde le proprie armi da un nemico cento volte più potente: è normale che tali ricoveri di armamenti, in un luogo densamente popolato qual è la “riserva indiana” di Gaza, siano spesso a strettissimo contatto con la popolazione. Certo non saranno le armi da war games che impiega Israele capaci di devastare interi territori, epperò i razzetti Qassam qualora arrivino a destinazione possono comuque uccidere o fare dei danni. Limitati dal ridicolo potenziale ma pur sempre danni, non sono certo fatti con il pongo. Se Israele volesse soltanto eliminare queste “terribili minacce” alla propria sicurezza troverebbe certo il modo limitando davvero le vittime tra la popolazione della Striscia di Gaza. Ma, evidentemente, lo scopo è un altro.

Come condannare l’estremismo sionista di Israele non significa esprimere sentimenti antisemiti allo stesso modo difendere le ragioni dei palestinesi non significa parteggiare per Hamas e per i gruppi politici massimalisti tutt’oggi al potere nei territori palestinesi. Hamas ha perso la propria credibilità quando ha abbandonato le istanze laiche, socialiste e progressiste del passato in favore di un anacronistico integralismo jihadista che vuole sostituire al giogo della schiavitù israeliana la cappa altrettanto fatale dell’oscurantismo islamico più becero. L’unica chiesa che illumina è quella che brucia istruiva Kropotkin: ecco perché i palestinesi, qualora riusciranno a liberarsi dall’oppressione israeliana, dovranno respingere e rifiutare una pericolosa deriva teocratica che nulla di buono porterebbe a questo martoriato territorio.

In un momento così angosciante e drammatico per la storia del mondo ci chiedono dunque di scegliere tra la ragione di uno Stato che dice di doversi “difendere” e il torto di una popolazione che l’opinione pubblica definisce “terrorista”. Così ci siamo ritrovati fatalmente dalla parte del torto: e non perché i palestinesi ne abbiano davvero. Soltanto perché i posti della ragione erano già stati occupati da Israele. Come i territori, i mass media, come le coscienze. Come i salotti buoni del sistema internazionale, dove l’aperitivo delle grandi alleanze politiche ed economiche ingoia i destini di milioni di persone. E permette lo sterminio scientifico di un popolo che vorrebbe soltanto vivere nella proprio terra mentre si riveste, senza provarne vergogna, della veste di vittima il corpo di uno Stato assassino, fondamentalista, spietato e sanguinario qual è Israele.

martedì 15 luglio 2014

ATTRAVERSO LA SICILIA La Sicilia deglli anni 10

venerdì 4 luglio 2014

Osservare la baia di Siracusa stuprata dagli approdi delle petroliere e pensare che secoli fa navigava in quelle stesse acque, un tempo azzurre, la Syrakosia. Maestosa e colossale, orgoglio della marineria ieroniana rimasto ineguagliato per tutta l'antichità. Ma non siamo nani saliti sulle spalle di giganti: li abbiamo uccisi quei giganti, arrampicandoci sulle loro ossa e condannando la nostra terra ad una sorte di devastazione e guadagno altrui. Per un tozzo di pane unto di petrolio, un miserabile destino di sudditanza.