venerdì 30 novembre 2007

Catene

Forse qualcuno avrà letto la querelle tra me e Steccus tra i commenti di qualche post precedente a questo. La riassumo brevemente:

Steccus: Per Cuzia: la morale è punirne uno per educarne cento. Non approvo la violenza ma nemmeno la sottomissione. Per Dyotana: vero, a mali estremi estremi rimedi, la Toscana non è la Sicilia, qui la gente non si prostra davanti al delinquentello e non ha paura..

Lunatico: Vai al diavolo Steccus. Con tutto il cuore. Non accetto che qualcuno attacchi la mia terra in maniera così imbecille e deliberata. Non pontificare su questioni che non conosci e soprattutto NON PERMETTERTI di bollare la mia terra e i siciliani con simili paragoni. Almeno non su questo blog.

Steccus: Se la verità ti ha fatto male Marco, sinceramente mi dispiace, ma è brutto e becero offendere qualcuno per giunta sul proprio blog. Sicuramente non ti fa onore. Leggendo ciò che nel tempo hai scritto ti ritengo una persona intelligente e, senza nulla togliere alla meravigliosa terra siciliana, converrai con me che se i siciliani cominciassero ad avere un po' meno paura forse qualcosa si risolverebbe. Il post sul delinquentello che riscuote il pizzo l'hai scritto tu ed hai concluso dicendo "si capisce chi dei due ha vinto". Io ti ho raccontato come le cose vadano diversamente altrove, non sono stato nè becero ne offensivo, ho creduto che tu fossi una voce fuori dal coro ma evidentemente non è così. Stammi bene.

Non per niente mi definisco lunatico... Temo, caro Steccus, che la mia reazione sia stata troppo sanguigna e istintiva, e me ne scuso. Ma credo capirai anche quanto mi faccia male il vociare continuo dei media, della gente e dei luoghi comuni che continuano a crescere e prosperare. Purtroppo per capire certe realtà bisogna viverle quotidianamente, toccare con mano e comprenderle se si vuole cercare di porre argine alle migliaia di contraddizioni che vivono nella mia terra. Non è vero che la gente ha paura del delinquentello: se fossi andato io a chiedere il pizzo probabilmente il bottegaio mi avrebbe preso a colpi di mannaia e poi, terminato il dissezionamento del mio cadavere, avrebbe probabilmente chiamato la polizia. La gente non ha paura del delinquentello. La gente ha paura di tutto ciò che sta dietro al delinquentello. Chiamala malavita, chiamale organizzazioni criminali, chiamala mafia se vuoi.

Un fenomeno complesso, la mafia, una sovrastruttura che organizza e gestisce la semplice criminalità, che la rende sicura nell’identificazione ad una famiglia o ad un mandamento e forte nella certezza dell’impunità. Criminalità nasce quasi sempre dalla povertà, non dimenticarlo mai. E allora questo fenomeno che ancora oggi tiene le fila più sottili del potere siciliano e che affonda le proprie radici – o le nostre catene, se preferisci – nei campieri delle vecchie famiglie latifondiste, potrà essere sconfitto solo se “...lo Stato concederà come diritto ciò che la mafia concede come privilegio”. La frase non è mia, ma del generale Carlo Alberto dalla Chiesa...

Non puoi fare una colpa alla gente se ha paura di un meta-stato più efficiente e forte dello Stato italiano: uno stato che latita e si fa vivo solo per i funerali dei nostri morti. E’ facile parlare da fuori, è facile parlare per me che non ho nulla da perdere. Ma se avessi un’attività commerciale o fossi un imprenditore e la mafia mi chiedesse denaro o un appalto da assegnare agli amici dei suoi amici sarò sincero...Non so in che modo reagirei. Forse denuncerei l’accaduto aspettando uno Stato letargico ed infiacchito o forse, dopo aver trovato una testa di cavallo mozzata sulla mia porta d’ingresso, dopo che la mia auto o il mio locale fossero stati incendiati, forse dopo che fossi stato gambizzato da qualche estremo attentato intimidatorio abbasserei la testa, come tutti gli altri. O cercherei di farmi giustizia da solo: fai da te, oppure rivolgendomi al clan rivale di chi mi sta taglieggiando.

La cosa che odio è vedere accomunata la parte sana della Sicilia con la parte malata. Le nostre strade sono lavate dal sangue dei nostri morti, di quelle persone che hanno creduto fino in fondo alla follia di un cambiamento, di quelle persone che hanno voluto sfidare l’utopia di una vittoria senz’armi. Senza le armi di uno Stato e dei suoi indegni rappresentanti, troppo occupati a spartirsi le poltrone per pensare alla vita e alla dignità di un intero popolo.

giovedì 29 novembre 2007

L'inferno Svizzera

Comprendo che la questione migranti possa essere un problema per i governi dei paesi che li accolgono. Difficile trovare una sistemazione dignitosa per ogni immigrato, difficile limitare i flussi migratori, difficile contrastare l’immigrazione clandestina. Comprendo anche l’enorme difficoltà per un immigrato di inserirsi nella società in cui sceglie di vivere: la lingua, gli usi differenti, il razzismo strisciante, la burocrazia.

Difficile pensare però che iniziative simili possano risolvere il problema. Sono una facile scappatoia e rappresentano solo la parte più vile e demagogica della politica. Vile perché il mondo riproposto nello spot è irreale: difficilmente un giovane africano benestante che volesse studiare in Europa tenterebbe le vie dell’immigrazione clandestina. Demagogica perché lo spot serve in realtà come grancassa per i proclami del populista di turno che sfrutta a suo vantaggio il malcontento popolare.

”Abbiamo la responsabilità di aprire gli occhi a queste persone affinché si rendano conto della vita che potrebbe attenderle” afferma Eduard Gnesa, responsabile del dipartimento dell'emigrazione. Certo, come no. Le solite affermazioni politically correct dietro cui si nasconde la xenofobia di un paese che ha vissuto secoli di splendido isolamento... Però sarebbe sbagliato affermare che tutti gli svizzeri sono razzisti. Sono molto aperti ad altre culture: l’importante è che queste investano nelle loro banche. Un mondo a colori? Solo se questo ha lo sporco colore del denaro.



lunedì 19 novembre 2007

Cosa Loro

Morto il re viva il re. Salvatore Lo Piccolo, successore designato di Bernardo Provenzano, è stato arrestato qualche settimana fa insieme al figlio e ad altri due capimafia in una villetta di campagna nei pressi di Palermo. Per un capo in ceppi subito pronto un altro a salire i gradini di una Cupola che sembra resistere ai terremoti investigativi più violenti e radicali. Arrestarli, li arrestano. Ma cambiano i nomi, muta la gestione dell’organizzazione, eppure sembra che non si riesca ad estirpare questa mala pianta dalla nostra amata odiata Sicilia. Un camaleonte che si nasconde, un organismo fin troppo vivo che muta pur di non morire. Sembra quasi essersi abituati alla cattura di questi omuncoli senza onore.

Il primo mafioso del quale ricordi le immagini della cattura è Giovanni Brusca: capelli ricci, barbuto, in carne, con la camicia chiara mentre viene tenuto per le braccia da due agenti. Il mostro senz’anima che aveva sciolto nell’acido il piccolo Santino Di Matteo, l’essere che aveva premuto il tasto del telecomando che avrebbe ridotto a brandelli di carne Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti della scorta. Quindi l’arresto di Riina, un contadino tarchiato, che ricordo caricato quasi di peso su un elicottero dei Carabinieri: sguardo di ghiaccio, un sorriso che sfida agli obiettivi dei fotografi. Poi lui, l’imprendibile Binu, Bernardo Provenzano, con quel foulard stridente sul giubbetto della polizia che i poliziotti gli avevano fatto indossare: come un feticcio, trascinato tra due ali di folla, messo finalmente alla berlina dopo decenni di spietato predominio.

Morto il re viva il re. Poco tempo è trascorso per comprendere che quel fantomatico scacco al Re è stato solo un’illusione. Dopo la cattura di Provenzano i giochi erano già fatti da tempo: possibili successori erano Matteo Messina Denaro, boss di Castelvetrano e Salvatore Lo Piccolo, palermitano, storico Corleonese e fedelissimo di Provenzano. Matteo Messina Denaro possedeva la formazione culturale, la capacità imprenditoriale, nonché la stoffa del leader e, caratteristica non secondaria per un uomo che aspiri a divenire capo di Cosa Nostra, la spietatezza. D’altro canto Salvatore Lo Piccolo, pur non possedendo le medesime raffinatezze culturali dell’avversario vantava maggiore anzianità e soprattutto, elemento che lo poneva come il favorito alla successione, apparteneva ad una famiglia palermitana fortemente radicata nel territorio: le sorti dell’intera organizzazione si decidono ancora a Palermo, difficilmente la mafia della tradizione avrebbe accettato un trapanese come capo dell’intera Cupola.

Le cose tuttavia non sono mai così lineari come sembrano in un primo momento. Salvatore Lo Piccolo era il più quotato alla successione di Provenzano, è vero: non dimentichiamo però che Provenzano stesso, poco prima del suo arresto, stava decidendo sull’opportunità di uccidere Salvatore Lo Piccolo dietro suggerimento di un altro suo fedelissimo, Antonino Rotolo. Sembra che Rotolo fosse talmente sicuro dell’imprimatur di Provenzano che si era già procurato qualche barile di acido solforico per sciogliere il corpo di Lo Piccolo. Senza lasciare tracce, senza scalpore, secondo il basso profilo promosso da Provenzano. La colpa di Lo Piccolo? Aver aperto ai sopravvissuti degli Inzerillo, la famiglia mafiosa sterminata dai Corleonesi durante la “mattanza” degli anni ’70 e dei primi ’80. Il timore di Rotolo era che gli Inzerillo avrebbero potuto trovare in Lo Piccolo e nella sua famiglia una quinta colonna durante una nuova guerra di mafia che avrebbe messo in forse la supremazia dei Corleonesi “storici”. La cattura di Provenzano tuttavia mise fine a queste macchinazioni e Lo Piccolo fu designato nuovo capo di Cosa Nostra. Almeno fino al suo arresto.

Che cosa può essere accaduto? Inutile ricordare che le indagini delle forze dell’ordine sono state fondamentali per l’arresto di Lo Piccolo, di suo figlio e di altri due boss… Ma se questo arresto fosse stato in qualche modo agevolato? Due le ipotesi. Matteo Messina Denaro ha favorito l’arresto di Lo Piccolo per cercare di estendere il proprio dominio alla città di Palermo e diventare capo incontrastato di Cosa Nostra. Antonino Rotolo ha favorito l’arresto di Lo Piccolo per mantenere l’equilibrio all’interno di Cosa Nostra e non mutarne gli assetti familiari: i Corleonesi rimangono a capo dell’organizzazione senza aperture verso i vecchi clan perdenti, Palermo rimane il centro verso cui convergono tutti i mandamenti provinciali.

Favorire l’arresto di Lo Piccolo era l’unica possibilità che eventuali boss antagonisti avevano per togliere di mezzo il nuovo capo: impensabile infatti un omicidio, che a questi livelli avrebbe dovuto avere l’avallo dell’intera Cupola e che avrebbe scatenato una nuova, sanguinosissima guerra di mafia dagli esiti incerti.

E questo a Cosa Nostra non conviene.

A Cosa Nostra conviene il silenzio. Conviene piuttosto che l’attenzione dei media si appunti sugli aspetti folcloristici, sul decalogo del buon padrino, sui rituali d’iniziazione, sulle vicende personali dei capi ridicolmente trasposte in fiction (con le figure di Riina e Provenzano divenute quasi eroi negativi). L’importante è che i giornalisti dimentichino di come la mafia continui a stringere i suoi tentacoli su questa terra maledetta, soffocandola, di come il racket sia un meccanismo ormai consolidato e diventato una sorta di tassa che la quasi totalità degli imprenditori paga senza battere ciglio, di come prosperi silenziosamente il rapporto della mafia con la politica e il mondo degli affari.

La mafia non è agonizzante come vorrebbe farci credere qualche procuratore smanioso di incursioni televisive. Purtroppo la mafia non è morta, non vuole morire nonostante il vento del coraggio e la voglia di cambiamento soffi sempre più forte su questa nostra maledetta terra. I mafiosi hanno dalla loro un’organizzazione militare, la forza della violenza, il controllo di certe frange politiche: solo questo. Tolto alla mafia il potere politico non rimane che un manipolo di idioti senza alcun onore che nessuno ascolterebbe se non avessero il monopolio della paura. Basta non aver paura allora, basta non abbassare la testa, basta non voltarla dall’altro lato, basta denunciare.

Basta solo non essere loro complici.

Fossa Italia

È sempre interessante scoprire quale livello di affettuosità possa raggiungere una testata nei confronti del proprio editore. Quanto i titoli sembrino sempre troppo moderati per sottolineare le arditezze del proprio Cavaliere. Anche quando l’avanzata dei Prodi ha disarcionato dal cavallo del potere l’ormai attempato condottiero.


Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità? Un ottimo esempio di giornalismo marchettaro, non c’è che dire. In verità, Berlusconi fa quasi tenerezza. Sentirlo sbraitare con la sua solita eloquenza trascinante e populista, vederlo tirare da solo la carretta della politica da avanspettacolo e sciogliere il proprio partito azienda in una nuova formazione, se possibile ancora più demagogica della precedente. Pomposo il nome, come si conviene a tutti i parti della disperazione: “Partito del Popolo Italiano”. Il partito degli imprenditori dovrebbe adesso abbracciare quel popolo che troppo spesso ha sfruttato a proprio interesse. Tutti insieme contro Prodi, sette milioni di firme a dire di Berlusconi. Secondo il Cavaliere questo nuovo partito raccoglierà l’eredità di Forza Italia e accoglierà quanti vorranno lottare “contro i parrucconi della politica”: E lui, che di parrucche e parrucchini non ne ha mai voluti preferendoli sempre al trapianto, si dichiara disposto a guidare la nuova Casa delle Libertà riunita in questa coalizione-partito-non-si-sa-nemmeno-cosa-sia.

Destino tragico, quello del Cavaliere. Rendersi conto che i vecchi alleati gli hanno voltato le spalle e lo hanno sfruttato (come lui ha fatto con i loro voti, peraltro) e addirittura cercano agganci con gli odiati comunisti mangiabambini al governo… Questa poi! Povero Berlusconi, leader ormai sorpassato di una coalizione arrivata alla sua morte naturale. Forse è davvero finita una stagione politica con la condanna a morte della sinistra italiana e lo smembramento di una destra litigiosa e tenuta insieme solo dalla capacità diplomatica – glielo si deve riconoscere – di Berlusconi. Nella politica italiana è cambiato qualcosa e, come spesso accade, non in meglio. Si ritorna indietro con altri nomi, ma la sostanza di quasi sessant’anni di politica rimane sempre la stessa. Balena bianca la trionferà?

Gli ormai defunti Ds e Margherita, consapevoli di raccogliere il grosso dell’elettorato di sinistra hanno avuto il lampo di genio di unificarsi in una formazione politica di moderati che taglia fuori la sinistra propriamente detta e gli altri partitini che per semplice opportunismo politico si trovano ad orbitare in questa maggioranza – vedi Mastella e simili. Per governare più stabilmente dicono i democratici, quando anche un sasso si renderebbe conto che quest’operazione è servita per abbandonare la palla al piede della sinistra e darsi finalmente alla pazza gioia del riformismo. Chissà, magari strizzando l’occhio al centrodestra… Nasce perciò il Partito Democratico, un contenitore roboante che nessuno sa cosa contenga: quali siano le linee programmatiche, quali le posizioni su temi di interesse comune sono elementi che stanno, per ora, solo nella testa dei loro padri fondatori. E del lider maximo, Walter Veltroni, nuovo prezzemolo della politica italiana che sta superando per sovraesposizione mediatica quella del Berlusca dei tempi d’oro. Vorrei che qualcuno mi spiegasse che partito può mai venire fuori dalla sinistra pur annacquata dal riformismo feroce dei Ds e da un partito dichiaratamente di centro pieno zeppo di teodem, un partito che somiglia più all’Udc che al resto della cosiddetta sinistra… Quale anima avrà? Quale identità mostrerà al paese? Come cercherà di risolvere i problemi della gente? Di chi non trova lavoro? Di chi non riesce ad arrivare a fine mese? Come si porrà sulle questioni dei diritti civili? Sulla fecondazione assistita? Sul testamento biologico? Sull’eutanasia? Sulle coppie di fatto? Sulla laicità dello Stato? Quale sarà l’anima che prevarrà, un nuovo deplorevole clone della Democrazia Cristiana o una fotocopia stinta di quella che un tempo fu la sinistra? Per ora sembra che per Veltroni e compagnetti l’unico problema ad affliggere gli italiani sia la legge elettorale…

Andiamo dall’altro lato. Cominciamo da Mastella, chiaramente. Ex democristiano, politico di lungo corso – non mi pare abbia svolto altri lavori nella sua vita –, opportunista fino dentro il midollo, è stato il primo a gettare via la maschera e a dichiarare di volersi staccare dal centrosinistra per un “nuovo grande centro”: con il numero di elettori che lo ha scelto può sperare tutt’al più in un centrino decorativo. Saltiamo la nuova, inquietante deriva populista di Berlusconi di cui abbiamo già parlato ed andiamo a quelli che una volta erano i suoi alleati. La Lega innanzitutto: come al solito, poche idee ma confuse. Guidata da Calderoli, la Lega è ormai solo un’accozzaglia di xenofobi schiumanti di rabbia che vede tutto il male dell’Italia nell’immigrazione e che di tanto in tanto si limita a ripetere l’ormai trito leit motiv del federalismo che non impressiona più nessuno. Folklore un tantino destabilizzante, ma pur sempre folclore. Preoccupa invece la nascita di nuove formazioni di destra non esattamente inquadrabili (“La Destra” di Storace ad esempio) e lo sdoganamento di formazioni chiaramente incostituzionali come Forza Nuova che approfittando del malcontento popolare e della parziale incapacità che possiede questa sinistra slavata e mollacciona nel risolvere i problemi della gente si insinuano promulgando pericolose idee impastate di fumose dottrine sociali, violenza e prevaricazione. Il fenomeno del neofascismo, poiché antidemocratico, dovrebbe essere arginato sul nascere invece di essere lasciato libero di germogliare e mettere radici.

Ormai completa è invece la trasformazione di Alleanza Nazionale a partito moderato, accorta l’opera di Fini nel mostrarsi un politico attento ai bisogni della gente e pronto ad un accordo con la maggioranza per il bene del Paese. Non a caso AN negli ultimi anni ha guadagnato non pochi consensi ai danni di FI e Udc: il partito di Gianfranco Fini è ormai un partito di centro che ha messo in soffitta le vecchie uniformi d’orbace in nome di un maggiore appeal politico. Fame di poltrone per dirla alla buona. Infine due battute su Casini e la sua Udc. Come Fini, anche Casini ha gradito l’epurazione dei veterocomunisti avvenuta all’interno del Partito Democratico. Inoltre, conscio del fatto che ormai può fare a meno di Berlusconi per arrivare al potere, adesso sembra quasi aspettare a braccia aperte l’invito dei democratici con la richiesta di un governo centrista, riformista e moderato.

Non subito, chiaramente. Il cadavere di quella che un tempo lontanissimo fu la sinistra è ancora caldo, non si specula così presto sui morti… I nostri politici hanno degli ideali, dopotutto.

martedì 6 novembre 2007

Non ci posso credere



Scicli, Santa Maria la Nova

lunedì 5 novembre 2007

Ricorda il cinque novembre


giovedì 1 novembre 2007

Vieni avanti pretino

Anche se in ritardo non potevo evitare di intervenire... Prima di tutto i fatti. La Repubblica decide di pubblicare sul proprio sito un’inchiesta a puntate (qui, qui, qui, e qui) realizzata da Curzio Maltese. Argomento: la Chiesa cattolica e i suoi costi. Un’inchiesta pacata e professionale che traccia senza troppi eufemismi il quadro impietoso di una istituzione diventata macchina per far soldi o poco più, sanguisuga del governo italiano e peso non indifferente per i cittadini del nostro Paese. La replica del Vaticano non tarda ad arrivare attraverso le parole stizzite e il cipiglio offeso del segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone. “Finiamola con questa storia dei finanziamenti alla Chiesa: l'apertura alla fede in Dio porta solo frutti a favore della società. [...] C'è un quotidiano che ogni settimana deve tirare fuori iniziative di questo genere...”.

Finiamola.

Per un attimo visualizzo Curzio Maltese sul rogo e le sue opere condannate alla damnatio memoriae, poi ricordo la nostra fortuna di vivere nel ventunesimo secolo. Finiamola. Con tono autoritario e fuori luogo il cardinale Bertone reagisce ad una inchiesta seria e legittima, come se esistesse ancora l’Indice dei libri proibiti e l’imprimatur della Santa Sede. In questo caso il giornalista non cerca uno scoop, anzi, possiamo dire che Maltese non ha detto nulla che già non sia stato letto altrove. Ha puntualizzato i dati, certo, ma le sue non sono rivelazioni affatto sensazionali. Conoscevamo abbondantemente i costi della Chiesa cattolica così come i privilegi diretti ed indiretti di cui gode, conoscevamo i favori della politica che vanno ben oltre le pastoie del Concordato così come l’asso pigliatutto dell’otto per mille...

Finiamola.

Curioso come il segretario di Stato vaticano s’indigni per questioni economiche e non dottrinarie. Parliamo di religione ma per favore non toccateci i soldi... Il problema di fondo di ogni istituzione religiosa, sia essa cattolica, protestante, islamica, ebraica, hindù, scintoista o di qualunque altra confessione è che ritiene possa rappresentare la fede del credente. Confusione millenaria: pretendere che la fede possa essere disciplinata da un sistema di regole e precetti frutto della cultura di un popolo e che tale sistema sia l’unico e il solo a regalare un rapporto privilegiato con una supposta entità superiore. La religione dipende dalla fede, non il contrario! “L’apertura alla fede in Dio”, frase pomposa con cui il cardinale si riempie la bocca, dunque non può avere nulla da spartire con i finanziamenti alla Chiesa cattolica. Non solo. Un vero credente potrebbe considerarla offensiva, perché un conto è aiutare i propri simili in difficoltà, un altro è finanziare una multinazionale arrogante che nasconde i propri guadagni dietro un paravento religioso.

Finiamola.

“L’ora di religione è sacra” ricorda inoltre Bertone. D’accordissimo signor cardinale. Per quanto mi riguarda possiamo anche raddoppiare le ore dedicate alla religione: ma che durante queste ore si parli di religioni, del loro rapporto con gli uomini, della necessità tutta umana di trovare una spiegazione all’inspiegabile, del loro fascino, della loro importanza ma anche dei danni che hanno provocato nelle società. Che si parli di religione in maniera estesa, complessa, critica insomma, e che l’ora di religione non si limiti a qualche discussione sterile sulla morale e sull’etica cristiana spacciata come l’unica possibile. In un paese che si definisce laico e pluriconfessionale, la dottrina lasciamola fuori dalle scuole.

E allora finiamola, cardinal Bertone, ma finiamola davvero. Finiamola di considerare tabù certi argomenti scomodi per la Chiesa cattolica. Finiamola di pensare che possa esistere ancora la "Santa" Inquisizione e i roghi di libri proibiti. Finiamola di considerare la Chiesa cattolica al di sopra delle parti. Finiamola di considerare normale e legittima la pioggia di finanziamenti alla Chiesa così come tutti i privilegi di cui gode. Finiamola soprattutto di considerare la Chiesa cattolica come un ente puro ed immacolato, come il faro della moralità in mezzo al lerciume del mondo: la Chiesa è fatta di uomini, e come tale imperfetti. Uomini che non hanno alcun diritto di accampare pretese sulla vita di altri uomini.