sabato 29 aprile 2006

Tenetemi fermo

Vittorio Sgarbi, indegno rappresentante del genere umano, ha ufficialmente rinunciato alla sua candidatura a fianco di Cuffaro: inutile dire che candidare Sgarbi in Sicilia sarebbe stato come proporre Ficarra e Picone alla presidenza della Camera e del Senato. Sembra tuttavia che il critico d’arte contribuirà – in tempi e modi da stabilire – alla campagna elettorale di Cuffaro. Un uomo certamente indispensabile per Totò vasa vasa e per la Sicilia tutta, in special modo per le sue inaspettate virtù divinatorie. Un grande medium.

Un uomo capace di calpestare anche la dignità dei morti usandone il ricordo come schermo e sfruttando bassamente una forza morale che lui, misero incazzoso tapino frangettato, non potrà mai nemmeno comprendere. Non esistono parole né conati per esprimere lo sdegno che l’ultima balordata di un farnetico come Sgarbi ha provocato in me. “Se Borsellino fosse vivo non avrebbe appoggiato la sinistra ma avrebbe votato Cuffaro”. Sì, avete capito bene.

Quel Borsellino.

Paolo Borsellino, giudice del pool di Palermo ucciso barbaramente dalla mafia. Mi fa schifo la simile strumentalizzazione di un morto. Soprattutto di un morto per mafia. Soprattutto da parte di un imbecille egocentrico come Vittorio Sgarbi. Soprattutto da chi non conosce una realtà complessa come la Sicilia e si permette di sindacare come fosse Dio in terra. Soprattutto per appoggiare la candidatura di un uomo già ampiamente compromesso come Cuffaro.

Nessuno si può permettere di infangare la memoria di un grande uomo candidandolo d’ufficio per uno schieramento piuttosto che per un altro. Il sacrificio di Borsellino e di eroi come lui è un infame patrimonio che va difeso a tutti i costi, infame perché patrimonio di sangue e di ferite cosparse di sale: il sacrificio di un eroe. E non ho timore se uso una parola fin troppo grondante di retorica – ecco come muore un siciliano verrebbe da dire. Eroe è chi, potendo scegliere, sceglie la strada più difficile, il destino più amaro per la folle speranza di un futuro diverso se non migliore. Borsellino, Falcone, Livatino, Dalla Chiesa e tanti altri uomini e donne come loro non cercavano la fama, la copertina di qualche rotocalco per casalinghe annoiate, la gloria. Era solo la fede nella giustizia e nella legge che ogni giusto custodisce nel proprio cuore, non la fede in un partito. E Paolo Borsellino era certamente un giusto.

Un giusto che sudici buffoni come Sgarbi non dovrebbero permettersi nemmeno di sfiorare con il pensiero.. ..

mercoledì 26 aprile 2006

Una mattina mi son svegliato

E ho trovato un invasore perfido e malefico che sembra aver attecchito nelle atrofiche testoline di molti giovani italiani. Il peggior nemico nella peggiore combinazione possibile. L'ignoranza indifferente dell'idiota. Come a dire “Non lo so, sono contento di non saperlo e non me ne frega niente”. Seguo con disgusto le interviste che il Telegiornale Unico propone senza nemmeno una punta di sconcerto. La domanda sempre uguale: “Sai cosa si festeggia oggi?”. Nella maggioranza dei casi sguardi bovini persi nel vuoto col labbruccio corrugato in attesa che qualche frammento di sistema nervoso decida di far vibrare le loro corde vocali in un boh? malarticolato.

Per fortuna qualcuno risponde, dopo non pochi tentennamenti, la Liberazione: peccato che quando l'intervistatore dispettoso replichi chiedendo “la liberazione da cosa?” la quasi totalità degli intervistati si rinchiuda in un mutismo assorto e si rivesta del rassicurante sguardo bovino di cui sopra. Quando non accampa ridicoli pretesti per non rispondere – scusa, vado di fretta – o ride beatamente della propria ignoranza – ma che ne so, boh, l'ho pure studiato... ah ah ah.

Mi preoccupa l'abulia degli italiani. Mi preoccupa il loro sapersi accontentare di un piccolo mondo fatto di minuscole certezze, di un puzzle sconclusionato che si compiace della propria pochezza. Un mondo fatto di reality show e tabloid, di notiziole irrilevanti e di lavoro alienante, di soldi a tutti i costi, di telefonini, di Bacardi briiiiiiiiz e di stupida apparenza. Un mondo in cui non c'è posto per la memoria storica, in cui le guerre sono intelligenti e gli ideali sono stati triturati nel Big Mac del liberismo.

Mi dà fastidio la retorica patriottica, la rettorica dannunziana. Non provo alcun sentimento quando vedo la bandiera italiana garrire al vento. Non canterei l'inno di Mameli con la mano sul cuore. Non mi sento particolarmente orgoglioso di essere italiano. A dirla tutta non avrei motivo di sentirmi italiano se non per identità storica, forse anche solo per motivi legislativo-geografici... Quelle poche volte in cui sono uscito fuori dall'Italia o in cui ho parlato con stranieri alla domanda Where are you come from? ho sempre risposto, senza alcun indugio, Sicily e solo successivamente Italy. Eppure mi fa male vedere l'ottundimento di tanti miei coetanei che ignorano la storia d'Italia e un evento così importante come il 25 aprile, ricordo di quel 25 aprile 1945 in cui il CLN liberava definitivamente dall'incubo nazi-fascista città quali Genova, Milano e Torino.

Al di là della rettorica celebrativa che eventi simili comportano non posso che avere rispetto per il 25 aprile, non posso che essere infinitamente grato a quegli uomini e a quelle donne che abbracciarono la causa partigiana e che ebbero il coraggio di lottare contro la notte dello spirito. Quegli uomini e quelle donne che lasciarono a tutti noi un'eredità importantissima in un paese finalmente libero dalla dittatura e dall'oppressione fascista. Forse dopo la guerra si poteva davvero urlare la parola libertà senza sentirsi un povero malato d'utopie.

Gli italiani hanno perso la memoria perché questi eventi sembrano loro lontani, seppelliti ormai nel cimitero della storia. Sono passati sessantuno anni da allora, è vero, e il numero dei testimoni diretti sta lentamente diminuendo e con esso il sentimento legato a questa festa. E quando anche l'ultimo partigiano morirà la Resistenza forse non sarà altro che un evento come tanti da buttare nel grande frullatore della Storia. Ma non dobbiamo permetterlo: semplicemente, non possiamo. Ecco perché si deve mantenere vivo il ricordo, ecco perché gli ideali di allora non vanno solo venerati ma tenuti vivi ed applicati giorno dopo giorno.

D'altronde il passato serve perché nel futuro non ci si debba vergognare di questo presente.

sabato 22 aprile 2006

Il nocciolo della questione

Adesso mi sono stufato di quello che dicono i media. Di quelle notizie stranamente collegate da un unico filo rosso di sangue: prezzo del petrolio che sale da un lato – anche se ci si riferisce solo al preziosissimo brent del mar del Nord –, Iran e minaccia nucleare dall'altro. I media, di quelli che sanno solo pappagallare le notizie diffuse dagli organi d'informazione embedded. Di quelli che fanno il gioco del potente di turno. Posto che Mahmoud Ahmadinejad, il premier iraniano, è un tantino fuori di testa e potrebbe essere disposto a realizzare ciò che dice – tipo cancellare Israele dalle carte geografiche –, e posto che mi sento più tranquillo se quell'uomo non possiede testate nucleari, pochissimi hanno parlato della reale minaccia che l'Iran rappresenta per la comunità internazionale. Soprattutto per chi è abituato a fare i propri affari in dollari. Date un'occhiata qui e se non capite l'inglese qui.

Pochi sanno dell’intenzione di Teheran di aprire un mercato di scambio internazionale del petrolio. La maggior parte del greggio mondiale è scambiata al Nymex di New York o all’Ipe di Londra: entrambi appartengono a grandi società americane e operano in dollari. Il progetto iraniano è invece quello di aprire una borsa internazionale del petrolio in euro: capirete come questo rappresenterebbe una seria minaccia per il valore del dollaro, che crollerebbe sotto il peso di una moneta più forte. Considerate che l’Iran accetta pagamenti in euro fin dal 2003, mentre Saddam aveva cercato di farlo già dal 2000 giusto per indispettire gli Stati Uniti, che infatti reagirono in maniera piuttosto violenta. Non dimentichiamo che uno dei primi provvedimenti di Paul Bremer fu quello di imporre l’uso esclusivo del dollaro per la vendita del petrolio… Anche la Russia, il Venezuela e alcuni membri dell’Opec vorrebbero passare all’euro, e non è escluso che la Cina potrebbe seguire il loro esempio. La Cina, il paese che possiede la più grande riserva di valuta americana, uno dei primi esportatori negli Stati Uniti… Beh, riuscite a immaginare le conseguenze di un simile cambiamento? Il dollaro crolla e l’economia statunitense con lei.

Ecco la vera minaccia iraniana per gli Stati Uniti. Altro che nucleare.

giovedì 20 aprile 2006

Scuola di giornalismo #1

La Sicilia del 18-04-06, edizione di Catania, pag. 35. Un grumo di parole in alto a sinistra m’informa che nella notte qualcuno ha avuto l’infelice idea di sparare contro la vetrina di un bar di via Etnea. Esplodere alcuni colpi d’arma da fuoco avrei potuto dire, tanto per usare uno dei tanti triti e ritriti luoghi comuni di certo giornalismo d’informazione, quello che, per intenderci, potrebbe benissimo risolversi nella sintesi estrema di due righe se non fosse diluito con inutili espressioni di questo tipo. Quello del nosocomio comunale, del tempestivo intervento delle forze dell’ordine che ha scongiurato il peggio, quello dell’insano gesto, quello delle traduzioni in carcere – per inciso, da piccolo pensavo che in carcere fossero tutti dei colti poliglotti, ma questa è un’altra storia.

Quello che mi ha colpito è stato il taglio dato alla notizia. In poche righe si spiega che i proiettili hanno danneggiato la vetrina, che il bar ha cambiato gestione da poco e che il proprietario non riesce a dare un senso ad un’azione simile. Ora, credo sia sufficiente il quoziente intellettivo di un peperone per capire che un atto come questo seguito dalla più classica delle dichiarazioni va letto come un avvertimento ad un commerciante non ancora aduso ai meccanismi che regolano la riscossione del pizzo.

È solo un trafiletto, d’accordo. Le classiche due righe in cronaca. Non ci sono nemmeno le iniziali del giornalista che gli ha dato vita. Va bene, che avesse scritto gli inquirenti non escludono alcuna pista avrei anche potuto accettarlo visto che su alcuni scomodi argomenti buona parte della stampa locale glissa sapientemente, ma che abbia scritto potrebbe trattarsi di una semplice bravata (cito a memoria, scusate, ma il termine bravata me lo ricordo bene) no, questo no. Non lo accetto.

È un insulto all’intelligenza del lettore e alla dignità professionale di un giornalista.

sabato 15 aprile 2006

Quelli che al Nord le cose funzionano meglio

Ho deciso di scrivere questo appunto in risposta ad un commento che Faith ha lasciato sul post precedente, "La banalità del male". Il commento era il seguente:

bhe, la mafia non morirà mai... è piuttosto significativo che lo stesso provenzano viveva latitante da 40 anni , sempre a CORLEONE!! non si è mai spostato... fallo qua al nord.. ti trovi l'antimafia in casa dopo 12 ore, neanche... è la siciglia che ha il germe della mafia dentro di lei... non se ne libererà facilmente!!!

"Fallo qua al nord". Queste sono le classiche frasi che precludono ogni possibile dialogo con me. Che solitamente sono piuttosto tranquillo, ma quando sento o leggo simili parole divento a dir poco intrattabile. Faith, non cominciamo a parlare di superiorità o meno del Nord rispetto al Sud, per favore.

Non esiste un'Antimafia del Nord e una del Sud, esiste l'Antimafia e basta. Se poi vuoi fare polemica su Grasso e sul suo lavoro a Palermo accomodati pure, ma non porre il problema in questi termini semplicistici. Non so che conoscenza hai del fenomeno mafioso ma dovresti sapere che la semplice criminalità (quella che avete in abbondanza dalle vostre parti e che non manca nemmeno dalle nostre) ha delle caratteristiche che la mafia non possiede. Il fenomeno mafioso è radicato al territorio, sono io stesso il primo ad affermare una cosa simile. Ma non credere che i rapporti tra la criminalità, gli affari e la politica esistano solo al Sud, non pensare che la non-cultura omertosa esista solo al Sud, e soprattutto, non credere che qui, al Sud, in Sicilia, non si faccia niente per distruggere questo cancro malefico che è la mafia.

CI SBATTIAMO
CONTRO
IL GRUGNO OGNI GIORNO. E non parlo certo della retorica dell'antimafia che in questi ultimi anni sembra aver preso piede: si moltiplicano le manifestazioni significative da parte delle istituzioni ma concretamente si fa poco e nulla - e può accadere che la figlia di Beppe Alfano debba dover ricorrere ad una denuncia pubblica, attraverso i media, per poter essere presa in seria considerazione dalle forze dell'ordine. Non parliamo poi di Cuffaro, la cui contiguità con ambienti mafiosi è stata accertata senza ombra di dubbio dalla magistratura: risulta tuttora indagato, per cui aspetterò il lavoro dei magistrati e solo dopo un loro giudizio vedrò se posso chiamarlo mafioso o meno. Non guardare queste cose. Guarda i piccoli Nessuno che non scappano di fronte a tanta miseria e degrado, guarda chi rigetta disperato questo stato di cose, guarda chi ha l'incoscienza della denuncia pubblica, ma soprattutto guarda l'elenco delle donne e degli uomini ammazzati dalla mafia - abbreviato nel post precedente solo per motivi di spazio.

Un elenco che dovrebbe renderti partecipe di questo immenso desiderio di liberazione, folle, idealista, sprovveduto per quanto vuoi ma sempre presente in noi siciliani.

Siamo un popolo fiero, noi siciliani, nel male della criminalità organizzata come
nel bene esasperato di un'etica per la giustizia... Siamo ancora troppo pochi, ma non credere che non esistiamo. Siamo più dei mafiosi, questo è certo: loro hanno dalla loro parte solo la forza della violenza, solo il potere della paura. E allora o si innesca una vera e propria guerra civile al di fuori di ogni legge - io ci sto, tutti contro tutti e vediamo cosa esce fuori - o si ha fiducia, nonostante la sua prolungata e colpevole latitanza, nonostante la sua inefficienza, nello Stato italiano e nelle sue istituzioni. Si fa poco perché come ho detto nel post precedente la mafia sembra essere radicata nel nostro dna come una terribile malattia genetica. Ma il compito dei piccoli Nessuno è proprio quello di sradicare questa non-cultura che attecchisce prima di tutto nella povertà materiale della gente, una parte della quale andrà a rimpinguare le fila della manovalanza mafiosa.

Come ho scritto anche altrove - e scusa l'autocitazione - se lo Stato non è presente, per chi parteggi?
Per un leviatano sconosciuto che non garantisce quei servizi minimi che dovrebbero esistere in un paese civile (che infatti sono presenti in altre regioni d'Italia e anche in alcune parti della Sicilia), o per un’organizzazione pur illegale, ma che ti dà la possibilità di un’esistenza dignitosa? Vedi l'esempio della cosca dei Lo Piccolo a Palermo e capirai. Mi dirai forse che la gente può scegliere se cambiare le cose o se arrendersi alla contingenza. Potresti dirmi che la gente invece di pensare all'oggi dovrebbe essere più lungimirante. Beh, in maniera del tutto populista (non me ne vogliano certe persone) posso dirti che devi pur mettere insieme il pranzo con la cena, o per citare Eliot "Nessuno può essere saggio a stomaco vuoto". Eliminiamo prima le sacche di povertà materiale, diamo un livello minimo di civiltà a questa gente e vedremo che la delirante ed imbecille etica mafiosa si affievolirà per poi spegnersi definitivamente. Io parlo così perché ho avuto la fortuna di nascere e crescere in una famiglia tutto sommato benestante, in un ambiente in cui la cultura della legalità è stata sempre al primo posto, in una città in cui la mafia è sempre stata piuttosto silenziosa (per suo vantaggio, si capisce), anche considerando il fatto che Modica è da almeno una quindicina d'anni la lavanderia del denaro sporco di buona parte della Sicilia sud-orientale. Una ventina di banche per una città di 60.000 abitanti mi sembra un dato piuttosto insolito.

Ma non so cosa avrei detto o in che modo avrei agito se fossi nato allo Zen di Palermo o se fossi cresciuto tra i casermoni degni del peggiore socialismo reale del Librino di Catania.

Perciò non venirmi a dire che al Nord certe cose non potrebbero accadere: accadono allo stesso modo, solo che i criminali e i latitanti hanno un altro volto e un'altra storia. Senza contare che il binomio Sicilia-criminalità organizzata è sempre stato un connubio succulento per i media che non aspettano altro se non sguazzarci dentro come tanti porcellini grufolanti. Fa comodo vivere di luoghi comuni. La Sicilia è mafia, la Sicilia è la coppola e la lupara,
la Sicilia è la donna col fazzoletto nero in capo, la Sicilia è il carretto e lo scacciapensieri, la Sicilia è la cassata e la pasta con le sarde, la Sicilia è Taormina e Mondello.

Colore locale. Punto. Ma esiste anche un'altra Sicilia. Quella di cui nessuno parla (perché non fa comodo), quella dei muli infaticabili, delle capre testarde, la Sicilia di chi non si arrende all'agonia della luce. Di chi tiene testardamente in mano il cerino che illumina l'oscura caverna del nostro futuro.

A costo di bruciarsi le dita.



mercoledì 12 aprile 2006

La banalità del male


Eccolo

Bernardo Provenzano, il boss dei boss, il capo-feticcio di Cosa Nostra, in manette dopo 43 anni di latitanza. Non vi nascondo di essermi commosso alla notizia di questo arresto, non vi nascondo che per qualche secondo sono rimasto stordito, imbalordito, incredulo. Hanno arrestato Provenzano! Provenzano. Provenzano... Una gioia incredibile è esplosa all'improvviso, una euforia che mi ha spinto ad avvisare repentinamente amici e parenti della notizia. Provenzano arrestato, Provenzano in gabbia! La mafia non ha più un capo!

Eh sì, come no.


Dopo i primi minuti di euforia la gioia per l'arresto viene subito offuscata dalle nubi della razionalità. Provenzano è stato arrestato a Corleone, a due chilometri dalla città, in una casa di campagna qualsiasi. Arrestato praticamente a casa sua. Non stava scappando, non si sentiva braccato, non si nascondeva sottoterra o nelle intercapedini dei muri di casa: era là, con la sua sgangherata macchina da scrivere per i suoi ancora più sgangherati ma temibili pizzini. Dopo una breve formale resistenza all'arresto Provenzano si è "arreso" agli agenti della squadra mobile di Palermo e dello Sco dichiarando quasi subito la sua vera identità. Un
"Sono io" da far gelare il sangue. Perché catturato solo adesso, perché ci sono voluti 43 anni per fermare il suo predominio incontrastato? Non starò a fare ipotesi indimostrabili (ma non del tutto peregrine) sul possibile significato di un arresto simile proprio oggi, 11 aprile 2006, giorno successivo alle elezioni politiche. Un contentino simbolico, il tradimento di qualche giovane ambizioso che vuole tentare la scalata della Cupola, una punizione per Cosa Nostra da parte di alcuni esponenti politici compromessi con la mafia, il topo che per primo abbandona una nave che sta colando a picco, un feticcio da mostrare alla gente per dire che "lo Stato c'è" o cos'altro? Ipotesi indimostrabili, appunto.

Ma bisogna tenere a mente una cosa. Mai scordarlo. Una cosa importantissima e d'importanza fondamentale. La mafia oggi non ha arretrato nemmeno di un centimetro e lo Stato non ha vinto un bel niente. E' scacco forse, ma piuttosto che ad un matto ci si avvia verso uno stallo senza fine. Forse aveva ragione quello scriteriato di Lunardi (e non Urbani, come avevo erroneamente scritto) quando diceva che "con la mafia dovremo convivere". Mettere in galera Provenzano è stato solo un atto simbolico, un contentino. Perché domani i commercianti e gli imprenditori continueranno a pagare come prima il pizzo - forse più di prima, visto che adesso c'è una famiglia in più da mantenere -, domani i poveracci dei quartieri più disastrati delle nostre città dimenticate da Dio e dagli uomini (ma quale Stato, quale Stato) continueranno a fare la manovalanza della mafia, domani le imprese controllate da Cosa Nostra continueranno tranquillamente a lavorare facendo meravigliosi e succulenti affari con gli appalti della Regione o dello Stato Italiano, domani quei politici arrivati al potere con il sostegno della mafia rimarranno al loro posto a distribuire favori agli amici e agli amici degli amici. La mafia va verso la normalizzazione all'interno dello Stato, anzi, diventa una sorta di Stato parallelo che ha le proprie tasse, i propri appalti, il proprio servizio d'ordine, tutto spietatamente più presente ed efficiente dello Stato italiano - lo Stato, ma quale Stato.

L'arresto di Provenzano è stato solo un atto simbolico per una terra che non vuol saperne di cambiare. L'abbiamo in corpo e nella nostra dannatissima anima, la mafia, non riusciamo a farne a meno. Ci dà la sicurezza di uno Stato scellerato che non latita come invece continua a fare lo Stato italiano. Uno Stato, quello italiano, che ritorna senza pudore a mostrarsi nel suo feudo deriso e bistrattato solo quando qualche povero illuso si mette in testa di cambiare le cose, di lottare contro la mafia e ci lascia irrimediabilmente le penne. Arrestato un capo se ne fa un altro - e già persone come

Matteo Messina Denaro (nella foto) scalpitano per occupare il seggio lasciato vacante dal boss dei boss. Ci saranno nuovi morti di mafia, morti tra le cosche e morti tra innocenti... Di cosa vi scandalizzate? Nihil novi sub soli. E allora perché gioire per un pupazzetto che viene portato in giro trionfante dalla polizia e che viene insultato dalla folla radunatasi davanti alla questura di Palermo?

L'illusione è manifesta, ma lasciatemi almeno questo, vi prego. L'illusione che la morte di tanti poveri pazzi (perché questo sono stati, poveri pazzi idealisti) non sia stata inutile. Che Placido Rizzotto, Mauro de Mauro, Peppino Impastato, Mario Francese, Giovanni Spampinato, Pippo Fava, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Beppe Alfano, Libero Grassi, Don Pino Puglisi, Don Giuseppe Diana, Pio la Torre, Boris Giuliano, Antonio Saetta, Piersanti Mattarella, Carlo Alberto dalla Chiesa, Ninì Cassarà, Rocco Chinnici, Rosario Livatino, Antonino Scopelliti, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino... Ma quanti sono, quanti sono cazzo? Sono troppi. A centinaia, a migliaia, vittime di un sistema maledetto che non ha risparmiato nemmeno le piccole Caterina e Nadia Nencioni o Salvatore e Giuseppe Asta con la madre Barbara, o Giuseppe di Matteo... Lasciatemi credere che il sacrificio di così tante persone e di una intera terra sia ripagato in modestissima parte dalla cattura di questo contadinotto straccione, lasciatemi credere che la mia terra possa essere scossa finalmente dal torpore e dalla secolare sottomissione ad un potere fortissimo e capillare...

Peccato che non accadrà.

Lo sguardo gelido e il sorrisetto beffardo di un Provenzano in ceppi fanno capire che gli uomini "d'onore" (ma quale onore, semmai di viltà) continueranno a soffocare ancora per molto tempo la Sicilia con i tentacoli del loro potere tripartito. Mafia-politica-affari, lo ripeterò fino a quando avrò fiato in gola.
Forse la mafia sarà sconfitta un giorno, ma io di questo giorno non riuscirò nemmeno a vederne il chiarore. E così i miei nipoti. E i nipoti dei miei nipoti. E allora vaffanculo Provenzano che ti appropri delle nostre vite e le manovri come meglio credi, vaffanculo mafiosi, che vi credete i padroni di una terra che non vi appartiene, vaffanculo politici che speculate sulla povertà materiale e morale della gente dicendo di lottare contro la mafia a parole ma supportandola nei fatti - Totò, dovresti saperne qualcosa.

Allora vaffanculo siciliani senza dignità che non abbiamo il coraggio di isolare quattro idioti slavati anonimi coglioni e di sbatterli contro un muro, che non abbiamo il coraggio di dire BASTA. E ora vado a dormire e a sognare una Sicilia libera prima di svegliarmi nell'incubo di un giorno senza futuro, sempre dannatamente uguale.



credits: La Repubblica; Wikipedia.


venerdì 7 aprile 2006

Tira una brutta aria

Ho rivisto per l’ennesima volta l’angosciante conferenza stampa delle 12.30 di ieri tenuta da Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi.

Non riesco a crederci.

Lunedì pomeriggio finirà finalmente lo scempio della campagna elettorale più stupida, violenta e volgare che l’Italia ricordi. Eppure sono preoccupato. Sarà paranoia la mia, ma sono preoccupato. In questi giorni non faccio altro che ascoltare discorsi infiammati per le strade, nelle piazze, sui mezzi di trasporto, nelle università, nei bar, financo nella fila per pagare le bollette alla posta. Anche al supermercato o dal macellaio. Ovunque scontri verbali, contumelie, accuse reciproche di malgoverno e di malcostume politico.

Ma qui non si tratta delle solite discussioni da barbiere, di quei dialoghi sui minimi sistemi che si intrattengono solo per tirare un po’ la giornata ma che si concludono quasi sempre con il sorriso sulle labbra… C’è odio negli occhi della gente, un odio che non avevo mai visto. Un paese che mai è stato così diviso. C’è qualcosa di marcio che ha aggredito da tempo gli italiani e che risiede nelle cellule incancrenite della radicalizzazione dello scontro politico. Il confronto non è più tra coalizione di governo e coalizione d’opposizione. Lo scontro ormai è tra berlusconiani e antiberlusconiani: un uomo solo al centro del dibattito politico. Da una parte una coalizione che sembra avere ormai un unico scopo – distruggere la figura di Berlusconi –, dall’altra una coalizione che invece sembra adorare Berlusconi come un dio e che è disposta a lottare, a difendere e forse anche a morire per il leader. È il leader l’unico attuale soggetto politico italiano. Il padre della patria. Il difensore delle “libertà” e della democrazia. Il demagogo.

“…è assurdo che […] ci siano dei funzionari, dei dipendenti, degli impiegati dello Stato pagati coi soldi dei cittadini che tramino, che tramino, che tramino contro il presidente del Consiglio che lavora per tutti gli italiani… è un’infamità ed è un’infamità che si usino questi mezzi per convincere dei cittadini a scegliere un altro voto durante la campagna elettorale. Questo voglio portare a conoscenza di tutti i cittadini italiani perché riflettano sul futuro che si preparerebbe se queste forze che in combina assoluta con questi indegni magistrati potessero prendere, oltre al potere che hanno già nei gangli principali della società, potessero prendere anche la maggioranza nel parlamento e avessero una concentrazione di potere anche col governo del paese. È una denuncia che faccio indignato nel profondo e convinto a continuare in questa battaglia di libertà per me, per i miei figli, per la mia famiglia, per i miei collaboratori, per tutti i cittadini italiani, per quelle donne e uomini liberi che vogliono restare liberi e vivere in un paese libero e in una piena democrazia”. Questo è uno stralcio della conferenza stampa di ieri. Un elemento abnorme, un cuneo cacciato a forza tra le pagine della comune dialettica politica democratica, uno scellerato attacco da parte di una delle più importanti figure istituzionali nei confronti dell’opposizione che si sta presentando alle elezioni, un proclama delirante che ha il sapore della fatwa più che dell’ammonimento. L’Italia non è un paese caduto nella guerra civile, per carità, ma è come se si stesse combattendo una sfiancante guerra fredda tra destra e sinistra del paese (parlo della gente, non solo dei partiti politici) in cui ciascuna delle due parti tira sempre più in alto, aggiunge un’altra fascina per alimentare il rogo dell’odio, e un’altra, e un’altra, e poi un’altra ancora… Non riesco a staccarmi da quel video, lo vedo e lo rivedo in continuazione. E ogni volta mi sale un brivido lungo la schiena. Le parole di Berlusconi, quelle parole hanno qualcosa di sinistramente familiare… Poi ricordo.

Il primo discorso alla nazione di Augusto Pinochet, comandante del colpo di Stato che rovesciò il presidente del Cile Salvador Allende, eletto attraverso libere elezioni.

martedì 4 aprile 2006

Lasciatemi divertire #2

Su segnalazione di PhyStyle e del suo blog State Freschi ho deciso di inserire anch'io il video di quest'uomo. Giovanni Bivona, candidato alle provinciali girgentine del 2004. Un uomo con poche idee ma confuse. Un uomo che, nonostante il suo linguaggio esilarante, il lessico non molto forbito e il suo "programma" alquanto aleatorio, talora sembra aver capito più cose dei problemi reali della gente reale. La mancanza d'acqua, i rifiuti, il clientelismo, il mancato sviluppo... E allora, d'ora in poi protestiamo, protestiamo, protestiamo, protestiamo e PROTESTIAMO!

Ps: non perderò tempo a parlare del "coglione" che Berlusconi ha dato ad una buona fetta di italiani. Lasciamolo fare, si sta uccidendo da solo con la corda del suo delirio di onnipotenza superomistica. Più ha paura, più si muove, più si strozza.

Come nella migliore tradizione dell'incaprettamento.




Lo scontrino finale

Arrivati al redde rationem strappiamo lo scontrino finale dalla cassa di un imbalsamato e viscido Bruno Vespa. Non dirò più nulla perché mi sono stufato di Berlusconi, di quest'uomo arrogante, irritante e borioso che non sa dire null'altro se non "l'Italia è un'azienda troppo complicata". Mi sento amareggiato in quanto italiano mio malgrado (anche se la posizione geografica mi rende più vicino all'Africa che all'Italia). Mi sento insultato da questo imprenditore dal passato torbido al quale non è bastato l'immenso potere mediatico raggiunto anche grazie al sostegno e alla protezione di persone come Craxi, al quale non è bastata la "discesa in campo" del '94 e la conseguente fortuna di demagogo resa possibile solo dai colpi di ramazza sulla Prima Repubblica dati dal pool di Milano - la magistratura comunista che adesso tanto odia ma che prima gli ha fatto molto comodo, per capirci.

Non sono un dipendente della sua azienda. Non sono un dipendente dello Stato. Non sono uno strumento dello Stato, una spugna da spremere, un mattone con coi costruire il muro di una supposta democrazia, un future da investire in Borsa. Non sono un replicante, non sono un automa, non sono un pezzo anonimo della catena di montaggio "ITALIA". Sono UNA PERSONA.

UNA PERSONA.

E quest'uomo non lo vuole capire. Non ne posso più di Silvio Berlusconi. Non ne posso più di Romano Prodi. Non ne posso più di fascisti redivivi, di sepolcri imbiancati e di estremisti cattolici che si inchinano ai diktat della Chiesa cattolica o che non invocano la pena di morte solo perché sono cristiani. Non ne posso più di gente con due o più famiglie, amanti e figli illegittimi che pretende di difendere un valore astratto come quello della famiglia. Non ne posso più di gente che considera assurda la redistribuzione della ricchezza - meglio dare la caramellina della pensione a un milione di lire o lo zuccherino degli incentivi per il neonato, tanto poi lo crescono loro con i loro soldi... Non ne posso più dei dibattiti, delle tribune politiche, delle invettive scambiate e degli insulti continui. Infine non ne posso più di incontri paludati che fingono una par condicio inesistente che solo persone come me sono tenute a rispettare. Io, miserrimo speaker per divertimento e necessità di un programmino dilettantistico e senza pretesa alcuna, signor Nessuno di una minuscola radio iblea. Ok direte, e i 250.000 euro di multa ad Emilio Fede? Sono anche pochi se fate un rapido calcolo: mezz'ora di propaganda elettorale, tre volte al giorno per... per quanti anni? Non fatemi ridere per favore. Sanno solo buttare fango l'uno addosso all'altro, strumentalizzare bassamente il mostruoso e bestiale omicidio di un bambino, sputare supposte cifre Istat anche negando l'evidenza, illudere gli elettori per ingozzarsi con la propria fetta di potere - tanto le briciole agli uccellini bastano e avanzano. L'importante è che la gabbia sia sempre chiusa.

Per non farci scappare. Per non farci capire cosa significhi davvero una parola fin troppo abusata e della quale sembriamo aver scordato il vero significato. Libertà.

lunedì 3 aprile 2006

Ma che genere fanno?



Un’intervista è sempre un coitus interruptus tra spazio e tempo di due persone. A volte un piacere, un onore o un’emozione, talora solo una seccatura per il giornalista, più spesso una glaciale formalità sia per l’intervistato sia per l’intervistatore. Fortuna che non sono un giornalista. Sebbene stia cominciando a muovermi per entrare a far parte di questa setta di iniziati e del loro Ordine (temuto più dei sanguinosi Templari e rigido più di un cataro figlio d’eresia) non mi sento un giornalista: ecco perché i miei approcci con gli artisti che ho avuto e che, spero, avrò il privilegio di intervistare sono spesso di genere fantozziano. Solitamente li attendo per ore sperando che possano dedicarmi un po’ del loro tempo per rispondere a domandine a volte insolenti e provocatorie – non sempre, dipende da chi ho davanti… Mmm, forse non è un atteggiamento giornalisticamente corretto. Ma io non sono un giornalista.

Inoltre, anche quando ottengo l’intervista senza particolari problemi devo tener conto nella maggior parte dei casi di location piuttosto scomode o insolite: si va dalle scale di una viuzza modicana per Pippo Pollina (con tanto di miagolii di gatti in calore e Gigi d’Alessii in sottofondo), a bordo piscina per un gentilissimo Cisco dei Modena in déshabillé, al camerino-loculo-forno che ospitava Jorge degli Inti-Illimani, alla posizione di orante inginocchiato per Giovanni Lindo Ferretti…

Per fortuna stavolta la mia chiacchierata con Valentino Bianchi dei Quintorigo è stata più rilassante e tranquilla degli standard a cui sono abituato. In albergo, un lusso che pochi artisti finora mi hanno concesso: senza contare poi l’informalità dell’incontro e l’affabilità di tutti e cinque i ragazzi e del loro tour manager che mi hanno fatto sentire subito a mio agio. Certo non mi aspettavo di trovare dei professoroni d’orchestra con la puzzetta sotto il naso e la capacità di annientarti con uno sguardo di tracotanza e di superiorità. Ho trovato dei ragazzi normalissimi con cui potresti tranquillamente andare a bere una birra o scambiare quattro chiacchiere senza problemi di alcun tipo. Dei ragazzi che sul palco lasciano correre a briglia sciolta tutta la loro bravura in un misto fra teatralità, dadaismo e follia. Senza contare che l’ingresso di una voce straordinaria come quella di Luisa Cottifogli ha dato al gruppo una nuance ulteriore che prima non possedeva.

Il problema sorge quando qualcuno, incuriosito dalla descrizione che ne faccio mi chiede: “Ma che genere fanno?”. Eh eh. Chiedere il genere dei Quintorigo è come chiedere che sapore ha il blu di Prussia o l’odore del si bemolle: semplicemente, è impossibile definirli. Pensate allo shaker di un barista impazzito in cui si mescolano la musica classica e il più rigido accademismo, il jazz accattivante dei bordelli di New Orleans del primo novecento o i coretti del più antiquato falsetto Cetra, il rock di Jimi Hendrix o dei Deep Purple o gli effetti sonori e le voci filtrate dei dj. Senza dimenticare violini distorti come fossero chitarre elettriche e voci suonate come trombe… Più o meno come se un Beethoven impasticcato a dovere avesse deciso di scrivere un’opera a sei mani con David Bowie e un Charlie Parker alticcio al punto giusto e il libretto fosse stato scritto da Woody Allen e le scene disegnate da una Ellekappa ispirata. Ironia, intelligenza, originalità e bravura. I Quintorigo.

Non riesco a credere che abbiano partecipato a quel desolante piattume di litanie cuore-amore che è il festival di Sanremo… Anche le migliori famiglie hanno degli scheletri nell’armadio.



Ps: la foto e i conseguenti diritti sono di Sergio Bonuomo.

Sia mostro o bollitor d'infante

Non avrei mai creduto che un giorno mi sarei trovato dalla parte di Berlusconi. Non avrei mai creduto di doverlo difendere: ma amicus Plato sed magis amica veritas sono costretto a dire attraverso lo sfoggio d’una inutile quanto professorale latinità. Mi riferisco ad un fatto accaduto qualche giorno fa a Napoli, durante una delle tante convention all’americana in cui il Cavaliere Nero incontra tutti i suoi vassalli, seguaci e cavalier serventi. Periodo di elezioni, inutile dirlo, in cui ciascuno schieramento si diverte a buttare fango sull’altro cercando di annientare l’altrui credibilità. Chiaro che l’Unione in confronto al loro avversario è una povera dilettante. Non si può competere con i professionisti del sovvertimento e della verità annacquata, soprattutto non si può competere con il Gran Visir di tutti i mentitori. Il Silvio nazionale.

Eppure stavolta devo rendere atto, caso più unico che raro, della correttezza di una sua citazione. Durante il suo acceso proclama il Berlusca inserisce per l’ennesima volta nel discorso “Il libro nero del comunismo” citando gli episodi terribili che si registrarono durante il celeberrimo e disastroso “balzo in avanti” di Mao e le conseguenze che portarono, tra l’altro, alla spaventosa carestia del 1958 - 1962. Un episodio strumentalizzato ad arte in cui si citano cannibalismo e bambini bolliti per farne concime, un vizio di forma del discorso che vorrebbe condurre ad un insensato parallelismo non tanto con il partito comunista cinese odierno, quanto con la sinistra italiana attuale. E non si può che condannare senza mezzi termini la strumentalizzazione di episodi simili che riguardano la storia di un paese complesso come la Cina e che non hanno alcun legame con la storia della nostra Italia e della sinistra italiana, nemmeno di quella più radicale. Simili paragoni non hanno ragione d’esistere – nemmeno in campagna elettorale – poiché degni delle peggiori missioni di disinformacija staliniane.

Peccato che non possa dire lo stesso riguardo alla veridicità storica dei fatti citati. Compatta come non mai l’intera sinistra italiana si è affrettata ad attaccare le dichiarazioni di Berlusconi bollandole come pure falsità e deleteri luoghi comuni, ribadendo anzi l’amicizia tra l’Italia e la Cina (pecunia non olet, si sa). Ma stavolta, mi duole dirlo, la citazione di Berlusconi è corretta. A pag. 460 del suddetto libro si legge una citazione in cui si parla anche di questo, citazione tratta dal saggio di Jasper Becker "La Rivoluzione della fame" edito dal Saggiatore. Certo sembra impossibile che simili barbarie si siano perpetrate fino a pochi decenni fa. Non posso crederci. Non vorrei crederci. Ma Jasper Becker è un giornalista serio ed accreditato che ha vissuto per tanti anni in Cina: non è un giornalista dallo scoop facile né un tipo a cui piace falsificare la storia per favorire un’ideologia piuttosto che un’altra. Credo che quanti abbiano difeso e difendano acriticamente la Cina solo perché in essa governa ancora il fantasma corrotto di una grande ideologia avanzino una pretesa piuttosto stupida. Qualunque ideologia forte, una volta al potere, si è macchiata di crimini orrendi pur di mantenere la posizione conquistata. Non esistono buoni o cattivi: esistono ideologie meno colpevoli di altre, ma nessuna ha le mani monde del sangue dei propri oppositori.

Non vorrei credere che in Cina si bollivano cadaveri di bambini per farne concime. Anche se, stando alle testimonianze e ai fatti citati da più di uno storico tutto ciò sembra essere accaduto. Non vorrei crederci, tant’è l’abominio di un atto simile. Così come non volevo credere alle immagini del piccolo “ladro” iraniano storpiato dalla ruota di un’auto, così come non volevo credere alle lapidazioni delle adultere o all’infibulazione, così come non volevo credere che i generali di Videla in Argentina o di Pinochet in Cile studiassero nelle accademie militari il modo più scientifico e straziante per torturare gli oppositori politici o che gli stessi generali facessero addestrare dei cani per stuprare le donne detenute costringendole a confessare reati inesistenti, così come non volevo credere alle torture dei militari italiani in Somalia, così come non volevo credere all’infamia di Abu Graib e di Guantanamo. A dirla tutta non potevo nemmeno credere che per soldi una bestia miserabile avesse potuto uccidere un bimbo di diciotto mesi con un colpo di pala in testa.

Non volevo crederci, ma ho dovuto.

L’uomo, l’unico essere cosciente della propria intelligenza. L’uomo, l’unico essere che decide lucidamente della propria malvagità.