lunedì 14 novembre 2011

Sic transit bunga bunga

Un potente trascinato nel fango e decaduto per le sue stesse colpe dovrebbe suscitare in ciascuno di noi, oltre al comprensibile desiderio di vendetta, anche un senso di umana pietà e compassione. E di rispetto. Mi hanno sempre turbato le figure penzolanti di Mussolini, della Petacci e dei gerarchi fascisti nell'abominio di piazzale Loreto, così come, attraversando il tempo e lo spazio della storia, il corpo inerte di Ceauşescu e la maschera sanguinante di Gheddafi seviziato prima dell'esecuzione. Ricordo con una certa vaghezza – ero piccolo allora, per nulla interessato di politica – Bettino Craxi braccato dalla folla assiepata all'hotel Raphael, colpito da uova e monetine, mentre il giustizialismo spicciolo chiedeva la forca per quei politici che fino al giorno prima erano stati osannati, temuti e pregati dallo stesso popolo italiano che sembrava improvvisamente odiarli con tutta la loro anima. Gente incapace di comprendere che i nemici si combattono con tutte le forze ma in guerra e che, una volta soffiato via l'odio degli opposti sentimenti, è il principio della giustizia a dover prevalere. Non i cristiani nell'arena, non la sete di sangue. Legittima e comprensibile, eppure da soffocare. Non fosse altro per far comprendere agli sconfitti l'inesorabilità di una legge che mette da parte il rancore in nome di un principio di nobile convivenza umana al quale avevano mancato di sottomettersi.


Ho rivisto più volte le immagini di Silvio Berlusconi che arriva al Quirinale per rimettere il suo mandato nelle mani del presidente Napolitano. La folla inferocita, le monetine, gli insulti. Stesso trattamento per i ministri del governo dimissionario. La festa una volta confermata la caduta del governo Berlusconi. Le voci che si rincorrevano, la felicità della gente per la fine di una farsa di terz'ordine, pagliaccesca e tragica allo stesso tempo, che ha attraversato l'Italia per diciassette anni e ne ha stravolto malignamente la dialettica politica. Anzi, l'intero Paese. Diventato peggiore che prima della fatale “discesa in campo”, quando solo in pochi si accorsero di un imprenditore senza scrupoli che aveva seriamente intenzione di comprare l'Italia erigendo una perversa logica dell'apparire a sistema di governo. Costruendo intorno a sé una corte dei miracoli fatta di tirapiedi, clienti, giullari, farabutti e puttane, sorda alle necessità della gente ma prostrata alle esigenze di un tiranno sempre più lontano dal mondo e sempre più vicino allo squilibrio mentale. Mescolando vita privata e istituzioni pubbliche, agevolando il distacco dei cittadini dalla politica, favorendo la nascita di miopi populismi incapaci di possedere una visione politica a lungo termine, piazzando nei posti di potere indegni gabellotti a lui fedeli oltre ogni decenza, svuotando la politica di senso e riducendola a slogan, insulti, pornografia e barzellette. Lasciando, infine, l'Italia ad un passo dal baratro, se non già in caduta libera. E adesso che Berlusconi non è più al governo forse anche i suoi più accesi sostenitori comprenderanno in quale impalpabile velo autocratico siamo stati avvolti e da quale malattia la nostra democrazia dovrà cercare di guarire. Con il timore, più che radicato, che tale malattia si sia già cronicizzata e sia ormai impossibile da estirpare. Come una metastasi dilagante scoperta troppo tardi per riuscire ad intervenire.


Rimane un solo rimpianto.


Guardando la folla pronta a linciare gli esponenti di questo governo dimissionario e in primo luogo il comandante in capo, mi chiedo quanti fra la gente assiepata non abbiano cambiato maldestramente casacca all'ultimo momento. Quanti, tra la folla, hanno sostenuto Berlusconi per anni, lo hanno adorato, supplicato, ne hanno ripetuto ossessivamente i mantra, quanti hanno vissuto all'ombra della sua corte, fosse anche nella satrapia più lontana dal cuore del regno, e atteso senza vergogna gli avanzi. Quanti, tra la folla, hanno deriso gli oppositori della prima ora, ridicolizzati e tacciati per cornacchie ideologizzate incapaci di comprendere la bellezza del nuovo che avanzava. Chissà quanti, davvero.


Rimane il rimpianto, allora. Se tutti i berlusconiani per convenienza avessero dato ascolto alla loro coscienza e non alle lascive promesse di potere e denaro del loro leader forse questo circo Barnum avrebbe potuto smontare le tende già tanti anni fa, evitando all'economia italiana il macigno di una speculazione finanziaria senza precedenti e il rischio concreto di trascinare nel fondo più fondo l'intera economia mondiale. Se i parlamentari “eletti” dal popolo avessero avuto a cuore le sorti del loro Paese come dicono forse oggi non saremmo stati costretti a cedere sovranità ai cartelli finanziari e alle agenzie di rating e forse oggi non avremmo avuto un governo tecnico con la linea di comando dettata dalla BCE e il beneplacito di Francia e Germania.


E quando Mario Monti e la sua squadra cominceranno a dissanguare gli italiani per far fede agli impegni presi con l'Europa non additate la megalomania di un uomo che ha reso peggiore, anzi, che ha distrutto l'Italia e diviso gli italiani generando solo odio e rancore. Guardate alla pochezza di quegli uomini e di quelle donne che, per loro squallido tornaconto, hanno calato le braghe ad ogni capriccio del loro capo portando l'Italia alla rovina. Potevano mandarlo a casa e non l'hanno fatto. Hanno guadagnato privilegi e vitalizi nell'impoverimento generale di una nazione. E allora, quando lo sterile esercizio della politica chiederà nuovamente agli italiani di partecipare alla farsa dalle elezioni fatemi un favore: ricordate i nomi e i cognomi di chi ha scaraventato l'Italia nel fango e fate quello che va fatto. Con rabbia e coscienza.

domenica 13 novembre 2011

Fine dei giochi