Per
quanto bizzarra possa apparire come idea, anch’io un tempo ero bambino.
Prepotente e capriccioso, le poche volte in cui giocavo con altri volevo sempre
vincere. Si era in campagna, e di pomeriggio l’incontro con i miei coetanei
aveva il sapore esotico e raro di viaggi verso terre lontane. Abituato in un mondo di giochi solitari in
cui mi ritrovavo unico despota e tiranno, non riuscivo a concepire l’idea che a
volte ci si dovesse accontentare di condividere una vittoria con altri, o peggio,
riconoscere mestamente una sconfitta. Outsider in organismi consolidati,
cercavo allora di stringere alleanze strategiche con i bambini più popolari,
non disdegnando nemmeno la presenza di bulletti precocemente incattiviti dal
quartiere in cui vivevano: qualsiasi cosa pur di vincere. E vincevamo. Ma la
vittoria aveva un sapore amaro, perché subito dopo lo sbruffoncello che mi
aveva accolto nel suo gruppo per ragioni di convenienza facendomi sentire parte
indispensabile subito mi metteva da parte, relegandomi a gregario e ultima
ruota di un carro sul quale io avevo voluto salire a tutti i costi.
Se
ho voluto condividere questo episodio minimo di ordinaria esistenza non è certo
per ragioni di narcisismo autobiografico ma per insolito parallelismo con ciò
che potrebbe accadere in un futuro prossimo. Per motivare una scelta, meditata
e sofferta ancorché inevitabile. Alle
prossime elezioni regionali voterò Platinette. Con determinazione e convinzione,
sebbene, com’è ovvio, Platinette non abbia alcuna intenzione di presentarsi alla
corsa verso il governo della Sicilia. Per quanto bizzarra possa apparire come
idea, non si trattava della mia prima scelta. Rosario Crocetta volevo fosse il
mio presidente. Sindaco antimafia di Gela, eurodeputato: una vita blindata,
sacrificata all’idea che la nostra terra possa soffocare il morbo mafioso,
sotto scorta continua e senza privacy alcuna, per cercare di sopravvivere a
vigliacchi familiari eppure senza nome che lo avrebbero voluto morto. Lo
stimavo, lo ammiravo. Dopo una bellissima intervista nella quale era riuscito a
trasmettermi un fuoco di passione civile d’altri tempi lo avevo votato con
speranza. Lo avrei votato ancora, supportato pur anche la sua campagna
elettorale, pur di averlo come presidente della Regione.
Ma
adesso no, non più.
Capisco
la Realpolitik, davvero, e da un pezzo ho attraversato l’età in cui gli
ideologismi erano in grado di intossicare anche il giudizio più equilibrato.
Comprendo la necessità di governare una regione complessa come la nostra e avverto
la difficoltà di gestire le contraddizioni che un territorio come quello
siciliano mostra. E tuttavia non riesco, proprio non ci riesco, ad accettare
certi compromessi ambigui e proteiformi. Da una parte Crocetta, uomo di lotta e
barricate, uomo di piazza e di opposizione – spesso strategica ma sempre dura e
sanguigna. L’uomo che ha consegnato alla giustizia 350 uomini appartenenti alle
cosche mafiose di Gela. Dall’altra invece gente come Francesco Musotto, Antonio
Dina e Gianpiero D’Alia, e ancora esponenti o transfughi da partiti reazionari quali
Udc o Fli, partiti mai amanti dei grandi rivolgimenti culturali, progressisti a
parole ma depositari in alcuni casi dei peggiori cascami della politica degli
ultimi decenni. Partiti talora invischiati, inutile nasconderlo, in vicende
poco cristalline e mai realmente chiarite legate a esponenti della criminalità
organizzata… I cannoli di Cuffaro ve li siete forse scordati?
Lo
struscio a braccetto lungo il corso della politica siciliana tra Crocetta e la
sua coalizione di “uomini di buona volontà, progressisti e moderati”
rappresenta un’immagine che mai avremmo voluto vedere. Una convergenza verso il
passato, un enorme balzo all’indietro in nome di un potere da voler afferrare
per i capelli a tutti i costi… Che tristezza vedere un uomo della levatura di
Crocetta costretto a questi compromessi. Certo, ci sarebbe Fava potreste dirmi.
Nome illustre con altrettanto illustri figure al suo fianco: Leoluca Orlando,
Rita Borsellino. Illustri perdenti, se ricordate, nella folle corsa al governo
della Sicilia. Eppure allora ci sembrava di aver fatto le cose per bene: una
svolta per la Sicilia, il nuovo corso. Quasi tutto il centrosinistra compatto
alle sue spalle (Margherita a parte, ma non prendiamo discorsi che potrebbero
farmi allontanare dal mio consueto aplomb). La legalità, l’antimafia. I
giovani. Il Rita-express. Ci avevamo creduto per davvero, allora, ma la fragile
speranza di un cambiamento si era infranta contro il muro della macchina da
guerra cuffariana. E adesso si pretende che due partitini, pur di buona volontà,
come Sel e Idv possano sconfiggere il gigante dalle molteplici teste formato
dal Pd, dall’Udc la cui nervatura è composta dagli stessi che nel 2006
sconfissero la Borsellino, dall’Api composto da ex margheritini e da altri
partiti minori. Non ci credo, mi spiace. E allora tutto sarà finito, per
l’ennesima volta. Così finirà come quando i comunisti dei bei tempi andati
facevano opposizione strumentale ai governi, perdendo – non ai guasti generati
dal potere politico, che quello faceva gola a tutti –, mentre tutti gli altri,
i socialisti, i socialdemocratici, i repubblicani, stringevano grandi alleanze
con l’immota e passatista Dc di Salvo Lima e di Andreotti fottendosene
allegramente del popolo siciliano.
Crocetta
era l’ultimo politico siciliano di cui avevo ancora fiducia. Ma adesso la
delusione per la sua scelta mi ha portato ad una decisione dolorosa. Forse
anche vigliacca, ma almeno in questo frangente inevitabile. Magari un giorno
qualche altro uomo o qualche altra donna si affaccerà all’orizzonte portando
una politica nuova e l’entusiasmo di un cambiamento, voluto, cercato e
inseguito. Ma fino ad allora ho deciso.
Abbandono
la posizione. Lascio il fronte sguarnito. Diserto. In attesa di qualche messia
che possa guidare questa terra verso la salvezza. O in attesa che il mondo
finalmente rovini verso l’abisso di una palingenesi definitiva trascinando con
sé le macerie dell’esistente. E che da essa sorgano ancora, e ancora una volta,
generazioni di ratti astuti e accomodanti, maiali col monocolo, scarafaggi in
doppiopetto, nuovi volti e vecchi signori di una terra maledetta che forse non
merita altro che la morte e l’approdo verso il nulla.