mercoledì 10 dicembre 2008

Compleanni

Sessant’anni, traguardo importante. L’età della saggezza si diceva una volta, il tempo dei primi consuntivi per gli esseri umani. Ma anche anniversari per episodi da ricordare, giorni che si elevano a simbolo, eventi incisi nella memoria dell’umanità che nessuno dovrebbe mai dimenticare. Celebrazioni inutili, d’accordo, retoriche: ma necessarie, affinché non si perda la consuetudine con un principio ideale e ci si sforzi per metterlo in pratica ogni giorno.

Sessant’anni si scriveva a Parigi la Carta universale dei Diritti dell’Uomo. Proprio oggi.

Il mondo era appena uscito dalla mattanza della seconda guerra mondiale, respirava l’aria rarefatta di una pace firmata con il sangue di milioni di vite e sancita sull’orrore di un’apocalisse atomica. Era facile, all’indomani di una carneficina di proporzioni planetarie, desiderare la pace e desiderare che ogni singolo cittadino del mondo potesse godere di diritti primari, inalienabili. Era l’entusiasmo del sole che fa capolino dalle nuvole dopo una orribile tempesta, la gioia dell’esser sopravvissuti all’abominio che portò il 10 dicembre 1948 a proclamare solennemente i diritti fondamentali di ogni essere umano e a trascrivere su carta questi principi, firmati e sottoscritti dalla gran parte delle nazioni del pianeta.

Celebrazioni pompose in tutto il mondo oggi, retorica e parole vuote a fronte della continua e sistematica violazione dei diritti più elementari che ancora oggi si perpetuano in molti paesi, alcuni dei quali considerati civili dall’opinione pubblica. Marcette, documentari, convegni, iniziative ufficiali. Meno male che ci pensano i civili Stati Uniti, pratici ed efficienti, a movimentare un po’ l’anniversario. A profanarne il simbolo, a svuotare di significato un giorno così importante. Oggi infatti è prevista l’esecuzione di Ronald A. Gray, soldato semplice, accusato di aver violentato tre donne e di averne uccise due con l’aggravante del sadismo. Non esattamente un agnellino, diciamo: una mela marcia da isolare, uno schifoso individuo che tutti avrebbero voluto in qualche cella e la chiave buttata fra le profondità dell’oceano.

Nella barbarie rappresentata dalla cosiddetta giustizia che uno Stato di diritto è tenuto ad amministrare tuttavia esiste una distinzione fondamentale, un privilegio inutile ed insensato in tempo di pace. La giustizia militare. Paradossalmente il criminale Ronald A. Gray avrebbe potuto essere graziato da una legislazione di casta che prevede, in caso di condanne a morte di militari, l’autorizzazione a procedere del comandante in capo delle forze armate. Il presidente degli Stati Uniti nella fattispecie. L’ultima condanna a morte di un militare risale infatti a cinquant’anni prima, quando nel 1957 Dwight Eisenhower firmò per l’ultima volta l’autorizzazione a procedere. Ecco arrivare dunque l’ultimo colpo di coda di George W. Bush. Cristiano, guerrafondaio: 152 esecuzioni autorizzate da governatore del Texas, fanatico sostenitore della pena di morte.

That’s all folks.

martedì 9 dicembre 2008

Kossiga: post scaduto, ma non troppo

“Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell`Interno. In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito. Lasciar fare gli universitari. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!... Questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l`incendio”.
(Francesco Cossiga, dopo le proteste di studenti, insegnanti e precari contro
la Gelmini)


Molti avranno sentito un brivido percorrere la schiena… È brutto sapere di aver avuto ragione e trovare conferma qualche decennio dopo attraverso le dichiarazioni deliranti di un Presidente Emerito della Repubblica Italiana nonché senatore a vita. Francesco Cossiga. Emerito magari, ma l’aggettivo preferirei associarlo ad altro sostantivo più calzante. Parole aberranti, o forse no. Perché esiste una lucidità glaciale in queste dichiarazioni: non sono le parole di un vecchietto arteriosclerotico. Sono le parole dell’uomo di Stato di oggi e di ieri… Cossiga. Anzi, Kossiga. Simili dichiarazioni chiudono un cerchio che si era aperto il 12 maggio del 1977. Finalmente si capiscono molte cose e si capisce sempre più come l’Italia sia stata (sia tuttora?) governata da un potere occulto e deviato capace di destabilizzare, creare disordini ad hoc e, se necessario, uccidere.

Che cosa successe il 12 maggio del 1977? Leggete qui e capirete.

Il 12 maggio 1977 moriva a Roma Giorgiana Masi, uccisa dai colpi di una pistola impugnata da mani ignote. Nei giorni successivi diverse persone, tra i quali Marco Pannella, sottolinearono in dichiarazioni ufficiali la presenza di agenti in borghese nascosti tra i dimostranti che contribuirono a provocare e ad aizzare la folla. I politici del tempo smentirono categoricamente e il caso fu archiviato senza che il colpevole o i colpevoli potessero essere identificati e dunque puniti. Ma forse oggi sappiamo chi fu il responsabile politico di quella morte, la persona che fece infiltrare agenti tra la folla col solo compito di devastare e inquinare un momento di rivendicazione civile. Per confondere e destabilizzare. Per creare odio.

Adesso sappiamo chi ha ucciso Giorgiana Masi. O meglio, da cosa è stata uccisa: dalla violenza di Stato, dai provocatori del Potere. In un paese democratico, realmente democratico come minimo si aprirebbe una commissione d’inchiesta per indagare sulle parole di Cossiga e sul ruolo che ricoprì allora, si ricercherebbero gli uomini dello Stato di un tempo, i poliziotti, i carabinieri, gli uomini del servizio segreto e gli si chiederebbe conto e ragione di quell’episodio oscuro della storia italiana recente. In un paese democratico, dopo dichiarazioni simili, cadrebbero molte teste. In un paese democratico, non da noi: perché il Potere rigenera se stesso e fagocita quanti si oppongono al suo permanere.