domenica 20 maggio 2012

Una storia semplice


Le nuvole nere dell’autunno della nostra presunta democrazia si addensano all’orizzonte ancora una volta tuonando tragicamente nel lampo di una bomba, lasciando sull’asfalto polvere e sangue, rabbia e paura. Cordoglio e polemiche, sciacalli, passerelle e dolore in un gorgo senza fondo che inghiotte ogni lucidità lasciando spazio alle emozioni senza controllo e alle domande tragicamente retoriche alle quali è difficile dare risposta. Difficile, forse impossibile a darsi. Chi sono? Cosa vogliono? Perché adesso? Perché a Brindisi? Perché una scuola?

È stato comodo, a caldo, per qualche giornalista dal luogo comune facile indicare la solita matrice anarco-insurrezionalista. Poi la Sacra Corona Unita. Poi la mafia. Poi chissà, “nessuna pista esclusa al momento”. Bisognerebbe essere cauti, allora, nell’esprimere il proprio giudizio sulla matrice di questo vile attentato. Stare zitti e aspettare. Essere fiduciosi. Se non fosse che una vocina cattiva in testa risuona sin da stamattina continuando a ripetere ciò che non vorrei ascoltare, sussurrando coincidenze sospette e anomalie che preferirei ignorare. Forse è paura la mia. Un demone di cui l’Italia non si è mai davvero liberata potrebbe presto fuggire dall’inferno in cui credevamo di averlo relegato per sempre. E invece era solo rimasto in silenzio, quiescente, in attesa che i tempi fossero maturi per infestare nuovamente il nostro malconcio spirito naufrago…

Difficile ci sia una ideologia rossa o una bandiera nera dietro a questa bomba, difficile anche chiamare in causa la criminalità organizzata. Non ci credo, non è vero. Chi piazza una bomba ha due possibilità: lasciare che qualcuno la scopra prima che agisca o farla esplodere. Nel primo caso si tratta di un’azione dimostrativa che vuole mostrare la debolezza di quella persona, di quel gruppo o di quella istituzione alla quale è rivolta. Sono azioni estreme di piccoli gruppi radicali che pensano ancora di poter spingere il popolo italiano ad una ribellione contro uno Stato fantoccio o ad una lotta di classe fuori tempo massimo. Sbagliano nei metodi, qualche estremista potrebbe anche arrivare ad uccidere ma in questi casi l’atto eversivo si rivolge solo nei confronti di quello che viene considerato come il nemico. Il politico, il sindacalista. Tutt’al più si cercano di limitare i “danni collaterali” evitando di colpire degli innocenti. Si sentono in guerra contro lo Stato e come soldati agiscono. 

Ma a Mesagne la bomba è scoppiata, ha ucciso indiscriminatamente. È stata la criminalità organizzata, dicono allora. Troppe coincidenze, si continua a ricordare. L’anniversario dell’attentato a Falcone che cade proprio in questi giorni e la scuola intitolata al giudice e a sua moglie Francesca Morvillo. La carovana antimafia di Libera che si trova adesso in Puglia. Gli strani messaggi del figlio di Provenzano, la figlia di Riina che vive a San Pancrazio Salentino, a pochi chilometri dal luogo dell’attentato. Pino Rogoli, boss della Sacra Corona Unita di Mesagne, attualmente in carcere. Tante coincidenze davvero, forse anche troppo abbondanti. Come se qualcuno ci volesse convincere subito che si tratta di una storia semplice da dirimere. Come se puntare subito il dito riuscisse a distogliere da altri pensieri. Per questo motivo sarebbe bene ricordare che l’azione delle mafie è basata sul puro calcolo, mero e feroce.

La sopravvivenza delle organizzazioni criminali si fonda su tre punti: il consenso sul territorio, la forza economica e i legami con la politica. Una strage indiscriminata non procura consenso né favorisce le attività economiche delle organizzazioni criminali, anzi ne mette a repentaglio la gestione. Una bomba rappresenta per le mafie l’extrema ratio: per colpire un simbolo, per uccidere un uomo dello Stato. Per pagare pegno o chiedere conto ai suoi interlocutori più occulti. E un attentato feroce e vigliacco come questo, senza alcuna logica apparente o con troppe logiche imbeccate fa pensare più all’intreccio tra criminalità comune e settori deviati di uno Stato italiano che mantiene al suo interno ancora troppe figure ambigue e oscure. A qualcuno che ha interesse affinché l’Italia torni ad essere distratta, destabilizzata, tremante e incapace di agire. A qualcuno che vuole spingere verso determinate scelte politiche, altrimenti infelici e dolorosamente impopolari, impossibili da imporre attraverso le normali vie della democrazia.

Non venitemi a parlare di strage di mafia, non ci credo. La parte sana dello Stato italiano magari riuscirà a trovare gli esecutori di questo atto ignobile un giorno, magari tra qualche decennio, magari remando controcorrente tra insabbiamenti e false piste. Ma i mandanti, no. Quelli non riusciranno a trovarli mai. Nessuna strage di Stato in Italia ha mai avuto mandanti. Non sarà certo Mesagne l’eccezione.