Le nuvole nere dell’autunno della
nostra presunta democrazia si addensano all’orizzonte ancora una volta tuonando
tragicamente nel lampo di una bomba, lasciando sull’asfalto polvere e sangue,
rabbia e paura. Cordoglio e polemiche, sciacalli, passerelle e dolore in un
gorgo senza fondo che inghiotte ogni lucidità lasciando spazio alle emozioni
senza controllo e alle domande tragicamente retoriche alle quali è difficile
dare risposta. Difficile, forse impossibile a darsi. Chi sono? Cosa vogliono? Perché
adesso? Perché a Brindisi? Perché una scuola?
È stato comodo, a caldo, per
qualche giornalista dal luogo comune facile indicare la solita matrice
anarco-insurrezionalista. Poi la Sacra Corona Unita. Poi la mafia. Poi chissà,
“nessuna pista esclusa al momento”. Bisognerebbe essere cauti, allora,
nell’esprimere il proprio giudizio sulla matrice di questo vile attentato.
Stare zitti e aspettare. Essere fiduciosi. Se non fosse che una vocina cattiva
in testa risuona sin da stamattina continuando a ripetere ciò che non vorrei
ascoltare, sussurrando coincidenze sospette e anomalie che preferirei ignorare.
Forse è paura la mia. Un demone di cui l’Italia non si è mai davvero liberata
potrebbe presto fuggire dall’inferno in cui credevamo di averlo relegato per
sempre. E invece era solo rimasto in silenzio, quiescente, in attesa che i
tempi fossero maturi per infestare nuovamente il nostro malconcio spirito
naufrago…
Difficile ci sia una ideologia rossa o una bandiera nera dietro a questa
bomba, difficile anche chiamare in causa la criminalità organizzata. Non ci
credo, non è vero. Chi piazza una bomba ha due possibilità: lasciare che
qualcuno la scopra prima che agisca o farla esplodere. Nel primo caso si tratta
di un’azione dimostrativa che vuole mostrare la debolezza di quella persona, di
quel gruppo o di quella istituzione alla quale è rivolta. Sono azioni estreme
di piccoli gruppi radicali che pensano ancora di poter spingere il popolo
italiano ad una ribellione contro uno Stato fantoccio o ad una lotta di classe
fuori tempo massimo. Sbagliano nei metodi, qualche estremista potrebbe anche
arrivare ad uccidere ma in questi casi l’atto eversivo si rivolge solo nei
confronti di quello che viene considerato come il nemico. Il politico, il
sindacalista. Tutt’al più si cercano di limitare i “danni collaterali” evitando
di colpire degli innocenti. Si sentono in guerra contro lo Stato e come soldati
agiscono.
Ma a Mesagne la bomba è scoppiata, ha ucciso indiscriminatamente. È
stata la criminalità organizzata, dicono allora. Troppe coincidenze, si
continua a ricordare. L’anniversario dell’attentato a Falcone che cade proprio
in questi giorni e la scuola intitolata al giudice e a sua moglie Francesca
Morvillo. La carovana antimafia di Libera che si trova adesso in Puglia. Gli strani messaggi del figlio di Provenzano, la figlia di Riina che
vive a San Pancrazio Salentino, a pochi chilometri dal luogo dell’attentato.
Pino Rogoli, boss della Sacra Corona Unita di Mesagne, attualmente in carcere. Tante
coincidenze davvero, forse anche troppo abbondanti. Come se qualcuno ci volesse
convincere subito che si tratta di una storia semplice da dirimere. Come se
puntare subito il dito riuscisse a distogliere da altri pensieri. Per questo motivo sarebbe
bene ricordare che l’azione delle mafie è basata sul puro calcolo, mero e
feroce.
La sopravvivenza delle
organizzazioni criminali si fonda su tre punti: il consenso sul territorio, la
forza economica e i legami con la politica. Una strage indiscriminata non
procura consenso né favorisce le attività economiche delle organizzazioni
criminali, anzi ne mette a repentaglio la gestione. Una bomba rappresenta per
le mafie l’extrema ratio: per colpire
un simbolo, per uccidere un uomo dello Stato. Per pagare pegno o chiedere conto
ai suoi interlocutori più occulti. E un attentato feroce e vigliacco come
questo, senza alcuna logica apparente o con troppe logiche imbeccate fa pensare
più all’intreccio tra criminalità comune e settori deviati di uno Stato
italiano che mantiene al suo interno ancora troppe figure ambigue e oscure. A
qualcuno che ha interesse affinché l’Italia torni ad essere distratta,
destabilizzata, tremante e incapace di agire. A qualcuno che vuole spingere
verso determinate scelte politiche, altrimenti infelici e dolorosamente
impopolari, impossibili da imporre attraverso le normali vie della democrazia.
Non venitemi a parlare di strage
di mafia, non ci credo. La parte sana dello Stato italiano magari riuscirà a
trovare gli esecutori di questo atto ignobile un giorno, magari tra qualche
decennio, magari remando controcorrente tra insabbiamenti e false piste. Ma i
mandanti, no. Quelli non riusciranno a trovarli mai. Nessuna strage di Stato in
Italia ha mai avuto mandanti. Non sarà certo Mesagne l’eccezione.