Luminarie tamarre a Modica che nemmeno a Viareggio (negli anni '80, estrema periferia) per il "Carnevale Barocco" che di barocco non ha proprio niente. E poi il peggio del peggio. A parte il manifesto sgrammaticato con le "chiacchere" giorno 4 marzo ci sarà una degustazione di SALSICCIA e RICOTTA CALDA per la cittadinanza tutta. Già, avete letto bene. Ora mi chiedo: perché non si rendono conto? Seriamente, perché i "nostri" cari amministratori non si rendono conto di quanto ridicole, anacronistiche e terribilmente di cattivo gusto possano essere iniziative simili? Sarò ripetitivo ma mi chiedo ancora una volta quale indirizzo questa amministrazione voglia dare alla politica culturale e ricreativa della città. In questo momento stiamo raccogliendo una figuraccia dietro l'altra che sicuramente non farà bene all'immagine di Modica. E per favore, non ditemi che si tratta del "recupero della nostra identità o delle tradizioni" perché in tal caso si tratterebbe della banalizzazione portata ai massimi livelli. Se qualcuno avesse voluto davvero recuperare le nostre tradizioni allora avrebbe potuto leggere "L'antico carnevale della contea di Modica" di Serafino Amabile Guastella: allora sì che tra Sdirruminica e Sdirrimarti, tra Cannaruzzuna della festa e Zuppiddu potevamo riscoprire le nostre tanto violentate tradizioni. Così invece è solo farsi del male e ripiombare nel provincialismo più truce e burino.
giovedì 27 febbraio 2014
sabato 8 febbraio 2014
Tarì 9 per carne ed altro
Negli anni ’60 del XIX secolo fu affidato a suor Teresa del Cuor di
Dio, celleraria del Monastero di San Martino a Modica alta, il compito
di registrare minutamente gli introiti e gli esiti del convento. Denaro,
frumento. Dazi, gabelle, “provisioni” per la comunità. “Ricreazioni” e
“complimenti”.
Con scrittura nitida e precisa la
religiosa annota in un discreto italiano le voci di spesa e i relativi
oneri che la priora suor Teresa del Cuor di Maria Ciaceri salda per suo
meticoloso tramite. “Tumini tre di Fave a tarì 26 grani 8… Pesce Tonno
per salarlo rotoli 30 a tarì 19… Uova n. 40 a tarì 4… Caffè uno rotolo e
zucchero uno rotolo e mezzo comprato in diverse volte a diversi
prezzi”. Quale sorpresa dunque rinvenire, nascoste tra le pieghe della
piccola storia a rivelarsi allo studioso paziente, due voci di spesa che
solo in principio sembravano essere uguali alle altre.
“Settembre 1860. 24 detto [mese] erogati in compra di Carne ed altro per i condannati a morte”. I nove. Auçisu comu ê novi.
Poco si conosce di questo tristissimo episodio che vide nove modicani
arrestati, processati e condannati a morte in appena ventuno giorni
dalla Commissione speciale penale per violenze e reati contro il
patrimonio. Fucilazione.
La suora si attarda ad annotare i nomi
dei condannati e le circostanze straordinarie di questo episodio che
incrociò la placida vita del monastero e che dovette sconvolgere la
città intera per la gravità della condanna e l’esecuzione quasi
immediata. Alla cronaca asciutta del padre cappuccino Samuele da
Chiaramonte del 1897 e ai frammenti di notizie raccolte da qualche
appassionato di storia locale si inserisce adesso un piccolo tassello inedito capace di aggiungere una nota di umanità a questa vicenda infelice.
Dalla
notazione di suor Teresa del Cuor di Dio che ho avuto la ventura di
riportare alla luce scopriamo che il Monastero di San Martino fu quasi
certamente il luogo in cui si consumò l’ultimo pasto dei condannati a
morte prima della loro fucilazione. Pasto frugale, anche se in quei nove
tarì spesi “per compra di carne ed altro” vogliamo immaginare una
sincera pietas cristiana nei confronti di poveri scassapagliai che ebbero la malasorte di assurgere ad esempio della severità dal neonato governo dittatoriale.
Lievemente
diversi i nomi di alcuni di essi che però saranno segnati con gelida
fedeltà nei registri ufficiali e negli atti di morte della Comune
modicana. “Domenico Matarazzo, Carmelo Iachinoto, Francesco Floridia,
Iacinto Terranova, Giuseppe Alescio, Ignazio Zacco, Emmanuele e Bartolo
fratelli Terranova Aggeri, e Angelo Giannone Faccibella che sotto lì 24
settembre dalla commissione speciale furono condannati a morte” e in un
altro stralcio la suora precisa che fu “eseguita la sentenza sotto lo
stesso dì nel Campo Santo così detto di S. Maria lo Rito”.
Soltanto
lo stilo di una suora celleraria dunque, la quale nella ragioniera
computazione di “ovi”, “carcioffole”, “pasta al torchio” e salme di
frumento non poté fare a meno di includere i nomi di nove sfortunati
rubagalline che solo da pochi anni sono stati restituiti alla memoria
condivisa e non sempre onorevole della nostra città.