venerdì 30 giugno 2006

Lanormalità

Mercoledì scorso sono stato invitato dagli amici UAAR al Gay Pride di Catania. A supporto della manifestazione, a testimoniare un sistema di pensiero alieno da ogni forma discriminante e anche, inutile negarlo, per cercare nuovi “adepti” o simpatizzanti e far crescere così l’associazione. Pur non aderendo all’UAAR e pur non essendo del tutto ateo partecipo spesso e volentieri alle riunioni del gruppo e appoggio con entusiasmo le loro iniziative: con buona pace di Falstaff l’eresiarca che, cinta d’assedio la mia ritrosia a qualunque forma di tessera, spera di riuscire un giorno ad avermi tra i membri dell’associazione…

Ma torniamo al Gay pride. Quel giorno non ero a Catania e perciò sono stato costretto a rinunciare. Eppure non sono certo che anche se fossi stato in sede avrei partecipato: in generale non amo le manifestazioni di massa, soprattutto non amo questo genere di manifestazioni. Quale il senso dei carri allegorici, delle sfilate, degli striscioni e degli slogan? Quale la ragione dell’orgoglio? È questo il problema maggiore. Il sentirsi speciali. È vero che la società italiana basa per lo più la propria morale su quella cattolica e mi rendo perfettamente conto di quante gravi incomprensioni, dei problemi, della stupida e gretta emarginazione di cui molti omosessuali sono oggetto. Ma vedete, io non sono uno di quelli che tollera gli omosessuali. No, non riesco proprio a tollerarli.

Perché tollerare è un verbo terribile che sa tanto di saccenza ed ipocrisia: come se si fosse certi del proprio status di essere umano e, in ragione della propria superiorità statistica, si decidesse di concedere la possibilità d’esistenza a strambi individui dalle abitudini poco ortodosse, come se si dicesse “non riesco proprio a comprenderli, anzi a dirla tutta mi fanno un po’ schifo, ma siccome mi hanno insegnato che bisogna essere liberali, visto che ci sono, me ne faccio una ragione…”. È una società idiota quella che da una parte afferma la libertà d’azione e di coscienza dell’individuo e dall’altra continua a sorvegliare, emendare, giudicare e punire. In una società simile le provocazioni fini a se stesse hanno un valore limitato: possono strappare qualche sorriso o qualche commento indignato ma non contribuiranno certamente a migliorare la considerazione di chi è adagiato nella certezza della propria normalità sessuale. Anzi. Il frocio rimarrà frocio, la lesbica rimarrà lesbica.

Capirete dunque perché consideri controproducenti manifestazioni così frivole come il Gay Pride. Alimentano l’auto-ghettizzazione, fanno pensare agli altri che davvero chi sta sfilando sia diverso: mentre non c’è proprio nulla di speciale nell’essere omosessuali. Le cose cominceranno a cambiare davvero quando la comunità omo smetterà per prima di sentirsi diversa dal resto del mondo e considererà i propri gusti sessuali una semplice caratteristica della personalità senza ridicole ostentazioni. Un mancino non è additato dalla comunità in cui vive come un essere repellente, non si sente più diverso degli altri e sono certo che non organizzerebbe mai la Giornata Mondiale della Consapevolezza Mancina. Scrive con la mano sinistra, punto. Per il resto è una persona normale come tutte le altre. Così come un omosessuale: ama una persona del suo stesso sesso, punto. Per il resto è uguale a tutti gli altri. Potete uscire insieme, sbronzarvi insieme, vedere una partita insieme, andare a mare o che ne so? semplicemente parlare, magari anche litigare e insultarlo ma non perché gay o lesbica, solo perché rompicoglioni… La crescita culturale di una società passa anche attraverso le piccole azioni quotidiane dei singoli. Non sempre un corteo è necessario.

Ah, io sono eterosessuale. Ma non credo che questo aggiunga o tolga qualcosa all’economia del nostro discorso.

lunedì 26 giugno 2006

Heroa

Un uomo sceglie il proprio lavoro. Lontano da casa, clima inospitale, turni massacranti, la morte sempre in agguato. Alla fine della propria giornata si addormenta sognando la famiglia, la ragazza, la moglie o i figli che ha lasciato in Italia, confortato dal pensiero che il proprio sacrificio quotidiano servirà a fargli guadagnare velocemente il denaro necessario per trascorrere una vita serena. Quest'uomo muore. Ucciso in azione. Partecipare alle missioni di cosiddetto peacekeeping nelle zone più turbolente del mondo rende, si sa, ma tutti i lavori pericolosi hanno da possibile contraltare un ferimento invalidante o anche la morte. La salma ritorna in patria: cordoglio nazionale, la solita bandiera sul feretro, i media che continuano a riprendere familiari distrutti dal dolore e a registrare le opinioni di amici e conoscenti che definiscono eroe il caduto, la solita medaglia di latta, i soliti discorsetti, le solite polemiche.

Un uomo sceglie il proprio lavoro. Turni massacranti, pochi diritti, misure di sicurezza aleatorie, non troppo lontano da casa ma abbastanza da obbligarlo ad una vita da pendolare. Decide di abbandonare la cucina di una rosticceria per un posto da carpentiere: operaio specializzato, se gli va bene potrà guadagnare anche 100 – 150 euro al giorno. Un’autostrada in costruzione. Si gioca al ribasso, golosi appalti pubblici, si ha il sospetto che gli amici e gli amici degli amici si siano accaparrati ogni cosa lasciando le briciole alle aziende oneste… Crolla la piattaforma su cui quell’uomo sta lavorando: quattordici feriti, l’uomo muore. È il suo terzo giorno di lavoro. Cordoglio del mondo politico, qualche riga dai sindacati, prima notizia di cronaca sui principali media. Rimpallo di responsabilità, soliti discorsetti, solite polemiche.

Destino diverso.

Il primo un eroe, il secondo una vittima… Perché? Quale differenza corre tra due morti sul lavoro, forse il secondo è meno eroe del primo perché non ha voluto imbracciare un fucile per guadagnarsi da vivere? Eppure sono centinaia ogni anno gli incidenti mortali sul lavoro: di quelli non ne parla mai nessuno. Forse perché nella maggior parte dei casi sono solo dei poveracci che lavorano (spesso) in nero e si accontentano di poche centinaia di euro pur di campare? Forse perché non gonfiano il petto di uno stupido orgoglio nazionale o non spostano consensi elettorali? Forse perché qualcuno pensa che l’operaio meriti meno rispetto di un soldato? Forse davvero i morti non sono tutti uguali.

venerdì 23 giugno 2006

Deboli di Costituzione

Chi abbia perso ogni speranza nella democrazia elettiva non dovrebbe ragionevolmente appoggiarne le istituzioni. La democrazia elettiva difatti, fiore all’occhiello delle moderne concezioni politiche occidentali, è partita come affermazione della sovranità popolare per poi degenerare naturaliter a lotta tra oligarchie per la conquista del potere. Sorte non dissimile ha avuto la droga del sogno marxista: tagliata male con i resti dell’assolutismo zarista e spacciata come paradiso in terra da pusher senza scrupoli o da sognatori senza speranza, una delle utopie più affascinanti della storia del mondo ha cozzato, infrangendosi, contro il muro dell’egoismo umano.

L’unica forma di gestione della vita associata che tenga realmente conto della sovranità del popolo sembrerebbe essere dunque la democrazia diretta. In soldoni, una testa un voto. Viene subito in mente l’esperienza positiva, conclusa e mai più attuata in termini concreti dell’Italia dei Comuni, forse l’unico esempio recente – pur con tutti i limiti di un suffragio ridotto – di controllo diretto della cosa pubblica da parte dei singoli interessati. A questa esperienza puntava il pensiero di Camillo Berneri, ideologo libertario che cercò di superare sia attraverso gli scritti sia mediante l’azione concreta l’impasse in cui era caduta la teoria anarchica dei primi del Novecento, divisa tra l’annientamento del potere autoritario attraverso l’azione violenta e un gradualismo che strizzava sempre più l’occhio ai “cugini” comunisti. Purtroppo la morte violenta di Berneri (assassinato in Spagna dai sicari di Stalin in piena Guerra Civile) troncò ogni possibile sistematizzazione del suo pensiero e della sua teoria politica che, rimasta in nuce, è stata genericamente definita comunalismo berneriano.

Certo mi rendo conto che in un sistema politico moderno simili forme di gestione della cosa pubblica sarebbero impossibili vista la mole e la complessità di temi su cui il cittadino giornalmente sarebbe chiamato ad esprimersi. L’unica soluzione possibile sarebbe dunque una forma estrema di decentramento che desse ai cittadini di un paese la possibilità di autodeterminarsi e di decidere personalmente su un ampio ventaglio di problematiche. Detto in altri termini il federalismo.

Eppure a questo referendum io voterò NO. Senza mezzi termini. Senza esitazione.

Perché se è vero che il referendum fornisce l’illusione della sovranità popolare – il popolo dà l’assenso o il diniego su una questione ormai conclusa sulla quale non ha avuto alcun potere decisionale –, è altrettanto vero che con questo referendum possiamo fermare una riforma aberrante che distrugge a colpi di mannaia la Costituzione italiana attuando una forma federativa non priva di discriminazioni per certe regioni svantaggiate per motivi d’ordine economico e sociale… Ma andiamo con ordine.

Voto NO perché questa riforma istituisce la figura inquietante di un premier dai poteri praticamente illimitati. Una figura atipica che non ha precedenti a livello internazionale (se non, in parte, nel premierato israeliano) che esautora il presidente della Repubblica di ogni reale sostanza e lo trasforma da garante della Costituzione in semplice notaio, un premier che potrà ricattare la Camera e il Senato federale con la minaccia di uno scioglimento e che viceversa potrà essere sfiduciato solo attraverso un meccanismo contorto e difficilmente realizzabile. L’unica forma di premierato forte l’Italia l’ha conosciuta durante un ventennio del secolo scorso, e non mi sembra sia andata molto bene per il Paese.

Voto NO perché il federalismo fiscale, pensato dalla Lega e cucito addosso al meccanismo produttivo del Nord, non tiene conto delle evidenti ed obiettive disparità economiche e dei diversi tassi di crescita registrati da ogni regione. Non voglio l’assistenzialismo di un fondo di perequazione che sprechi finanziamenti a pioggia senza risolvere i problemi, non voglio nemmeno che l’iniziativa personale sia stroncata dall’ostilità e dalle difficoltà presenti nella terra in cui si vive. Va bene rimboccarsi le maniche, ma se non abbiamo nemmeno la camicia diventa difficile farlo.

Voto NO perché la devolution selvaggia in materie essenziali quali sanità, ordine pubblico ed istruzione contribuirebbe ad allargare l’abisso già esistente tra regione e regione. Soprattutto senza istituti di controllo federali. Si dice che in Sicilia cambierebbe poco o niente visto lo Statuto speciale di cui godiamo: considerato che la mia regione, nonostante l’eccellenza dei propri medici, gode del più alto numero di casi di malasanità in Italia dovrei stare tranquillo, non credete?

Voto NO perché lo smembramento del sistema bicamerale in favore di una Camera nazionale e di un Senato federale creerebbe una doppia burocrazia nonché la confusione e l’incertezza sui rispettivi ambiti di competenza provocando la lievitazione abnorme dei ricorsi alla Corte Costituzionale.

Voto NO perché l’aumento dei membri della Corte Costituzionale di nomina politica accentuerebbe la politicizzazione dell’organo che sarebbe soggetto ancor più alle tensioni e agli squilibri d’ordine politico.

Voto NO per non regalare alla Lega la possibilità di formare legalmente nuove entità politiche a se stanti in barba all’unità del paese (vi invito a leggere l’art. 53, commi 13-14 della legge costituzionale).

Voto NO infine perché una simile riforma diminuirebbe il numero dei rappresentanti il Parlamento. Lasciamo stare la vergognosa e parziale pubblicità propagandistica di Mediaset che punta solo su questo aspetto tralasciando gli altri – ribadisco: la par condicio la devo rispettare solo io? Nonostante su questo aspetto i Poli siano piuttosto concordi io rimango fortemente contrario alla diminuzione dei deputati: ritengo che una riduzione della rappresentanza generi una ulteriore ed antidemocratica restrizione della base rappresentata. Quello che proporrei invece sarebbe il raddoppio dei rappresentanti al Parlamento in modo tale da avere maggiore e più ampia rappresentanza del popolo italiano. Ad una condizione: dimezzarne l’indennità mensile, se è vero che gli emolumenti dei parlamentari gravano così tanto sul bilancio pubblico. Stessa spesa, maggiore rappresentatività. Certo è più facile ed elettoralmente conveniente parlare di una riduzione dei parlamentari piuttosto che di una riduzione degli sprechi…

Sono favorevole al federalismo, è vero. Sono affascinato dalla speranza utopica del comunalismo berneriano, non posso negarlo. Ma se federalismo significa favorire una regione piuttosto che un’altra o allontanarsi dai principi democratici già blandamente espressi nella moderna scienza politica allora preferisco tenermi la cara vecchia polverosa Carta Costituzionale dei nostri Costituenti, esempio e punto di riferimento di molte delle democrazie occidentali. Se dovessimo riformare però guarderei con favore all’esempio del Nord Europa, un’isola felice in cui il capitalismo, emendando se stesso, è riuscito a dare linfa vitale alla vita associata e alla collettività.

Dare un’etica anarchica alla socialdemocrazia potrebbe essere la risposta per arrivare ad uno Stato moderno, efficiente, etico, laico… Ma sto vaneggiando. Come sempre.

lunedì 19 giugno 2006

Signora maestra, Fred Flinstone sta copiando il mio compito!

Ovvero come sentirsi vecchi decrepiti a venticinque anni. Parlo con la figlia di un mio amico, una bambina di nove anni vispa ed intelligente. Mi sta facendo vedere i suoi compiti per le vacanze e mi accorgo con stupore che conosce già i rudimenti dell’inglese. Lei si stupisce ancora di più dopo aver appreso che io non ho studiato l’inglese alle elementari e poi, con la feroce naturalezza che solo i bambini possono avere esclama: “Eh sì, ai tempi antichi non si facevano le lingue straniere alle elementari”.

Il paesaggio sobbalzava, irredimibile

Insonnia condizione perenne. Lontano dalla mia indipendenza catanese, giaccio immobile sul mio letto costretto al buio dal vincente fratello imprenditore (la parte rispettabile della mia famiglia) che si gode il suo meritato sonno dopo una giornata di lavoro. Dal lettore Mp3 escono delle note stravaganti. Non stonate, sorprendenti. Insieme alle atmosfere oscure dei Black Tape for a Blue Girl fiorisce un sorriso delicato, una cover inchiodata nel ricordo di un’estate straordinaria e terribile come quella dello scorso anno. Eye in the sky, canzone di Alan Parsons raccontata con passione da una Noa straordinaria.

“I’m the eye in the sky, looking at you I can read your mind…”. Perché è sempre la stessa storia, aggrapparsi al cielo e pretendere di trovare quell’occhio crepato a guardarci o avvolgersi in una coperta di stelle come fossero le efelidi di Dio, assorbire il silenzio di luoghi dell’anima o sdraiarsi al limitare di uno strapiombo ad ascoltare i grilli cantare la prosodia di un elegiaco minore, guidare per ore in compagnia di un fantasma accovacciato sui cuscini della tua memoria o di un affetto confuso e sincero riaffiorato per caso come un fiume carsico… Amo le strade perché sanno sempre dove andare. Conoscono la direzione da prendere, s’inseguono e s’annullano a vicenda. Indicano la via da seguire e trapassano gli ostacoli dell’incertezza senza avvedersene nemmeno. Amo le strade, agli antipodi dalla condizione quotidiana. Come se si fosse perennemente sull’orlo di un precipizio e i cancelli dietro di noi fossero stati chiusi per non poter più tornare indietro, come se restassimo bloccati in atmosfera protetta, soffocati dalla bambagia dell’abulia e legati dalle catene del nostro passato sulle rocce puntute del ricordo.

Si dice che quando non succede niente c’è un miracolo che non stiamo vedendo: e allora dov’è questo miracolo, possibile che sia così cieco ed inetto da non riuscire a percepire nemmeno i suoi passi pestare le foglie cadute della mia speranza? Resta un albero spoglio puntare i rami dell’illusione ed accusare il cielo.

“Il tuo oggi non ha potere sul domani, e il pensiero del domani non ti frutta che malinconia. Non buttar via questo istante, se il tuo cuore è vinto, perché questo resto di vita non si sa quanto possa valere” (Omar Khayyâm)


martedì 13 giugno 2006

Forza Italia (in senso sportivo...)

Curioso come un Paese dilaniato da verbose lotte tra opposte fazioni politiche e morali possa ritrovare l’unità nazionale correndo dietro ad una palla e ad undici ragazzi in mutande… Ok, parliamo di Mondiali. Anche se non mi è facile. Come ho già scritto in altri contesti il mio rapporto con il calcio è simile a quello che ho con la lingua urdu: so che esiste, ma mi rendo conto che le nostre sono strade parallele destinate a non incontrarsi mai. Deriverà dalla mia pigrizia inveterata che mi fa rifuggire da ogni tipo di sport – salto del pasto compreso, sport che di tanto in tanto dovrei esercitare – ma non provo alcuna emozione alla vista dei nostri atleti che difendono l’onore nazional-sportivo. Strapagati, annoiati, ignoranti e volgari, figli della frivolezza di uno show-biz che li vuole accompagnatori per sorte e destino di veline, starlette, oche starnazzanti e palmipedi varie, i calciatori nostrani riescono a trascinare nella foga più incredibilmente nazionalista una quantità di italiani inimmaginabile. Gente che non batte ciglio alla demolizione dell’unità nazionale, gente che non conosce l’inno di Mameli, gente che non farebbe nulla per difendere la propria terra in caso di pericolo, gente che non conosce la lingua italiana. Gente capace di uccidere se qualcuno osa criticare la Nazionale.

Si sa che l’Italia è un paese di santi, poeti, calciatori e malfattori. Sessanta milioni di allenatori che criticano le scelte dei ct o le decisioni degli arbitri e che trascorrono il proprio tempo a discutere sulla mancata verticalizzazione di Pirlo (un uomo che deve aver avuto un’infanzia molto difficile) o sul ruolo del trequartista. L’Italia vive per il calcio, bisogna ammetterlo. Il calcio unisce attraverso un misterioso meccanismo che non so spiegare concretamente: date una palla ad un gruppo di gente e vedrete che in meno di dodici secondi avranno già formato le squadre e saranno pronti per disputare il proprio personale campionato e per vivere il proprio piccolo sogno nella concretizzazione di un gol. Il calcio rappresenta l’unico collante nazionale che nemmeno le sfilate militari o le bandiere che garriscono al vento riescono a sostituire – beh, se devo scegliere preferisco una punizione di Totti piuttosto che le marce dei soldatini di latta. Ecco perché siamo l’unico paese ad avere decine di testate sportive (a parte il Brasile), ecco perché la gente sta vivendo la cosiddetta Calciopoli come se fosse il crollo di un’ideologia, ecco perché le partite della Nazionale sono capaci di fermare per un’ora e mezza l’intero Paese.

Ieri sera ho assistito alla partita. Inevitabilmente. Assistito, nel senso che l’ho subita sia sottolineando con piacere le azioni e i gol della Nazionale italiana sia tifando con foga teatrale ed esasperata per il Ghana. Non perché consideri mio capo spirituale Beppe Grillo – non mi piace chi deve essere controcorrente sempre e comunque –, ma solo per il gusto d’indispettire l’Ariana, che ieri sera faceva un tifo da stadio con tanto di bandiera avvolta intorno alle spalle.

Spero che l’Italia giochi bene le prossime partite. Spero che arrivi in finale e che magari ci regali le stesse emozioni del 1982 quando conquistammo per l’ultima volta la Coppa del Mondo. Anche se mancherà l’urlo di Tardelli, o la faccia accigliata di Zoff, o i baffoni di Beppe Bergomi. Anche se di calcio non me ne frega fondamentalmente niente mi piacerebbe partecipare ad una festa popolare in cui tutti, ma davvero tutti, festeggiano un evento che accomuna ogni italiano.

Forza Italia allora, anche se taluni ci hanno rubato la possibilità di urlarlo senza essere sospettati di una discutibile appartenenza politica.

P.s.
Credo che durante questi Mondiali tiferò sinceramente Trinidad e Tobago: gli allibratori inglesi li danno vincenti la finale per 250 ad 1. Se vincesse anche una sola partita sarebbe già il più bel traguardo per questo staterello di centoquattromila abitanti in un mondiale di signorotti dello sport. Vai Trinidad e Tobago!

lunedì 5 giugno 2006

Ringhio people

Con qualche giorno di ritardo un post sulla festa delle Forze Armate. Due giugno. Anche se qualcuno si ostina ancora a chiamarla festa della Repubblica. Avrete assistito alle sfilate, alle marcette, alle parate. Avrete assistito alla turgida attestazione di una finta virilità che ogni Stato non può fare a meno di mostrare per autocelebrarsi… Che spettacolo avvilente, quale limitata e primitiva concezione della vita associata. Eppure quel 2 giugno 1946 segnò una data fondamentale per la storia d’Italia, accese la fiaccola di una libertà agognata, cacciò per sempre i rigurgiti monarchici dal nostro Paese: monarchia vs repubblica, suffragio universale, la consapevolezza di un voto in cui tutti i cittadini avrebbero deciso del proprio futuro.

Quale ruolo politico avevano avuto in tutto questo le Forze Armate? Nessuno.

Non so quale orgoglio si possa provare per quattro tizi in divisa che marciano impettiti, o per un pugno di Rambo truci che si sentono i padroni del mondo solo perché imbracciano un fucile, o di un gerarchetto con paillettes di latta attaccate al petto che passa in rassegna i propri uomini pensando di aver inculcato loro la disciplina, illudendosi di aver ottenuto il loro rispetto. La mia antipatia per una simile istituzione non implica tuttavia che la ritenga inutile. Non sono un povero illuso. Mi rendo perfettamente conto di vivere nel peggiore dei mondi possibili, in un mondo di guerre, violenze e devastazione, mi rendo conto di come ogni Stato necessiti di una propria forza di difesa. Non sono più un pacifista oltranzista, non porgo l’altra guancia, se mi danno un calcio rispondo almeno con un pugno… Se l’Italia o peggio ancora la Sicilia venissero attaccate ed invase da un fantomatico nemico statene certi che io sarei il primo a difendere la mia terra: ma non provo alcun orgoglio nel vedere sfilate di guerrafondai che urlano Italia ma che per la maggior parte sono solo dei disoccupati col fucile senz’arte né parte. Poveretti che non possiedono nessun’altra qualità se non l’obbedienza cieca ad un sistema uniforme che li assoggetta e li inquadra facendoli sentire importanti, un sistema che dà loro il posto sicuro e uno stipendio fisso. Altro che valori patriottici, altro che Patria.

Se fuori luogo è stata la contro-manifestazione della sinistra “radicale” nonché il cerchiobottismo di Bertinotti (non c’era bisogno della spilletta per ricordare che la sua presenza sul palco era dettata esclusivamente da motivi istituzionali), inutile e stupida continua ad essere una sfilata militare per la Festa della Repubblica… Volete vedere i grugni verdi marciare a suon di fanfare e ringraziarli per il ruolo che svolgono? Va bene, istituiamo una festa delle Forze Armate allora, ma non celebriamo ed infanghiamo in questo modo i valori civili, morali ed etici che stanno dietro ad una data carica di significato come il due giugno.

giovedì 1 giugno 2006

Chiaviche di ricerca #1

Un post leggero leggero per cercare di smaltire la rabbia e la bile di questi giorni. Dopo sei mesi di attività credo sia giunto anche per me il momento di svelare gli oscuri motivi che portano la gente al mio blog: riporto di seguito le chiavi di ricerca più assurde con relativo (mio) commento.
Ah, come talora è accaduto rubo l'idea e il titolo del post all'amico Jon Vendetta.

"Schwarzenegger è un maiale" (nihil novi sub soli)
"delicate puttane" (quando si dice un tocco di classe)
"pensieri sulla carità" (sbagliato parrocchia...)
"yiddishe mame" (non ci posso credere)
"educanda cravatta" (i frustini però non te li posso fornire)
"centralinista voce amica" (brutta cosa la solitudine)
"felafel in culo" (preferisco gustarlo in altro modo)
"l'inutilità della vita" (dai su, non fare così)
"la luce del sole dà fastidio agli occhi" (mai sentito parlare di occhiali da sole?)
"puttane in Ancona" (prova sul sito della ProLoco)
"senza speranza i giovani" (l'ottimismo è il profumo della vita)
"gente troppo brutta" (la prendo come un'offesa personale da parte di Google)
"immagini mucche con due teste" (abiti per caso nei pressi di una centrale nucleare?)
"Prodi is antichrist" (nientedimeno!)
"la voce del nord" (hai decisamente sbagliato posto)
"da allora io e mia madre scopiamo" (Eh??)
"la marsigliese karaoke" (piccoli giacobini crescono)
"greci schifosi" (quando si dice campanilismo)
"voglio inculare un uomo" (sbagliato parrocchia)
"yahoo puttane" (le hai trovate finalmente!)