martedì 13 giugno 2006

Forza Italia (in senso sportivo...)

Curioso come un Paese dilaniato da verbose lotte tra opposte fazioni politiche e morali possa ritrovare l’unità nazionale correndo dietro ad una palla e ad undici ragazzi in mutande… Ok, parliamo di Mondiali. Anche se non mi è facile. Come ho già scritto in altri contesti il mio rapporto con il calcio è simile a quello che ho con la lingua urdu: so che esiste, ma mi rendo conto che le nostre sono strade parallele destinate a non incontrarsi mai. Deriverà dalla mia pigrizia inveterata che mi fa rifuggire da ogni tipo di sport – salto del pasto compreso, sport che di tanto in tanto dovrei esercitare – ma non provo alcuna emozione alla vista dei nostri atleti che difendono l’onore nazional-sportivo. Strapagati, annoiati, ignoranti e volgari, figli della frivolezza di uno show-biz che li vuole accompagnatori per sorte e destino di veline, starlette, oche starnazzanti e palmipedi varie, i calciatori nostrani riescono a trascinare nella foga più incredibilmente nazionalista una quantità di italiani inimmaginabile. Gente che non batte ciglio alla demolizione dell’unità nazionale, gente che non conosce l’inno di Mameli, gente che non farebbe nulla per difendere la propria terra in caso di pericolo, gente che non conosce la lingua italiana. Gente capace di uccidere se qualcuno osa criticare la Nazionale.

Si sa che l’Italia è un paese di santi, poeti, calciatori e malfattori. Sessanta milioni di allenatori che criticano le scelte dei ct o le decisioni degli arbitri e che trascorrono il proprio tempo a discutere sulla mancata verticalizzazione di Pirlo (un uomo che deve aver avuto un’infanzia molto difficile) o sul ruolo del trequartista. L’Italia vive per il calcio, bisogna ammetterlo. Il calcio unisce attraverso un misterioso meccanismo che non so spiegare concretamente: date una palla ad un gruppo di gente e vedrete che in meno di dodici secondi avranno già formato le squadre e saranno pronti per disputare il proprio personale campionato e per vivere il proprio piccolo sogno nella concretizzazione di un gol. Il calcio rappresenta l’unico collante nazionale che nemmeno le sfilate militari o le bandiere che garriscono al vento riescono a sostituire – beh, se devo scegliere preferisco una punizione di Totti piuttosto che le marce dei soldatini di latta. Ecco perché siamo l’unico paese ad avere decine di testate sportive (a parte il Brasile), ecco perché la gente sta vivendo la cosiddetta Calciopoli come se fosse il crollo di un’ideologia, ecco perché le partite della Nazionale sono capaci di fermare per un’ora e mezza l’intero Paese.

Ieri sera ho assistito alla partita. Inevitabilmente. Assistito, nel senso che l’ho subita sia sottolineando con piacere le azioni e i gol della Nazionale italiana sia tifando con foga teatrale ed esasperata per il Ghana. Non perché consideri mio capo spirituale Beppe Grillo – non mi piace chi deve essere controcorrente sempre e comunque –, ma solo per il gusto d’indispettire l’Ariana, che ieri sera faceva un tifo da stadio con tanto di bandiera avvolta intorno alle spalle.

Spero che l’Italia giochi bene le prossime partite. Spero che arrivi in finale e che magari ci regali le stesse emozioni del 1982 quando conquistammo per l’ultima volta la Coppa del Mondo. Anche se mancherà l’urlo di Tardelli, o la faccia accigliata di Zoff, o i baffoni di Beppe Bergomi. Anche se di calcio non me ne frega fondamentalmente niente mi piacerebbe partecipare ad una festa popolare in cui tutti, ma davvero tutti, festeggiano un evento che accomuna ogni italiano.

Forza Italia allora, anche se taluni ci hanno rubato la possibilità di urlarlo senza essere sospettati di una discutibile appartenenza politica.

P.s.
Credo che durante questi Mondiali tiferò sinceramente Trinidad e Tobago: gli allibratori inglesi li danno vincenti la finale per 250 ad 1. Se vincesse anche una sola partita sarebbe già il più bel traguardo per questo staterello di centoquattromila abitanti in un mondiale di signorotti dello sport. Vai Trinidad e Tobago!

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