venerdì 23 giugno 2006

Deboli di Costituzione

Chi abbia perso ogni speranza nella democrazia elettiva non dovrebbe ragionevolmente appoggiarne le istituzioni. La democrazia elettiva difatti, fiore all’occhiello delle moderne concezioni politiche occidentali, è partita come affermazione della sovranità popolare per poi degenerare naturaliter a lotta tra oligarchie per la conquista del potere. Sorte non dissimile ha avuto la droga del sogno marxista: tagliata male con i resti dell’assolutismo zarista e spacciata come paradiso in terra da pusher senza scrupoli o da sognatori senza speranza, una delle utopie più affascinanti della storia del mondo ha cozzato, infrangendosi, contro il muro dell’egoismo umano.

L’unica forma di gestione della vita associata che tenga realmente conto della sovranità del popolo sembrerebbe essere dunque la democrazia diretta. In soldoni, una testa un voto. Viene subito in mente l’esperienza positiva, conclusa e mai più attuata in termini concreti dell’Italia dei Comuni, forse l’unico esempio recente – pur con tutti i limiti di un suffragio ridotto – di controllo diretto della cosa pubblica da parte dei singoli interessati. A questa esperienza puntava il pensiero di Camillo Berneri, ideologo libertario che cercò di superare sia attraverso gli scritti sia mediante l’azione concreta l’impasse in cui era caduta la teoria anarchica dei primi del Novecento, divisa tra l’annientamento del potere autoritario attraverso l’azione violenta e un gradualismo che strizzava sempre più l’occhio ai “cugini” comunisti. Purtroppo la morte violenta di Berneri (assassinato in Spagna dai sicari di Stalin in piena Guerra Civile) troncò ogni possibile sistematizzazione del suo pensiero e della sua teoria politica che, rimasta in nuce, è stata genericamente definita comunalismo berneriano.

Certo mi rendo conto che in un sistema politico moderno simili forme di gestione della cosa pubblica sarebbero impossibili vista la mole e la complessità di temi su cui il cittadino giornalmente sarebbe chiamato ad esprimersi. L’unica soluzione possibile sarebbe dunque una forma estrema di decentramento che desse ai cittadini di un paese la possibilità di autodeterminarsi e di decidere personalmente su un ampio ventaglio di problematiche. Detto in altri termini il federalismo.

Eppure a questo referendum io voterò NO. Senza mezzi termini. Senza esitazione.

Perché se è vero che il referendum fornisce l’illusione della sovranità popolare – il popolo dà l’assenso o il diniego su una questione ormai conclusa sulla quale non ha avuto alcun potere decisionale –, è altrettanto vero che con questo referendum possiamo fermare una riforma aberrante che distrugge a colpi di mannaia la Costituzione italiana attuando una forma federativa non priva di discriminazioni per certe regioni svantaggiate per motivi d’ordine economico e sociale… Ma andiamo con ordine.

Voto NO perché questa riforma istituisce la figura inquietante di un premier dai poteri praticamente illimitati. Una figura atipica che non ha precedenti a livello internazionale (se non, in parte, nel premierato israeliano) che esautora il presidente della Repubblica di ogni reale sostanza e lo trasforma da garante della Costituzione in semplice notaio, un premier che potrà ricattare la Camera e il Senato federale con la minaccia di uno scioglimento e che viceversa potrà essere sfiduciato solo attraverso un meccanismo contorto e difficilmente realizzabile. L’unica forma di premierato forte l’Italia l’ha conosciuta durante un ventennio del secolo scorso, e non mi sembra sia andata molto bene per il Paese.

Voto NO perché il federalismo fiscale, pensato dalla Lega e cucito addosso al meccanismo produttivo del Nord, non tiene conto delle evidenti ed obiettive disparità economiche e dei diversi tassi di crescita registrati da ogni regione. Non voglio l’assistenzialismo di un fondo di perequazione che sprechi finanziamenti a pioggia senza risolvere i problemi, non voglio nemmeno che l’iniziativa personale sia stroncata dall’ostilità e dalle difficoltà presenti nella terra in cui si vive. Va bene rimboccarsi le maniche, ma se non abbiamo nemmeno la camicia diventa difficile farlo.

Voto NO perché la devolution selvaggia in materie essenziali quali sanità, ordine pubblico ed istruzione contribuirebbe ad allargare l’abisso già esistente tra regione e regione. Soprattutto senza istituti di controllo federali. Si dice che in Sicilia cambierebbe poco o niente visto lo Statuto speciale di cui godiamo: considerato che la mia regione, nonostante l’eccellenza dei propri medici, gode del più alto numero di casi di malasanità in Italia dovrei stare tranquillo, non credete?

Voto NO perché lo smembramento del sistema bicamerale in favore di una Camera nazionale e di un Senato federale creerebbe una doppia burocrazia nonché la confusione e l’incertezza sui rispettivi ambiti di competenza provocando la lievitazione abnorme dei ricorsi alla Corte Costituzionale.

Voto NO perché l’aumento dei membri della Corte Costituzionale di nomina politica accentuerebbe la politicizzazione dell’organo che sarebbe soggetto ancor più alle tensioni e agli squilibri d’ordine politico.

Voto NO per non regalare alla Lega la possibilità di formare legalmente nuove entità politiche a se stanti in barba all’unità del paese (vi invito a leggere l’art. 53, commi 13-14 della legge costituzionale).

Voto NO infine perché una simile riforma diminuirebbe il numero dei rappresentanti il Parlamento. Lasciamo stare la vergognosa e parziale pubblicità propagandistica di Mediaset che punta solo su questo aspetto tralasciando gli altri – ribadisco: la par condicio la devo rispettare solo io? Nonostante su questo aspetto i Poli siano piuttosto concordi io rimango fortemente contrario alla diminuzione dei deputati: ritengo che una riduzione della rappresentanza generi una ulteriore ed antidemocratica restrizione della base rappresentata. Quello che proporrei invece sarebbe il raddoppio dei rappresentanti al Parlamento in modo tale da avere maggiore e più ampia rappresentanza del popolo italiano. Ad una condizione: dimezzarne l’indennità mensile, se è vero che gli emolumenti dei parlamentari gravano così tanto sul bilancio pubblico. Stessa spesa, maggiore rappresentatività. Certo è più facile ed elettoralmente conveniente parlare di una riduzione dei parlamentari piuttosto che di una riduzione degli sprechi…

Sono favorevole al federalismo, è vero. Sono affascinato dalla speranza utopica del comunalismo berneriano, non posso negarlo. Ma se federalismo significa favorire una regione piuttosto che un’altra o allontanarsi dai principi democratici già blandamente espressi nella moderna scienza politica allora preferisco tenermi la cara vecchia polverosa Carta Costituzionale dei nostri Costituenti, esempio e punto di riferimento di molte delle democrazie occidentali. Se dovessimo riformare però guarderei con favore all’esempio del Nord Europa, un’isola felice in cui il capitalismo, emendando se stesso, è riuscito a dare linfa vitale alla vita associata e alla collettività.

Dare un’etica anarchica alla socialdemocrazia potrebbe essere la risposta per arrivare ad uno Stato moderno, efficiente, etico, laico… Ma sto vaneggiando. Come sempre.

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