lunedì 27 marzo 2006

Di un qualunquista che usa una retorica demagogica

In questi giorni ho avuto modo di parlare con persone che hanno ripetutamente usato aggettivi quali qualunquista, retorico, demagogico per sottolineare certi passaggi dei miei discorsi.

Dal dizionario Zingarelli:

Qualunquista Chi prova e dimostra indifferenza o disprezzo verso le ideologie, l’attività o i problemi politici e sociali;
Retorica (da cui retorico) Modo di scrivere e di parlare pieno di ornamenti e di ampollosità, ma privo di autentico impegno intellettuale e di contenuto affettivo;
Demagogia (da cui demagogico) Arte di accattivarsi il favore delle masse popolari con promesse di miglioramenti economici e sociali difficilmente realizzabili;

Come se avessi mai detto di voler salvare o di essere capace di salvare il mondo, come se i miei discorsi fossero destinati a smuovere il cervello e le anime di chissà quanti milioni di persone. Ho già seri dubbi sulla capacità di salvare me stesso dal tracollo del mondo, figuriamoci.

Forse è il modo in cui mi esprimo, o forse l’atteggiamento, o forse il mio carattere bizzarro. Forse, semplicemente, non ho ancora capito come ci si pone nei confronti del mondo. Il fatto insolito è che appunti simili mi arrivano quasi sempre da una ben precisa categoria di persone, le stesse persone che pur non volendo un’etichetta per sé passano il proprio tempo ad attaccarle addosso agli altri in modo tale che loro possano sentirsi speciali e fors’anche superiori. Non posso negare che a volte mi diverta ad interpretare la parte del professorone che esprime i suoi pensieri attraverso un linguaggio complesso e non posso negare che talora sia un tantino saccente, ma questo sul serio… Non posso negare inoltre che mi piaccia scrivere in un certo modo, talora involuto e non tanto diretto: ma trascorrere il proprio tempo leggendo Bufalino, Consolo, Manganelli, Carpentier, Brodskij, Thomas, Blake, Cioran ed altri che hanno fatto dell’eleganza formale un punto fermo del loro stile qualche danno a lungo termine lo provoca. Forse il problema che alcuni hanno è proprio questo: pensare che un linguaggio articolato nasconda sempre e necessariamente il vuoto interiore. La freddezza. Il nulla. Certo non pretendo di dire sempre cose sorprendenti e a volte mi rendo conto io stesso di smuovere la solita, pesante aria fritta, di sfondare delle porte aperte. Lo so, che credete. Come so che non vincerò mai il Nobel o il Pulitzer. E allora il fatto stesso che indichi il luogo in cui prima esisteva una porta, in cui prima quella porta era serrata, il fatto stesso che indichi quei paletti che un tempo segnavano dei limiti che non andavano oltrepassati, beh, credo che per me sia già importante. Fornire un microscopico corto circuito. Ripeto, non posso salvare il mondo: ma quell’oretta di radio settimanale, un articolo di tanto in tanto su infime testate locali, qualche post su questo blog o le tante, infinite discussioni sono forse l’unico strumento che possiedo per non considerami complice di questo indicibile stato di cose.

Alla fine sono solo un maledetto egoista.

O forse amo così tanto il mondo e la vita che non posso fare a meno di urlare la mia rabbia e di gridare tutto il mio livore, forse non posso fare a meno di esprimere tutto il mio orrore per ogni singolo atto d’ingiustizia che vedo intorno a me – cose che quotidianamente ti fanno star male e per le quali puoi fare poco e niente. Ma non mi sento qualunquista se disprezzo i partiti e le logiche di potere, né retorico se parlo o scrivo dei fatti che accadono, dell’abominio che non posso fare a meno di vedere e lo faccio nel linguaggio che ho sviluppato in anni di consuetudine con la lettura, né mi sento tantomeno un demagogo perché io, di favore popolare, non ne devo conquistare nemmeno un pezzettino. Quello che mi si rimprovera sono le troppe sfumature che vedo ovunque e che mi rendono difficilissimo porre un aut aut su molte questioni. Eppure mi sentirei un ingenuo se credessi ancora nelle rivoluzioni così come sarei uno sprovveduto se dicessi che nella mia vita manterrò sempre lo stesso rigore d’ideali che finora credo di aver mantenuto. Forse che si forse che no: ma non posso nascondere di essere terrorizzato dai compromessi, da quelli che dovrò accettare così come da tutto ciò che un giorno sarò costretto a rifiutare. Mi trovo perennemente sospeso tra la necessità dell’azione e un tradimento dei miei ideali che sento incombere ed alitarmi sul collo... Ma non posso tirarmi indietro né far finta di niente, questo è certo. Sarebbe il tradimento peggiore. Che fare allora?

Cu’ agghiutti feli nun pò sputari meli, chi inghiotte fiele non può sputare miele si dice dalle mie parti: vomitare fiele e stelle è la risposta, e farlo nella sola maniera in cui sono capace.QqQ

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