lunedì 19 novembre 2007

Cosa Loro

Morto il re viva il re. Salvatore Lo Piccolo, successore designato di Bernardo Provenzano, è stato arrestato qualche settimana fa insieme al figlio e ad altri due capimafia in una villetta di campagna nei pressi di Palermo. Per un capo in ceppi subito pronto un altro a salire i gradini di una Cupola che sembra resistere ai terremoti investigativi più violenti e radicali. Arrestarli, li arrestano. Ma cambiano i nomi, muta la gestione dell’organizzazione, eppure sembra che non si riesca ad estirpare questa mala pianta dalla nostra amata odiata Sicilia. Un camaleonte che si nasconde, un organismo fin troppo vivo che muta pur di non morire. Sembra quasi essersi abituati alla cattura di questi omuncoli senza onore.

Il primo mafioso del quale ricordi le immagini della cattura è Giovanni Brusca: capelli ricci, barbuto, in carne, con la camicia chiara mentre viene tenuto per le braccia da due agenti. Il mostro senz’anima che aveva sciolto nell’acido il piccolo Santino Di Matteo, l’essere che aveva premuto il tasto del telecomando che avrebbe ridotto a brandelli di carne Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti della scorta. Quindi l’arresto di Riina, un contadino tarchiato, che ricordo caricato quasi di peso su un elicottero dei Carabinieri: sguardo di ghiaccio, un sorriso che sfida agli obiettivi dei fotografi. Poi lui, l’imprendibile Binu, Bernardo Provenzano, con quel foulard stridente sul giubbetto della polizia che i poliziotti gli avevano fatto indossare: come un feticcio, trascinato tra due ali di folla, messo finalmente alla berlina dopo decenni di spietato predominio.

Morto il re viva il re. Poco tempo è trascorso per comprendere che quel fantomatico scacco al Re è stato solo un’illusione. Dopo la cattura di Provenzano i giochi erano già fatti da tempo: possibili successori erano Matteo Messina Denaro, boss di Castelvetrano e Salvatore Lo Piccolo, palermitano, storico Corleonese e fedelissimo di Provenzano. Matteo Messina Denaro possedeva la formazione culturale, la capacità imprenditoriale, nonché la stoffa del leader e, caratteristica non secondaria per un uomo che aspiri a divenire capo di Cosa Nostra, la spietatezza. D’altro canto Salvatore Lo Piccolo, pur non possedendo le medesime raffinatezze culturali dell’avversario vantava maggiore anzianità e soprattutto, elemento che lo poneva come il favorito alla successione, apparteneva ad una famiglia palermitana fortemente radicata nel territorio: le sorti dell’intera organizzazione si decidono ancora a Palermo, difficilmente la mafia della tradizione avrebbe accettato un trapanese come capo dell’intera Cupola.

Le cose tuttavia non sono mai così lineari come sembrano in un primo momento. Salvatore Lo Piccolo era il più quotato alla successione di Provenzano, è vero: non dimentichiamo però che Provenzano stesso, poco prima del suo arresto, stava decidendo sull’opportunità di uccidere Salvatore Lo Piccolo dietro suggerimento di un altro suo fedelissimo, Antonino Rotolo. Sembra che Rotolo fosse talmente sicuro dell’imprimatur di Provenzano che si era già procurato qualche barile di acido solforico per sciogliere il corpo di Lo Piccolo. Senza lasciare tracce, senza scalpore, secondo il basso profilo promosso da Provenzano. La colpa di Lo Piccolo? Aver aperto ai sopravvissuti degli Inzerillo, la famiglia mafiosa sterminata dai Corleonesi durante la “mattanza” degli anni ’70 e dei primi ’80. Il timore di Rotolo era che gli Inzerillo avrebbero potuto trovare in Lo Piccolo e nella sua famiglia una quinta colonna durante una nuova guerra di mafia che avrebbe messo in forse la supremazia dei Corleonesi “storici”. La cattura di Provenzano tuttavia mise fine a queste macchinazioni e Lo Piccolo fu designato nuovo capo di Cosa Nostra. Almeno fino al suo arresto.

Che cosa può essere accaduto? Inutile ricordare che le indagini delle forze dell’ordine sono state fondamentali per l’arresto di Lo Piccolo, di suo figlio e di altri due boss… Ma se questo arresto fosse stato in qualche modo agevolato? Due le ipotesi. Matteo Messina Denaro ha favorito l’arresto di Lo Piccolo per cercare di estendere il proprio dominio alla città di Palermo e diventare capo incontrastato di Cosa Nostra. Antonino Rotolo ha favorito l’arresto di Lo Piccolo per mantenere l’equilibrio all’interno di Cosa Nostra e non mutarne gli assetti familiari: i Corleonesi rimangono a capo dell’organizzazione senza aperture verso i vecchi clan perdenti, Palermo rimane il centro verso cui convergono tutti i mandamenti provinciali.

Favorire l’arresto di Lo Piccolo era l’unica possibilità che eventuali boss antagonisti avevano per togliere di mezzo il nuovo capo: impensabile infatti un omicidio, che a questi livelli avrebbe dovuto avere l’avallo dell’intera Cupola e che avrebbe scatenato una nuova, sanguinosissima guerra di mafia dagli esiti incerti.

E questo a Cosa Nostra non conviene.

A Cosa Nostra conviene il silenzio. Conviene piuttosto che l’attenzione dei media si appunti sugli aspetti folcloristici, sul decalogo del buon padrino, sui rituali d’iniziazione, sulle vicende personali dei capi ridicolmente trasposte in fiction (con le figure di Riina e Provenzano divenute quasi eroi negativi). L’importante è che i giornalisti dimentichino di come la mafia continui a stringere i suoi tentacoli su questa terra maledetta, soffocandola, di come il racket sia un meccanismo ormai consolidato e diventato una sorta di tassa che la quasi totalità degli imprenditori paga senza battere ciglio, di come prosperi silenziosamente il rapporto della mafia con la politica e il mondo degli affari.

La mafia non è agonizzante come vorrebbe farci credere qualche procuratore smanioso di incursioni televisive. Purtroppo la mafia non è morta, non vuole morire nonostante il vento del coraggio e la voglia di cambiamento soffi sempre più forte su questa nostra maledetta terra. I mafiosi hanno dalla loro un’organizzazione militare, la forza della violenza, il controllo di certe frange politiche: solo questo. Tolto alla mafia il potere politico non rimane che un manipolo di idioti senza alcun onore che nessuno ascolterebbe se non avessero il monopolio della paura. Basta non aver paura allora, basta non abbassare la testa, basta non voltarla dall’altro lato, basta denunciare.

Basta solo non essere loro complici.

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