venerdì 13 dicembre 2013

Contro l'egocrazia forconiana

Egregi Forconi, gentili Forcone, innanzitutto mi presento. Ho 33 anni, sono laureato e faccio lavori improbabili e per nulla sicuri: com’è ovvio, sono troppo indaffarato a sopravvivere nel presente per riuscire ad immaginare uno straccio di futuro lievemente stabile per me e per la mia generazione. Provengo dalla più classica famiglia operaia italiana, quella in cui i genitori a costo di enormi sacrifici non hanno mai fatto mancare niente ai propri figli. Quella in cui “il pezzo di carta è importante” e si deve studiare. Quella in cui il posto fisso è una garanzia. Quella in cui cercare una raccomandazione è sbagliato però “nel caso in cui ho un amico che”. Quella della casa di proprietà. Quella del matrimonio in chiesa da trecento invitati. Quella che “Natale coi tuoi”, torrone, spumantino, cobaita e tombolata coi bambini. Provengo per dirla tutta da una famiglia come tante: una famiglia come la vostra insomma. Non mi sento aristocratico, non mi sento un professorone. Non mi sento migliore di nessuno di voi.

Per questa ragione vi darò un dispiacere dicendo che non seguirò il vostro “invito” perentorio a scendere per strada e unirmi alla vostra protesta. “Vostra” per modo di dire, visto che in tutta Italia più di un fascinoroso sta impetuosamente cavalcando lo sciopero violento per acquistare visibilità, favore popolare e forse anche potere. Chissà.

Egregi Forconi e gentili Forcone, non marcerò con voi né mi unirò alla vostra protesta. Non forzerò eventuali blocchi perché il mio ideale politico auspica ancora la presa di coscienza dell’oppresso (reale, perché la “rivoluzione” senza rivolta interiore è solo transumanza di pecore) ma di certo non solidarizzerò con le vostre ideologie confuse né con le vostre recriminazioni. Abbiamo lo stesso retroterra culturale, proveniamo in molti casi dalla stessa classe sociale: media, piccolo-borghese per capirci. Siamo tutti d’accordo che in Italia stiamo vivendo una situazione tragica, e lo so benissimo che tra voi ci sono tanti buoni padri di famiglia che vorrebbero “mandare tutti i politici a casa” a colpi di forcone. Che dicono di stare agitando i forconi per “garantire un futuro ai figli”.

La differenza fondamentale tra voi e me risiede nel fatto che io appartengo alla triste categoria di quelli che voi per tanto tempo avete considerato disadattati. E per questo non potrò mai sostenervi.

Perché quando noi disadattati vi consigliavamo di appoggiare la nostra idea di onestà e partecipazione attiva alla vita associata, quando vi proponevamo la nostra idea di lotta per un bene comune voi ci prendevate per ingenui e creduloni. Quando noi vi chiedevamo di cambiare la direzione di una politica fatta di favori, voti di scambio e corruzione voi ci guardavate con pietà e irrisione e dicevate che tanto sono tutti ladri, e basta che io mangio, e a-mia-chi-mi-ni-futti. E votavate per anni, per decenni, quegli stessi furfanti, criminali e malviventi che adesso vorreste infilzare coi vostri forconi arrabbiati. E quando infine noi disadattati vi avvertivamo che una economia fondata sul capitalismo più sfrenato avrebbe rovinato l’intero sistema mondiale, quando vi pregavamo di non tollerare una società senza diritti basata sulle disparità sociali, sull’accumulo incontrollato, sul consumo e sull’effimero perché questo atteggiamento ci avrebbe portati dritti verso una catastrofe senza salvezza, e quando manifestavamo sperando che potesse esserci un mondo migliore di quello che stavate incoraggiando sapete cosa accadeva? Voi ci guardavate con disprezzo dall’alto delle vostre sicurezze economiche urlandoci “vai a lavorare fannullone!” e poi tornavate a parlare di Moggi e della Juve e delle tette di Manuela Arcuri sul calendario.

Ecco perché non scenderò in strada con voi, egregi Forconi e gentili Forcone. Dopo la violenza del disinteresse e della vostra strafottenza passata non ho alcuna intenzione di subire nel presente la violenza reale di gente che si è resa complice del sistema politico, etico e sociale che ci ha condotti alla rovina. E che adesso protesta solo perché si trova nella disperazione più nera con le pezze al culo.

Ed ecco perché non scenderò in strada con voi, egregi Forconi e gentili Forcone. Perché nonostante tutto avrei compreso il vostro stato d’animo, il terrore per una povertà improvvisa che mai avreste immaginato. E sarei sceso con voi in strada, davvero, a protestare: se almeno aveste capito che la visione arrogante di un mondo rapace ed egoista era fallimentare sin dal principio. La vostra visione.

E invece no: perché ancora adesso non chiedete una società diversa, un nuovo modello di sviluppo. Chiedete di tornare alla società di prima. Quella dei soprusi. Dei voti di scambio. Della corruzione. Dei finanziamenti a pioggia. Del consumismo più insensato. Quella in cui sguazzavate, tranquilli del vostro conto in banca, sognando un SUV e il villaggio vacanze alle Maldive. Quella in cui di fronte alle ingiustizie e alla miseria che colpiva gli altri voltavate la testa e dicevate “A mia chi mi ni futti… Basta che io mangio”.

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