venerdì 2 luglio 2010

L'eroe Marcello

Curiosando tra i lemmi del dizionario Zingarelli si scopre che il termine “sentenza”, oltre ad indicare l’espressione univoca di un concetto può definire anche un parere o un'opinione. Sarebbe perciò ingiusto tacciare di parzialità, partigianeria, marchettismo redivivo o semplice impudenza quella folta schiera di giornalisti che si sono lanciati nelle più aeree acrobazie pur di salvare dalla pubblica gogna certi personaggi, sodali al premier, che la verità documentale avrebbe indicato come indispensabile anello di collegamento tra mafia e potere economico nella Milano da bere di giovane imprenditore dalle grandi aspirazioni. Sentenza? Opinione semmai. Così può accadere l’impensabile, come il Tg1 del sempre ottimo Minzolini (spero sia chiaro il sarcasmo) che titola tranquillamente come seconda notizia dopo aver parlato della morte di Pietro Taricone: “Sette anni a Dell’Utri, pena ridotta in appello; il senatore assolto per la presunta trattativa Stato-mafia” dove si elimina ad arte la parola condanna insistendo invece sull'assoluzione. Oppure che personaggi come Giovanni Toti (qui il video) si esprimano attraverso editoriali infuocati in cui si parla del buon nome delle persone che viene messo in croce da gente come il pentito Spatuzza e da inesistenti trattative tra membri dello Stato e la mafia.

E la notizia non esiste più. Riportata in questi termini, risolta, minimizzata, banalizzata e masticata, smontata e ridicolizzata l’inquietante verità documentale viene immediatamente sommersa dalla pluralità delle voci del padrone. E ricordiamola, allora, questa verità che rischia di passare in secondo piano. La sentenza di secondo grado della Corte d'appello di Palermo conferma e condanna, quindi ritiene colpevole Marcello Dell’Utri di collusione con la mafia. Il capo di imputazione lo afferma con una chiarezza disarmante: Marcello Dell’Utri “ha concorso nelle attività dell'associazione di tipo mafioso denominata "Cosa Nostra", nonché nel perseguimento degli scopi della stessa. Mette a disposizione dell'associazione l'influenza e il potere della sua posizione di esponente del mondo finanziario e imprenditoriale, nonché le relazioni intessute nel corso della sua attività. Partecipa in questo modo al mantenimento, al rafforzamento e all'espansione dell'associazione. Così ad esempio, partecipa personalmente a incontri con esponenti anche di vertice di Cosa Nostra, nel corso dei quali vengono discusse condotte funzionali agli interessi dell'organizzazione. Intrattiene rapporti continuativi con l'associazione per delinquere tramite numerosi esponenti di rilievo del sodalizio criminale, tra i quali Stefano Bontate, Girolamo Teresi, Ignazio Pullarà, Giovanbattista Pullarà, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà, Giuseppe Di Napoli, Pietro Di Napoli, Raffaele Ganci, Salvatore Riina. Provvede a ricoverare latitanti appartenenti alla detta organizzazione. Pone a disposizione dei suddetti esponenti di Cosa Nostra le conoscenze acquisite presso il sistema economico italiano e siciliano. Rafforza la potenzialità criminale dell'organizzazione in quanto, tra l'altro, determina nei capi di Cosa Nostra la consapevolezza della responsabilità di Dell'Utri a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte a influenzare - a vantaggio dell'associazione - individui operanti nel mondo istituzionale, imprenditoriale e finanziario. Reato commesso in Palermo (luogo di costituzione e centro operativo di Cosa Nostra), Milano e altre località, da epoca imprecisata sino al 28.9.1982". Quello che avete appena letto rappresenta una sorta di collage del capo di imputazione ma se avete tempo e voglia potete leggere la sentenza completa cliccando qui. Sentenza che stabilisce in via definitiva, lo ricordiamo ancora una volta, la colpevolezza di Dell'Utri: i fatti sono già stati confermati e la Cassazione darà solo un giudizio di legittimità sulla sentenza. Per vent'anni, stando alla sentenza della Corte d’appello di Palermo, Marcello Dell'Utri ha mediato gli interessi di Berlusconi con le aspirazioni di Cosa Nostra. Vent'anni, cioè tutto quell'arco di tempo che abbraccia la carriera imprenditoriale di Silvio Berlusconi, il successo nel campo delle costruzioni, le televisioni, le aziende, da Milano 2 fino alla Fininvest, senza soluzione di continuità. Certo sarebbe stato interessante conoscere il parere di Berlusconi su questi fatti ma purtroppo il Cavaliere Nero, come nelle più scontate previsioni, al processo di Palermo si avvalse della facoltà di non rispondere nonostante fosse citato come semplice testimone. Stabilite in via definitiva la presenza di capitale riciclato di origine mafiosa, il ruolo della Banca Rasini e di una serie di società-fantasma con sede a Lugano e in altri paradisi fiscali, lo strano ruolo delle ventisei società fiduciarie che si spartirono le quote di Fininvest, infine la presenza di personaggi mafiosi nel più intimo "entourage" berlusconiano, primo tra tutti lo stalliere eroe Mangano. Al centro di questa corte dei miracoli italiani c'è il ruolo di Marcello Dell'Utri, condannato a sette anni per collusione con la mafia. Ovviamente, come costume italiano, le patrie galere non vedranno mai la faccia del senatore intellettuale cofondatore di Forza Italia perché i reati di cui parla la sentenza della Corte d’appello di Palermo sono già caduti in prescrizione.

Resta il fatto che Dell'Utri ha svolto un importante ruolo di intermediario tra Cosa Nostra e Berlusconi facendo stipulare una sorta di “contratto” tra i due poli della questione: è Dell'Utri a far incontrare Silvio Berlusconi con i mafiosi Stefano Bontate e Mimmo Teresi che lo rassicureranno su un possibile sequestro di persona organizzato ai suoi danni, sarà Dell'Utri a far assumere Vittorio Mangano, il cosiddetto “stalliere” di Arcore per cementare quello che alcuni hanno definito come un “accordo di convivenza con Cosa Nostra”, sarà Dell'Utri che cercherà di capire i mandanti dell'attentato di via Rovani, e sarà Dell'Utri, infine, ad incontrare i capimafia catanesi e Nitto Santapaola, per risolvere il problema degli attentati alla Standa di Catania, che dopo quell'incontro, manco a dirlo, cessarono di colpo.

Marcello Dell’Utri, condannato a sette anni come intermediario tra Cosa Nostra e Berlusconi eppure festeggia. Cosa mai ci sia da festeggiare per una condanna simile è presto detto: in primo luogo, stabilire che la contingenza con la mafia di Dell'Utri termina nel 1992 significa escludere di fatto Forza Italia da questo processo, la quale, come ricorderete, fu fondata nel 1994. La seconda ragione, che viene sottolineata ad usum delphini dal pagliaccesco editoriale di Giovanni Toti di cui sopra, è che la Corte di Palermo ha ritenuto inattendibili il pentito Spatuzza e il figlio di Vito Ciancimino i quali avevano indicato Forza Italia come “interlocutore privilegiato” degli interessi della mafia in Sicilia. Certo dire che i Graviano hanno smentito Spatuzza è come dire che Riina smentisce Provenzano, ma si vede che i giudici palermitani avranno avute le loro ragioni per aver preso una decisione simile.

Perciò capirete quanto ridicolo possa sembrare un editoriale come quello di Toti agli occhi di quanti hanno letto la sentenza di condanna e umiliante per chi tiene ancora in gran conto la professione di giornalista, che si presume debba guardare ai fatti e non al proprio datore di lavoro. E i fatti dimostrano con ragionevole certezza quale squallido ruolo di faccendiere abbia ricoperto il braccio destro di Berlusconi. Dunque i giudici di Palermo non “hanno trovato il modo di condannare Marcello Dell’Utri”, per dirla con Toti, ma hanno giudicato attraverso una mole enorme di fatti una persona che ha mediato tra gli interessi della mafia e quelli di Silvio Berlusconi. Se vogliamo essere buoni, una persona fortemente compromessa.

Fatti.

Il resto, i sommari compiacenti, gli editoriali marchettari, gli articoli zerbineschi, le proscinesi bavose lasciamole ai cortigiani che banchettano alla corte di papa Silvio.

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