giovedì 2 aprile 2009

Mettiamo la testa a partito

A stretto giro di valzer il ballo del potere ha folgorato ancora... Brutta cosa l’ingordigia. La voglia di primeggiare, il desiderio di arraffare ancora. Può capitare così che l’insigne statista di Ceppaloni, Clemente Mastella, senza colpo ferire sia tornato nuovamente al centro destra. Eppure non molto tempo era passato dall’annuncio, con tanto di scenografici lucciconi agli occhi, che all’amore per il governo preferiva l’amore della sua famiglia. Ma si sa, una primadonna come il Clementino non poteva certo rimanere lontano dalla scena della politica. Così poche settimane dopo lo si era visto ronzare come un moscone intorno a Berlusconi: e sappiamo tutti attorno a cosa ronzano le mosche – ok, metafora abusata. Dialogo impossibile tuttavia, impossibile e comprensibile. Perché Mastella era troppo compromesso per trovare un appoggio immediato in qualsiasi compagine politica di una certa importanza.


Ma non dopo un anno. La gente dimentica velocemente, e anche le poche migliaia di voti che si riesce a rastrellare con un partitino secondario come l’Udeur possono far comodo in tempi di maretta. Mastella, o la pallina del flipper. Perché non è semplice avere contezza di quante volte Mastella sia passato da una parte all'altra. Prima democristiano, poi Ccd-Udc, poi ancora l’Udr del pikkonatore, trasformato infine con un colpo di reni in Udeur. E nel mezzo un continuo saltellare da una parte e dall’altra, dalla destra alla sinistra stendendo accordi, inscenando diritture morali e improvvisando matrimoni politici di pura convenienza. L’Udeur ritorna a destra? Poco male, almeno il centrosinistra alle prossime elezioni non avrà a che fare con un partito schizofrenico, dalla dubbia coerenza, che prima dice di voler stare con una coalizione e poi la prende allegramente a cozzate.


E per un figliol prodigo che ritorna all’ovile aggiungiamo un posto a tavola ad un ulteriore appecoronamento dei tempi pasquali. AN, nella figura del suo comandante in carica Gianfranco Fini, infatti si è sciolta per convergere nel Popolo delle Libertà del Silvietto Nazionale. Il 22 marzo Gianfranco Fini ha liquidato a Roma sessant’anni di postfascismo italiano concludendo l’ultimo congresso del partito che seguì la discutibile eredità del Movimento Sociale Italiano, che a sua volta aveva fatto propria, dopo la seconda guerra mondiale, l’inquietante eredità del Partito Fascista. “Si chiude una fase della destra”, ha dichiarato il camerata Fini, “non si tratta né di un regalo né di uno sdoganamento. Le idee non si sdoganano, le idee si affermano”.


Già.


Ecco perché il figlio di Argenio Fini, volontario della X Mas, l’uomo che fino a una decina d’anni fa considerava Mussolini il più grande statista del secolo, il delfino di un Almirante xenofobo ed antisemita, ha sconfessato tutto il suo passato. Perché le idee si affermano. E in questo caso l’idea che sembra accompagnare il travagliato percorso politico di Fini e di AN è quella del trasformismo. Fini ha imparato la grandiosa ed avvilente lezione gattopardesca: trasformarsi per non morire.


Sagace il gerarchetto.


Fini ha continuato a profittare del bacino elettorale del Cavaliere Nero sciogliendo furbescamente un partito destinato alla morte per asfissia: al contrario delle varie Riaffondazioni comuniste, che per voler continuare nel loro percorso di rossi duri e puri sono stati abbandonati anche dalla propria base. Il “liberale” Fini ha inoltre abbassato gradualmente i toni allontanandosi dallo stile demagogico e urlato di Berlusconi per differenziare la propria figura da quella del leader attuale, in modo da preparare il terreno ad un futuro avvicendamento nella guida del neonato Popolo delle “Libertà”. L’attempato balilla sembra infine voler rassicurare l’italiano medio, per sua natura poco avvezzo alle divisioni nette e ancor meno agli estremismi politici, che lui non è più il comandante di una compagine di fascisti nostalgici, ma il leader di un partito che vuole un’Italia moderna, scattante, garantista, imperniata sul rispetto delle istituzioni e della Costituzione, aperta all’economia di mercato, tollerante, multireligiosa e multietnica.


Come sia possibile realizzare un’Italia simile con certa gentaglia al governo non è dato sapere. Ma si sa, nella politica italiana la retorica ha sempre goduto di sana e robusta Costituzione.

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