lunedì 27 ottobre 2008

E se vi siete detti non sta succedendo niente

È ufficiale. I meteorologi americani chiameranno il prossimo uragano che porterà la sua furia devastatrice sulle coste della Florida con il nome di un noto ministro italiano: Mariastella Gelmini. Gelmini hurricane, suona bene. Perché la nostra beneamata Gelmini è stata capace con la legge 133 che porta il suo nome – compito arduo, lo ammetto – di demolire sin dalle fondamenta la scuola e l’università italiana… Cercherò di essere chiaro e di spiegare senza troppe manfrine il motivo per cui questa legge rappresenta la condanna a morte dell’istruzione, delle speranze e del futuro di milioni di giovani. Prima di iniziare però, cliccate qui per il testo completo della legge.

Partiamo dalla scuola primaria, media inferiore e superiore. Fino a poco tempo fa la disastrata scuola italiana poteva paradossalmente vantare un fiore all’occhiello che tutto il mondo ci invidiava: la scuola elementare, con il sistema dei tre insegnanti su due classi. E allora dalle parti del Ministero dovranno essersi detti: se c’è qualcosa che funziona perché lasciarla? Ecco allora tornare al maestro unico, un ritorno nostalgico dettato soltanto da necessità di cassa che accorcerà il tempo dedicato alle lezioni a 24 ore settimanali: 4 ore e mezzo al giorno eliminando dunque il cosiddetto tempo pieno, ormai diffuso nel 92% delle classi – e sono dati ufficiali del ministero competente, non li sto inventando io. Queste salassi occupazionali che vorrebbero spacciare come innovazione consentiranno all'esecutivo di tagliare 87.400 cattedre e 44.500 posti di personale Ata. Non solo. Secondo i calcoli effettuati dai tecnici del Ministero una consistente fetta delle 10.766 istituzioni scolastiche articolate in quasi 42 mila plessi scolastici dovrebbe essere eliminata: 2600 circa, compresi i circa 4.200 plessi con meno di 50 alunni. Come faranno i ragazzi delle cosiddette zone disagiate per posizione geografica? La risposta dal governo sembra essere sempre quella: arrangiatevi!

Un’altra novità della riforma è costituita dalle cosiddette classi-ponte. Cosa sono? In pratica il nostro governo, sodale con certa malarazza della Lega Nord, vorrebbe istituire delle classi differenziate per gli alunni stranieri “colpevoli” di rallentare i processi di apprendimento degli alunni italiani. Allora, mettiamola in questo modo: il provvedimento non è sbagliato in valore assoluto, semmai è posto in maniera capziosa e sottilmente razzista. Se infatti è fondamentale che i ragazzi stranieri conoscano la lingua italiana per comprendere quello che stanno imparando a scuola, è del tutto aberrante che si costituiscano delle classi-ghetto per stranieri dove ammassare cinesi, arabi, rumeni, polacchi, sudamericani e via discorrendo. Capirete che in questi casi i processi di integrazione diventano ancora più difficili da realizzarsi. I ragazzi dovrebbero essere seguiti invece, almeno io credo, da insegnanti preparati al ruolo di mediazione o meglio ancora da mediatori culturali bilingue, e questo per ogni grande gruppo etnico. Certo sarebbe una fonte non secondaria di spesa, ma credo che se si vuole educare e formare un individuo in un paese ormai multietnico questa sia la sola strada da percorrere.

Passiamo all’università.

Nel caso dell’università il dramma tocca il baratro con il provvedimento che a buona ragione è stato definito “ammazza-precari”. In base alla nuova legge sessantamila ricercatori che fino ad oggi hanno lavorato presso università ed enti di ricerca rischiano di vedere andare in fumo il loro futuro. Se gli enti da cui dipendono non riusciranno a stabilizzarli entro il 30 giugno 2009 infatti i ricercatori dovranno trovarsi un'altra sistemazione: magari in qualche call-center o a friggere patatine, o magari all'estero, se proprio non vogliono rinunciare al titolo di studio… E poi si parla di fuga di cervelli. Un’altra follia riguarda quella che si può definire come una vera e propria privatizzazione dell’università. La legge 133 prevede la riduzione annuale, fino al 2013, del Fondo di finanziamento ordinario per l’università e un taglio del 46 per cento sulle spese di funzionamento. Il 46% di taglio. Il che significa 1.441.500.000 di euro almeno fino al 2013. Un miliardo e mezzo di euro, quasi tre mila miliardi di lire se ancora fate i conti in vecchie lire. Una cifra talmente stratosferica che non può trovare giustificazione se non in una folle volontà di soffocare definitivamente l’università pubblica italiana. Il risultato? A causa dell’ammanco di finanziamenti pubblici le università italiane si dovranno trasformare in fondazioni di diritto privato sostenute da capitale privato. Sponsor in poche parole. E penso immaginerete cosa potrebbe accadere se ci fosse un controllo economico più elevato dell’attuale sulla ricerca di vari settori universitari - soprattutto in ambito medico: la ricerca sarebbe condotta in base alla sua redditività. In soldoni lo sponsor chiederebbe al proprio consiglio di amministrazione: questa ricerca è produttiva? Conviene? Se sì la finanziamo, se no, chissenefrega, noi siamo lo sponsor e comandiamo noi.

E non è finita. Attualmente la legge stabilisce che nell’anno solare il gettito delle tasse degli studenti non possa superare il 20% dell’importo del finanziamento ordinario dello Stato. Con il passaggio a fondazione l’università potrà chiedere qualsiasi cifra agli studenti, senza dover rispondere a nessun tetto massimo prefissato. Diritto allo studio? Ma fatemi il favore! Infine l’ultima castroneria della legge 133. La legge ha imposto una drastica riduzione del personale universitario alle facoltà, che sono obbligate a mandare in pensione o altrimenti a licenziare parte del proprio organico. Bene dirà qualcuno, finalmente si svecchia la popolazione dei professori universitari, finalmente si argina la proliferazione abnorme delle cattedre assegnate al figlio, alla moglie o all’amante del barone di turno. Bene. Logica vorrebbe la sostituzione dei professori pensionati con nuove leve per mantenere inalterata l’offerta d’insegnamento. La legge 133 impone invece un turn over bloccato al 20%, ovvero un nuovo assunto ogni cinque pensionamenti o licenziamenti. Uno su cinque, più o meno come le sorprese degli ovetti Kinder.

È chiaro che con una legge simile l’unica strada sia quella della protesta. Meglio se della protesta dura. Cortei, assemblee informative, volantinaggio, comizi, autogestioni, occupazioni da una parte e un’azione politica d’opposizione violenta e serrata dall’altra. Senza colore politico, senza considerare casacche di sorta, con un movimento di protesta trasversale teso a salvare la scuola e l’università italiana. Peccato che il nostro carissimo presidente del Consiglio non comprenda come in un paese democratico esista anche la possibilità del dissenso. Il disagio sociale non è una questione di ordine pubblico. “Darò a lui [Maroni, n. d. L] istruzioni dettagliate su come intervenire attraverso le forze dell'ordine” ha affermato in sede pubblica, salvo poi smentire com’è solito fare quando si rende conto di averla sparata troppo grossa. Non contento delle sue fanfaronate ha pure dichiarato la preoccupazione per il “divorzio tra i mezzi di informazione e la realtà”. Detto da lui, manipolatore dell’informazione per eccellenza, quest’ultima frase non può che far sorridere.

Un’altra fissazione di Berlusconi poi è quella dei comunisti. “I manifestanti sono organizzati dall'estrema sinistra, – ha affermato il Cavaliere nero – molto spesso, come a Milano, dai centri sociali e da una sinistra che ha trovato il modo di far passare nella scuola delle menzogne e portare un'opposizione nelle strade e nelle piazze alla vita del nostro governo”. Ma checché ne dica Silvietto la protesta non è di sinistra, è dettata solo dalla volontà di salvare il salvabile. Altrimenti perché gentaglia neofascista come quelli di Forza Nuova – che sfido chiunque a definire di sinistra – avrebbe partecipato alle occupazioni di alcuni istituti e di alcune facoltà in Italia? Perché quelli di Forza Nuova avranno un sostrato di idee balorde, antistoriche, anticostituzionali, saranno pure squadristi di nuovo corso però non sono degli stupidi, si rendono conto che l’istruzione e la ricerca non possono essere uccise per la volontà cieca, quasi da amministratore di condominio che vuole razionalizzare le spese, e si uniscono alla protesta.

La verità credo sia questa.

E allora protestate ragazzi, protestiamo. Ne va del nostro futuro, dei nostri sogni, delle nostre speranze. Non facciamoci mettere i piedi in testa da gentucola che non sa nemmeno cosa sia l’istruzione e la ricerca: non permettiamolo per favore.


- Postilla del 29 ottobre -

Il decreto Gelmini diventa legge. Per fortuna le leggi si possono cambiare con le regole della democrazia e della politica.

3 commenti:

enne ha detto...

Si possono cambiare (le leggi) con le regole della democrazia e della politica.
Bene.
Allora, per favore, non incitiamo.

"È chiaro che con una legge simile l’unica strada sia quella della protesta. Meglio se della protesta dura. Cortei, assemblee informative, volantinaggio, comizi, autogestioni, occupazioni da una parte e un’azione politica d’opposizione violenta e serrata dall’altra".

Durezza ok, ma la violenza?

Marco il Lunatico ha detto...

Quando ho scritto "azione politica d'opposizione violenta" intendevo violenza verbale, in polemica con lo stile mollaccioso di Ualter Ueltroni. Non volevo dire "spacchiamo tutto": le immagini degli imbecilli di piazza Navona sono una vergogna per tutto il movimento di protesta. Perché quegli idioti si sono fatti fregare dalle divisioni ideologiche e non hanno saputo andare al nocciolo della questione.

Diamine, per ora protestiamo tutti insieme contro una riforma che non guarderà il colore politico e poi ritorniamo ciascuno nei ranghi delle proprie idee.

Mi spiace che abbia dato l'impressione di voler incitare alla violenza fisica: non era mia intenzione!

enne ha detto...

Ma lo sooooooooooooooooooo.
:p