lunedì 27 ottobre 2008

La fame e la gloria

Da quando il mio regime alimentare è stato ridotto di colpo a quello di un desco trappista ho scoperto che mi piace passeggiare. “Associare alla dieta anche una leggera attività fisica”. Bene, mi son detto. Passeggiamo. Soprattutto quando ritorno a Modica, la mia città. Passeggiando per il centro storico noto apparire con regolarità dei foglietti attaccati con lo scotch. Non si tratta tuttavia della solita pubblicità: lezioni private impartite da disoccupati professionisti freschi di laurea, feste fighette, gruppi hardrrockkover improponibili, viaggi alla scoperta di Padre Pio e del business che vi gira intorno. No, quei foglietti sono diversi da forme di promozione rudimentale.

Si potrebbero definire dei pamphlet casalinghi, peraltro sempre debitamente firmati. Da questi manifestini il suo autore si eleva a sgrammaticato fustigatore di costumi attraverso appelli al buonsenso politico e ad una gestione più trasparente della cosa pubblica. Anche se a volte prende qualche abbaglio, rimane interessante leggere le recriminazioni del signor Cerruto – questo il suo cognome – perché rappresenta la voce del popolo che troppo spesso la politica ignora e che finge di ascoltare solo quando si tratta di accalappiare poltrone. In uno dei suoi manifestini il signor Cerruto diceva più o meno: devo pensarci io visto il silenzio colpevole dei giornali… Il silenzio colpevole.

E allora mi sono chiesto quanto grave dovesse essere la situazione se il classico uomo della strada si sente caricato da responsabilità rivelatrici e sente il dovere di sostituirsi a quanti dovrebbero invece fare informazione. Perché i giornali locali ignorano certe vicende che pure sono sotto gli occhi di tutti? Perché sembra che quando si tratta di connivenze tra interesse privato e disinvolta gestione del potere i giornali sembrano glissare? Perché quando gli argomenti si fanno scottanti molte testate locali sorvolano con una tale evidenza da scadere nel grossolano?

Connivenza ed autocensura. Queste le parole che - io credo – riassumono il desolante panorama dell’informazione locale. Connivenza avviene quando una testata è fin troppo vicina o appartiene ad una persona o ad un gruppo di potere. In questi casi il proprietario si trova a controllare l’informazione e a scegliere inopinatamente la notizia che può essere diffusa da quella che invece è bene ignorare. In tal caso le sfumature non si contano più e si può arrivare addirittura al crimine più grave che un giornalista possa commettere: la manipolazione sistematica dell’informazione che permette di ribaltare il fatto dandone l’interpretazione che si preferisce.

La seconda ragione è dettata invece dall’autocensura. Si scrive poco e con superficialità quando si teme che il proprio articolo possa pestare i calli a qualche potente e allora, in assoluta autonomia e cioè senza aver ricevuto pressioni di alcun tipo si preferisce lasciar passare una notizia interessante. Si obbedisce agli ordini ancor prima di riceverne. L’autocensura può essere dettata dalla paura, è chiaro. Non parlo tanto di conseguenze fisiche: in provincia di Ragusa fortunatamente le organizzazioni criminali hanno da tempo scelto il basso profilo e preferiscono evitare atti eclatanti: certo gli stiddari dell’Ipparino non sono esattamente brava gente e se si trattasse di intimidire un giornalista con atti più o meno violenti non si farebbero pregare due volte. In generale però la paura di un operatore dell’informazione è quella della querela. E questo anche se la querela per diffamazione a mezzo stampa, o meglio ancora per calunnia, è sporta a scopo intimidatorio: è difficilissimo infatti che una querela ad un giornalista arrivi realmente ad una condanna. Ma è lo stesso temutissima. Perché fa perdere tempo e soprattutto denaro al giornalista, scredita la testata che pubblica il pezzo e può mettere anche a repentaglio il lavoro del giornalista. Il risultato di quanto ho detto finora determina una sorta di scatola cinese del mondo dell’informazione: il giornalista non scrive, se anche trova il coraggio per scrivere il caporedattore può decidere di non pubblicare il pezzo, ma se anche il caporedattore decide di pubblicare il pezzo in questione lo stop e la riduzione al silenzio possono arrivare dal direttore della testata o anche dall’editore.

Dove sono finiti i giornalisti di una volta direte, quelli che rischiavano anche la vita – altro che querela! – pur di fare trionfare la verità? Semplice. Non se ne trovano tanti in giro: perché nel nostro mondo i matti sono sempre meno dei sani.

Perché un giovane pubblicista per dieci euro, per sette euro ma anche per cinque euro a pezzo, cinque euro, – ci tengo a ribadirlo – per cinque euro un giovane pubblicista non scriverà mai nulla di polemico, non sarà motivato ad andare fino in fondo ad una questione, non rischierà mai il suo posto di lavoro precario, da sfruttato, ma anche una querela o peggio per un articolo che verrà pagato cinque euro. Per cosa dovrebbe farlo, per la gloria?

Già, la gloria. E i cinque euro per un taglio di pizza. Perché ti prendono per fame: vuoi lavorare? Io sono il padrone dell’informazione locale e se vuoi lavorare devi accettare le mie condizioni, i miei impedimenti, le mie censure, i miei paletti, il mio stile. Devi dare questa impostazione agli articoli, devi parlare di questo e in questo modo, tralasciare quanto mi può toccare direttamente o quanto può toccare il potente di turno mio amico… Questa è la verità. Non significa certo che tutte le testate e tutti i giornalisti siano ridotti al silenzio: dico solo che la libertà d’azione di molti di essi è, in alcuni casi e per alcuni fatti, fortemente ridimensionata. Lo capisco, lo comprendo, ma non mi piace.

L’assurdo e l’ovvio - ma che ovvio non dovrebbe essere – è che se vuoi cercare di fare informazione senza impedimenti devi trovare altre strade. Strade che spesso non hanno l’autorevolezza dei mass media più conosciuti e non riescono a raggiungere ampi strati della popolazione. Dai blog ai programmi radiofonici, dalle testate follemente indipendenti come la Sicilia Libertaria ai foglietti autoprodotti. O come i manifesti del signor Cerruto. Che potranno far sorridere forse, fare storcere il naso a qualcuno. Non è giornalismo, non è informazione si dirà. Assolutamente vero, ma quei fogliettini attaccati con lo scotch, carichi di buonsenso del più classico padre di famiglia rappresentano comunque un’esigenza. L’esigenza di colmare un vuoto di una informazione spesso carente. E a volte – sembra assurdo dirlo, ma l’assurdo è ovvio in questi casi – a volte sembra che quei manifesti attaccati con lo scotch dicano più di tanti articoli colpevoli vomitati della stampa quotidiana.

1 commento:

enne ha detto...

Pensa: da grande volevo fare la giornalista. In seconda battuta la psicologa.
Se si fosse avverato il mio primo desiderio probabilmente sarei stata buttata fuori non so quante volte.
Perchè è ben vero che ho idee "collocate" (schierate sarebbe troppo), ma se qualcuno prova a tapparmi la bocca, o a dirmi quello che devo fare, mi girano e, di conseguenza, mi giro.
Piccolissimo esempio.
Tanti anni fa scrivevo su un giornalino locale, il cui direttore (una testa di cazzo) si atteggiava a grande. La faccio breve: sono durata poco. Dopo una scorretezza che reputai grave, salutai e lasciai il giornalino.
Per dirti.
;-)
Sul discorso generale sono d'accordo con te.
Ti pongo una domanda: che cosa ne pensi del tuo omonimo Travaglio?