giovedì 11 maggio 2006

Maledetto Dalai Lama

Facinorosi di tutto il mondo unitevi sotto la nuova bandiera rivoluzionaria. Riponete in libreria l’Anarchist Cookbook, lasciate nei cassetti i passamontagna neri da sub-comandate, mettete in lavatrice le vostre divise da kamikaze e fermate le fotocopiatrici che stanno stampando l’ultimo volantino di rivendicazione. Un nuovo trascinatore delle folle si aggira per il mondo pronto a sovvertire, quale pericoloso terrorista e agitatore di popolo, l’ordine costituito.

Il Dalai Lama.

Stando a quanto dice China View, testata cinese on-line, il Dalai Lama è accusato di essere la mente organizzativa dei conflitti religiosi e di attentare all’unità del Tibet. Notevole testata il China View. Sfogliando le pagine di questo sito sembra che in Cina tutto vada per il meglio: l'economia cresce, il paese diventa più competitivo, si costruiscono infrastrutture, si ordinano nuovi preti, i diritti umani vengono rispettati... Un simile entusiasmo non si vedeva dai tempi della Pravda e dei comunicati della Tass corretti direttamente dal Partito! Mi aspetto di trovare da qualche parte i piani quinquennali a garanzia della stabilità produttiva.

Si nuota nell'acqua stagnante del controllo orwelliano, in Cina. Notoriamente la libertà d'espressione cinese consiste nella possibilità di poter parlar bene del Partito o di non parlarne affatto. Internet non è libero, la posta controllata, molti siti oscurati e i motori di ricerca vergognosamente addomesticati: provate a digitare parole come democrazia o libertà in Cina. Dopo qualche tempo potrebbe arrivare a casa vostra una macchinina di produzione cinese con alcuni funzionari governativi che vi preleverebbero per un tempo indeterminato ed indeterminabile rinchiudendovi in qualche buco per la maggior gloria del Partito.

Ecco allora giornali con la museruola che eseguono ciecamente gli ordini imposti dall'alto incuranti degli esiti arlecchineschi. Probabilmente sono così inquadrati nella logica dello Stato da non porsi domande - legge fondamentale di ogni giornalista -, forse ci credono pure in quello che scrivono. In questa ottica rovesciata risulta comprensibile la definizione data dal China View agli interventi del Dalai Lama.

Nonostante nel mondo tutti conoscano l'infamia dell'occupazione cinese del Tibet. Nonostante lo smembramento del paese e il milione e duecentomila morti che essa ha provocato. Nonostante sia stanziato in Tibet un quarto della forza missilistica nucleare cinese. Nonostante le migliaia di prigionieri politici. Nonostante la tortura sia una pratica comune e giornaliera. Nonostante le donne siano costrette agli aborti selettivi e alla sterilizzazione. Nonostante i seimila edifici religiosi rasi al suolo. Nonostante la segregazione sia una pratica diffusa e consolidata.

E adesso l'immancabile domanda retorica: perché non si fa niente di serio (escluse dunque le risoluzioni Onu)? Possibile che la maggior parte degli occidentali abbia conosciuto la questione tibetana solo grazie a Richard Gere? Continuiamo a far finta di niente, a recriminare sottovoce per paura che la nostra provata amicizia con la Cina ne esca incrinata - un partner commerciale di prim'ordine non si può far indispettire per quattro montanari massacrati, non pensate? Magari gli crediamo pure quando dicono certe cose e siamo tutti sorridenti, e annuiamo, e li applaudiamo pure quando durante le conferenze stampa infilano una fregnaccia dietro l'altra sui diritti umani rispettati e sulla libertà di pensiero e di espressione in Cina. E allora guardatevi intorno domani: da quello che leggo sul China View in ogni bonzo che cerca di piazzarvi il libro di un monaco dal nome illeggibile può nascondersi un pericoloso terrorista.

Altro che Al Zarkawi.

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