venerdì 10 febbraio 2006

Spacchiamo tutto

Gli antichi Greci erano una popolazione particolarmente litigiosa. Litigiosa e fiera. Disposti a scannarsi l’un l’altro per il possesso di una pianura o per aver coltivato dei campi consacrati, disposti a mobilitare un esercito panellenico in una sanguinosissima guerra decennale per vendicare il rapimento di una donna. Solo i giochi olimpici riuscivano a sospendere i contrasti tra le varie poleis: i Greci si riunivano, tutti chiedendo la protezione di Zeus, e gareggiavano lealmente, a perpetuare i principi fondanti della loro stessa civiltà.

Questa pomposa introduzione per dire che i no-global, i disobbedienti, gli anarco-insurrezionalisti (dovrò scrivere un giorno di questa categoria inventata dai media che nella realtà non esiste!) e tutto il resto del variegato mondo dei contestatori stavolta ha sbagliato. Di brutto. Bloccare la fiamma olimpica, e cioè un simbolo di pace – antiquato quanto si vuole, ma pur sempre un simbolo – è stata una mossa degna di intolleranti della peggiore risma, che pur di poter avere un momento di celebrità di fronte alle tv di tutto il mondo è disposta a qualunque cosa. Ma non capite che in questo modo vi fate strumentalizzare? Non fosse altro perché i vari Fini o Berlusconi si sentiranno autorizzati a definirvi con aggettivi quali eversivi (e la gente ha sempre paura di simili aggettivi) e ad agire di conseguenza.

Dando la possibilità ad entrambe le parti di sentirsi vittima e di innalzare all’onore dei propri altari i martiri immolati alla propria causa.

So perfettamente quanto la disperata situazione attuale, sia in Italia che nel mondo, provochi nell’animo di tanti una rabbia difficilmente controllabile: quasi ad invocare una palingenesi di violenza e distruzione per un mondo migliore – o quantomeno diverso. Non posso negare di essere stato molte volte tentato da una simile soluzione: ma non possiamo distruggere tutto, o passeremo la nostra vita a spalare le macerie. Né la soluzione può essere cercata in atti dimostrativi che spingano la base all’azione: si dovrebbe prima spiegare alla suddetta base i motivi di simili atti, sia che si voglia bloccare il passaggio del tedoforo della fiamma olimpica, sia che si decida di demolire una città per protesta.

Spaccare le vetrine dei negozi o incendiare delle auto per convincere la gente che l’attuale sistema è il male personificato non spingerà la base all’azione credetemi, spingerà solo la base contro di te per ciò che hai fatto. Ritengo personalmente questo attuale sistema un sistema deleterio per l’uomo e per la vita associata in generale, ma la distruzione improvvisa di un sistema simile provocherebbe danni ancor più grandi della sua permanenza: non credo nelle rivoluzioni, perché portano al potere una esigua elite che si arroga il diritto di decidere della vita di tutti – esempio di rivoluzione elitaria per eccellenza la rivoluzione d’ottobre.

Stringendo invece il campo alla vita di tutti i giorni, se io distruggo una macchina per compiere un atto dimostrativo il proprietario sarà costretto a risparmiare per riparare il danno subito o, peggio ancora, per comprare una nuova auto. E se il proprietario è un operaio, con uno stipendio limitato, con una famiglia da mantenere e i tanti problemi di tutti gli operai allora è chiaro che quell’uomo non seguirà la “prospettiva rivoluzionaria” ma se ne terrà lontano odiando le persone che la portano avanti e cercherà la sicurezza. La sicurezza dello Stato di polizia, dell’ordine costituito, della schedatura orwelliana.

Per quanto possa essere populista – qualcuno direbbe “qualunquista” – il mio pensiero, so che la gente vuole vivere tranquilla, abitare le proprie certezze – anch’io lo voglio, dopo tutto: e chi sono io per imporre acriticamente agli altri ciò che deve fare, ciò che deve pensare, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato? Allora ecco apparire la rivolta come unico strumento possibile: dove per rivolta s’intenda il rifiuto delle logiche attuali di questa società e l’azione per un suo sovvertimento, dove per strumento della rivolta s’intenda la parola, il dialogo, la comunanza d’idee. Parlare con la gente, usare lo stesso linguaggio della gente, spiegare le nostre ragioni e cercare di organizzare un’azione comune.

Dire “Noi abbiamo ragione e voi avete torto” non servirà a cambiare le cose, dire “noi siamo i migliori perché abbiamo le idee chiare e voi non avete capito niente” non è l’atteggiamento giusto. Capisco che parlare con la gente sia più difficile che urlare uno slogan in un corteo di protesta e che spiegare le proprie ragioni sia più sfibrante e a volte meno soddisfacente che spaccare tutto quello che ci passa davanti.

Dipende da cosa si vuole ottenere.

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