mercoledì 29 gennaio 2014

L’anarchia spiegata ad un renziano (nel tempo di un caffè)

Caro amico renziano (perché mi sei amico, non fosse altro per una preistoria ideologica che ci accomuna), io vorrei tanto essere “di sinistra”. Davvero. Mossi i miei primi, ingenui passi nella Sinistra Giovanile seguendovi nelle divinizzazioni dei vari D’Alema, Prodi e Fassino per abbandonarvi polemicamente quando mi accorsi che tenevate più alle poltrone che alla realizzazione di un programma. Virai dunque in direzione della sinistra “radicale” e per anni mi sentii a casa: programmi e utopie, istanze progressiste, collettività e impegno politico furono i miei punti di riferimento. RC, PDCI, SeL (già con seri dubbi). Presi parte anche ad uno sciagurato esperimento civico naufragato in tutta la sua miseria e limitatezza.

Seguendo da vicino i miei rappresentanti politici e catalogando le continue scissioni dei partiti di riferimento – e questo fino all’impalpabilità nucleare – mi resi conto tuttavia che il marcio aveva raggiunto anche la minoranza della sinistra nella quale avevo creduto. O forse c’era sempre stato il marcio, solo che ero così affascinato dall’ideale che dicevano di rappresentare che non avevo voluto scorgere in essi ciò che in realtà professavano.

Era una lotta sorda e ipocrita, perché mascherata, per la conquista di inutili pezzetti di sovranità impopolare. Per il raggiungimento di un mirabolante 0,2%. Come nel PD anche nella sinistra “radicale” tutti volevano diventare la classe dirigente del futuro, tutti aspiravano ad essere i leader in una lotta suicida fra capetti arroganti mentre il Paese naufragava intorno. Cambiavano le sigle ma non le facce, e se pure cambiavano le facce le teste rimanevano le stesse. Giovani vecchi, burattini di cariatidi ammuffite per le quali ancora si intravedevano i fili attaccati ai propri eredi. Li abbandonai poco prima che scomparissero, fagocitati da una legge elettorale indegna e cancellati dalla loro stessa incapacità di capire il “popolo” dei quali si pregiavano di essere rappresentanti.

Caro renziano, per quanto la cosa potrà sconvolgerti approdai all’ideale libertario. Signora Libertà signorina Anarchia. Che non è caos come pensi tu con una certa semplificazione ma assenza di padroni o gerarchie costrittive. Secondo l’anarchia il potere non può rappresentare il fine per reggere questa società o peggio ancora lo strumento che porti ad una fantomatica rivoluzione proletaria. L’ideale anarchico non sostiene la libertà di fare tutto ciò che si vuole, anzi: nessun sistema politico è più calibrato dell’anarchia, che disprezza fortemente l’egoismo e incoraggia l’individualità nel rispetto del singolo. Anarchia è azione, e non immobilismo politico come mi accusi con un senso di superiorità quasi messianico copiato direttamente dal tuo leaderino di cartone. Al contrario di quello che pensi, infine, nella tua testolina nutrita a pane e “senso di responsabilità”, l’ideale libertario non persegue uno sterile insurrezionalismo inutile e controproducente in un momento storico quale il nostro.

E questo non perché lo Stato e i suoi complici non meritino di essere ridotti in minuscoli pezzettini, ma perché sarebbe ridicolo pensare che la violenza di una bomba possa spingere il popolo a fare i conti con il sistema. È necessario che ciascuno faccia prima i conti con i propri limiti e con i limiti della società che ha contribuito a creare: ma anche allora le bombe sarebbero superflue perché basterebbe la coscienza dell’individuo per fare collassare questo sistema malato.

Religione? Romanticismo politico? Utopia? Certamente. Ecco perché è indispensabile accompagnare l’idea anarchica alla prassi socialdemocratica. Possiamo distruggere ogni cosa e passare la nostra vita a spalare macerie, certo. Oppure possiamo accettare il male necessario della democrazia e agire quotidianamente affinché la tarma dell’idea libertaria intacchi i vostri sistemi ideologici così ben costruiti e così rassicuranti fino a farli crollare sotto il peso delle loro stesse contraddizioni. Vorrei ancora essere di sinistra caro renziano, davvero. Ma se il prezzo da pagare è recitare la caricatura di un’ideologia in nome di una supposta governabilità capirai allora, caro amico renziano, se non ingoierò un simile tossico e se da questa vostra politica del bilancino mi ritrarrò disgustato.

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