lunedì 21 marzo 2011

Per un cerchiobottismo euro-mediterraneo

ovvero come la tradizione del voltagabbana italico sia dura a morire


Scene già viste, inediti scenari. L'equilibrismo diplomatico delle potenze occidentali nel circo militare di Leptis Magna: tocca adesso alla Libia. Sentivamo la mancanza di una nuova guerra “umanitaria”, davvero. Una guerra mobilita le forze più fresche di un paese, aumenta le commesse statali, permette la conquista di nuovi mercati ammantando ogni cosa della più ipocrita veste pietista. È una missione umanitaria. Siamo portatori di pace. Difendiamo i nostri investimenti per decine di miliardi di euro in Libia... Ah no, aspetta, questo non si dice: ne va del nostro italico buon nome.


Non fraintendetemi, Gheddafi quelle bombe le merita tutte. Sfrutta la Libia da decenni considerandola proprietà privata, ha sempre soffocato ogni anelito di libertà nel suo paese, ha finanziato terroristi, ha lanciato missili su Lampedusa, ha bombardato il suo popolo e ha ordinato stermini di massa degli oppositori politici in una guerra civile che stava quasi per chiudere con una vittoria sul campo. Gheddafi e il suo entourage meritano di essere rovesciati. Gheddafi è un dittatore sanguinario che solo la più bieca ed amorale realpolitik italiana intrisa di interessi economici, controllo dei flussi migratori e opportunità diplomatiche ha potuto considerare come partner commerciale e affidabile amichetto. Forse c'è anche l'ammirazione sincera di Berlusconi per il Colonnello: lui sì che sa come zittire l'opposizione! Quale uomo, quale statista. Ma non facciamo processi alle intenzioni, sebbene il viscido baciamano del nostro premier all'Otelma tripolitano faccia seriamente pensare. Infine, per chiudere in bellezza queste considerazioni preliminari, è bene non dimenticare che Gheddafi è matto come un cavallo, furbo e capace di tenere unita a suon di repressioni una terra difficile come quella ma matto come un cavallo. Fatto che, vista la vicinanza con la Libia, dovrebbe preoccuparci non poco.


E dire che avevamo quasi convinto l'Europa ad adottare un cerchiobottismo attendista tutto italiano, che tradizionalmente alla fine di una contesa batte le mani al vincitore. Ci aveva provato Frattini – probabilmente il peggior ministro degli Esteri che l'Italia ricordi – ricordando al cosiddetto mondo libero che “Il colonnello non può essere cacciato” salvo poi comunicare che il governo italiano ha messo a disposizione della missione internazionale le basi e la logistica. Capolavoro concettuale che cercava di far collimare l'amicizia interessata dell'Italia con la Libia da una parte e la necessità di non perdere la faccia di fronte alla comunità internazionale – il prestigio è ormai un pallido ricordo – nonché eventuali partnership commerciali in una Libia libera dal Colonnello. Ed infatti il ministro, fregandosi le mani per i successi che altri hanno ottenuto non ha potuto resistere nel rilasciare una dichiarazione che lascia allibiti: “l'Italia vuole partecipare a questa nuova Libia che verrà dopo Gheddafi”. Capisco la necessità di proteggere gli interessi dell'ENI dalla Total francese, ma almeno il pudore di nascondere le nostre mire economiche... Che vergogna di ministro.


Ben altra scuola gli americani, gli inglesi e i francesi. Alta scuola di ipocrisia politica – c'è chi la chiama semplicemente diplomazia. In questo caso è interessante analizzare lo scenario che si è venuto a creare. Gli Stati Uniti, fatto insolito, hanno voluto mantenere un basso profilo. Probabilmente gli interessi USA non sono così forti nel Nord Africa come per i paesi europei, o forse l'amministrazione Obama vuole evitare di impelagarsi, con una pericolosissima invasione di terra, nell'ennesima palude che sopraggiungerebbe al fallimento della tanto sbandierata Blitzkrieg. I precedenti ci sono e non vanno certo a favore degli Stati Uniti: Somalia, Afghanistan, Iraq, ma anche Iugoslavia e Vietnam. Quando gli americani spengono le lucette della loro guerra elettronica fatta di laser, satelliti e bombardieri Stealth e scendono a terra le prospettive spesso si ribaltano. È facile annientare i malandati Mig degli anni '70 con uno Stealth futuristico ma a terra, in territorio ostile, la superiorità tecnologica di un esercito diventa relativa contro un nemico determinato e che conosce il terreno.


Inoltre, per la prima volta dopo decenni, l'asse anglo-francese ritorna a far sentire il proprio peso in ambito internazionale, testa di ponte di una Europa (Italia esclusa) che cerca di svincolarsi dalla dipendenza politica e militare degli Stati Uniti. Certo ci sono dei conti aperti per entrambi i paesi dell'asse – la Francia si scontrò con la Libia già negli anni '80 per la questione Ciad, in Gran Bretagna la ferita di Lockerbie non si è mai chiusa – ma la vera partita è quella che si gioca sul fronte delle risorse energetiche. Petrolio certo, ma soprattutto gas, che la Libia possiede in quantità considerevoli. E sappiamo bene che nei paesi in cui la situazione politica è incerta è impossibile portare a termine affari e concludere contratti: ecco che entrano in campo le “guerre umanitarie”, ed ecco per quale ragione si è atteso tanto nel “proteggere i civili” dalle incursioni dell'esercito libico regolare. Una cosa è un movimento di protesta più o meno pacifico, un'altra è la guerra civile che fa scontrare due diverse fazioni di un popolo in un territorio ad alto interesse economico. Come ha rilevato ottimamente l'amico Carlo Ruta per quale ragione in Palestina e in Cecenia la comunità internazionale non ha ritenuto opportuno far votare una risoluzione “a difesa dei civili”? Ça va sans dire, signori. O vogliamo dimenticare il Bahrein, che dopo un mese di rivolta ha chiesto aiuto alle truppe dell'Arabia Saudita, e non certo per proteggere i civili dagli scontri? È il terribile gioco delle parti politiche. Dietro quei paesi ci sono Israele, Russia e Arabia Saudita, dietro la Libia c'è solo il deserto. E una quantità immensa di risorse naturali da sfruttare. Così è bastato far approvare la solita risoluzione fumosa dell'Onu, convocare un summit farsa tra Europa, Stati Uniti e alcuni rappresentanti della Lega Araba (Emirati Arabi, Qatar, Iraq, Giordania e Marocco, paesi notoriamente filo-occidentali) ed è stata subito guerra.


Pioggia di missili sulla Libia, una trentina di obiettivi centrati, contraerea azzerata e no-fly zone facilmente istituita da una parte. Dall'altra, un povero mentecatto in vestaglie sgargianti che sbraita di ritorsioni su obiettivi civili e militari nel Mediterraneo, di inferno in terra e che attacca violentemente i paesi della coalizione, definiti traditori. Con una piccola differenza che non sembra essere stata rilevata dai media i quali, anzi, ripetono fino alla nausea l'accusa di tradimento che Gheddafi ha rivolto all'Italia. Ascoltando il discorso integrale di Gheddafi si nota come nella sua farneticazione il Colonnello attacchi ripetutamente gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna mentre riservi all'Italia un solo, singolo passaggio. Un solo passaggio. Per quale ragione? Anche Gheddafi comprende che l'Italia non possiede alcuna rilevanza internazionale o cosa? Accordi segreti per qualche salvacondotto al rais libico e alla sua famiglia in cambio della protezione dagli Scud C, relitto bellico dell'Unione Sovietica ma ancora pericoloso, (i loro 500 km di gittata potrebbero raggiungere tranquillamente la Sicilia)? Promesse di rapporti privilegiati con “la nuova Libia” di cui parla Frattini? È ancora troppo presto per dirlo. Certo è, però che l'Italia una prima vittoria l'ha ottenuta. No, non il coordinamento della missione a Capodichino, un misero zuccherino per i nostri vertici militari che così si illudono di contare qualcosa nello scacchiere internazionale. Mike Mullen, capo dell'operazione Odyssey Dawn ha affermato candidamente che l'obiettivo non è quello di dare la caccia a Gheddafi e di rovesciare il suo regime ma di “permettere ai civili di accedere agli aiuti umanitari”. Peccato che l'unico aiuto umanitario necessario per il popolo libico sarebbe la caduta di Gheddafi. Si può dire di tutto dell'Otelma tripolitano, ma non che abbia affamato la sua popolazione. È un pazzo sanguinario ma il PIL della Libia è pur sempre il quarto dell'Africa con una fascia di popolazione discretamente benestante. Il problema è capire allora chi si vuole davvero aiutare: la prima impressione è che i beneficiari di questa missione umanitaria non si trovino in Libia.


Spero, ovviamente, di sbagliare.

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