domenica 5 dicembre 2010

Se la rovina rovina

Luoghi comuni crollano mentre altri, semantici, sono subito costruiti a regola d’arte dal paroliere di turno al potere. Piagnistei per quattro pietre in croce, pensiamo alla gente che tira la cinghia per arrivare alla fine del mese o che muore di fame. Agli alluvionati del Veneto o ai terremotati aquilani. E ai bambini, signora, chi ci pensa ai bambini? Su architetture demagogiche si fonda il festival dell’ovvio mentre frotte di giornalisti dell’era minzoliniana si precipitano post eventum a raccontare di un “crollo annunciato” e di “ferite insanabili per un patrimonio dell’umanità”.

Macerie e non rovine. Questo il destino di una società malata come la nostra, incapace di curare il proprio male perché incapace di riconoscerlo. Macerie di un passato del quale dovremmo essere complici e non infastidita discendenza, macerie di un presente che già si ammonticchia per lasciare posto al più nuovo al più veloce al più interattivo al più scintillante. Macerie provocate, infine, dall’asservimento della cultura italiana alla filologia più trista e al crocianesimo più accademico che indicarono nella ricerca del bello in sé e negli arzigogolii ermeneutici il fine di ogni esperienza artistica. Così suonarono le campane a morto della cultura italiana decretando il distacco definitivo tra “intellettuali” – un concetto che fa rabbrividire – e gente comune. Tra cultura e vita quotidiana. La bellezza salverà il mondo si diceva, in un estremo atto di deferenza che poneva le rovine del passato alla stregua di reliquie da venerare, lontanissime dal mondo e inutili agli occhi di molti. Così, neppure troppo lentamente, un processo di demolizione ontologica trasformò la rovina, immagine stratificata di un passato affidato al tempo e mantenuta per scelta consapevole, in maceria informe pronta a colmare le fondazioni di una cultura superficiale e raffazzonata. Se comprendessimo che la costruzione di una identità forte passa attraverso la conoscenza e l’interiorizzazione del passato avremmo già conquistato un primo obiettivo. E invece no. Alla cultura che rende liberi dal pensiero unico della classe dominante si preferisce il tempo libero, che non impegna e si limita a sospendere la condizione di schiavitù. Così può sembrare normale, addirittura ovvio, che un quotidiano pur prestigioso come il Sole 24 Ore ceda alla tentazione scriteriata di proporre la trasformazione dei siti archeologici nella loro parodia disneyana, con tanto di ricostruzioni e figuranti in costume. Già che ci siamo tiriamo su anche un parcheggio multipiano e un bel centro commerciale con seimila negozi in franchising così non se ne parla più. Soltanto l’incomprensione per l’enorme potenziale rappresentato dalle tracce del passato – vere miniere d’oro – può portare a credere che le rovine siano quattro pietre.

Oggi come ieri, “la cultura non riempie la pancia”. Le quattro pietre in croce, vecchia storia. Solo che adesso è la cosiddetta “intellighenzia” pollitica italiana che fa cultura ad affermare simili castronerie. Senza sentirsi ridicola a sottolineare ciò che agli occhi del buonsenso sembra essere ovvio, cioè la priorità alle persone colpite da disastri naturali o a categorie in difficoltà. O senza riuscire a far entrare nelle zucche da ottusi burocrati che lo sbriciolamento dei beni artistici e le calamità rappresentano entrambe delle priorità che i ministeri pertinenti dovrebbero gestire in maniera autonoma. È confortante leggere dichiarazioni simili sui giornali: «Quanto è accaduto ripropone la necessità di disporre di risorse adeguate per provvedere a quella manutenzione ordinaria che è necessaria per la tutela e la conservazione dell'immenso patrimonio storico artistico di cui disponiamo» salvo poi scoprire che a rilasciarle è stato Sandro Bondi, cantore haiku dell’era berlusconiana nonché ministro dei Beni e delle Attività Culturali. Vale a dire quel ministro, che si immagina competente, che avrebbe dovuto chiedere “risorse adeguate per provvedere a quella manutenzione ordinaria che è necessaria per la tutela e la conservazione dell'immenso patrimonio storico artistico di cui disponiamo”. Non tanto il ministro in persona, perché nessuno sarebbe in grado di conoscere lo stato di ogni singolo bene di interesse artistico, storico e archeologico in Italia quanto quelle “antenne sul territorio” rappresentate dalle sovrintendenze e dagli studiosi che le compongono.

È irrilevante che a Pompei siano crollate le “patacche” in cemento di Mauri, come ricorda l’illustre Carandini, subito male interpretato da giornalisti frettolosi o strumentalizzato dagli adulatori del potere. Carandini ha sì difeso “l’amico Bondi” scagionandolo da ogni colpa ma ha subito precisato che in mancanza di controlli sistematici e di fondi altri crolli, stavolta di monumenti originali, saranno inevitabili. Considerando che per il 2011 il ministro Tremonti distribuirà 53 milioni di euro per la salvaguardia e la manutenzione di tutti i monumenti italiani (solo il restauro del Colosseo ne costerebbe 25!) il vaticinio è presto pronunciato. Senza avere l’arroganza di contraddire un mostro sacro come Carandini sarebbe inoltre necessario rilevare che “l’amico Bondi” avrebbe potuto ascoltare i continui, sistematici allarmi lanciati dagli studiosi campani sulla fragilità di un sito come Pompei e agire in primo luogo con interventi di manutenzione invece di sprecare i soldi per risibili iniziative di marketing o di “valorizzazione mediatica” del sito. Appeal pubblicitario che avrebbe dovuto attirare i visitatori come mosche e che ha allargato la voragine nel disastrato bilancio della sovrintendenza campana. Come se si investissero migliaia di euro per decorare con affreschi preziosissimi le pareti di una casa senza costruirvi un tetto che le protegga. Ma cosa si poteva sperare di ottenere da un manager della protezione civile come Marcello Fiore che viene nominato (ragionevolmente per intercessione della Madonna di Pompei) commissario straordinario per l’area archeologica? Un uomo che sa di archeologia quanto io di uncinetto e che ha destinato solo il 28% del bilancio alla manutenzione ordinaria e straordinaria del sito. E gli edifici crollano. Mentre gli studiosi e i tecnici, che si immaginano competenti e con fior di lauree in tasca, servono ai tavoli dei bar senza più alcuna speranza.

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