martedì 22 gennaio 2008

Uomini e no


Come se fosse stato assolto. Vero è che il garantismo della nostra Costituzione definisce colpevole un uomo solo alla fine dei tre gradi di giudizio. Vero è che le sentenze dei giudici dovrebbero essere rispettate dai cittadini anche quando esse non rispettano i cittadini. Ma come resistere alla tentazione di ricordare ossessivamente che Totò Cuffaro, governatore della Sicilia, nostro rappresentante presso lo Stato italiano, è stato condannato in primo grado a cinque anni per favoreggiamento semplice e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici? Condannato.

Condannato. Dunque colpevole.

Un senso di avvilimento mi attraversa in questi giorni: frustrazione, impotenza. Ripenso alla faccia di Cuffaro, ai suoi scagnozzi e al loro boato di gioia alla lettura della sentenza: ripenso alle dichiarazioni scandalose dei suoi alleati, alle veglie di preghiera, alle interviste accompagnate da Madonne e immaginette sacre. Ripenso a Totò Cuffaro, condannato colpevole che dispensa sorrisi, baci ed abbracci come se nulla fosse accaduto.

Una sentenza lambiccata che tiene conto di delicati equilibri politici, una sentenza scaturita dal collegio giudicante della terza sezione penale del Tribunale di Palermo fatta apposta per non sconvolgere troppo lo status quo. Come condannare un uomo per reati mafiosi senza che sia lambito dall’accusa di mafia? Secondo i giudici di Palermo Cuffaro non ha favorito né condiviso la linea d'azione di Cosa Nostra ma ha favorito le azioni di singoli mafiosi. Perciò, seguendo il ragionamento di tale sentenza, se io regalassi una bomba nucleare a Bin Laden non favorirei Al Qaida tutta, ma solo il mio amichetto barbuto che per caso si trova a capo di una delle più sanguinose organizzazioni terroristiche di tutti i tempi.

Un ragionamento capzioso e viziato già alla base. Secondo i giudici Cuffaro ha dunque agevolato quei mafiosi per amicizia e non per la loro contingenza con la mafia nonostante queste persone fossero Giuseppe Aiello, il re Mida delle cliniche private siciliane condannato a 14 anni per associazione mafiosa, Giuseppe Guttadauro, boss di Brancaccio, Vincenzo Greco, cognato di Aiello, condannato per aver curato uno dei killer di Don Puglisi, Salvatore Aragona, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, Mimmo Miceli, condannato anch’esso per concorso esterno. Tutte gran brave persone insomma. Bisogna rispettare le sentenze, è vero, ma non posso comunque evitare di ribadire la perplessità di fronte a simili scelte del collegio giudicante. Forse perché Cuffaro si sarebbe dimesso se fosse stato condannato per mafia sconvolgendo ogni equilibrio politico? Forse perché una condanna per mafia avrebbe rivelato ai siciliani e al mondo che la nostra regione è stata governata legalmente da un mafioso, accettato ed aiutato dai massimi vertici del centrodestra italiano?

Cuffaro. Condannato. Colpevole. E una rabbia controllabile solo a tratti mi investe quando leggo Casini che appoggia Cuffaro nella decisione di rimanere al potere nonostante la condanna. Tutto il centrodestra ripete ossessivamente lo stesso mantra (a parte Forza Italia, che spera di mettere sul trono di governatore il suo pupillo Gianfranco Micciché): Cuffaro non è colluso, avrebbe dovuto dimettersi solo se fosse stato mafioso. E qui si apre un altro problema. O meglio, non sarebbe un problema se i nostri politici si rendessero conto che l'esercizio della loro rappresentanza dovrebbe andare di pari passo con l’etica. Non sarebbe un problema se i nostri politici non fossero così scandalosamente immorali. Se fosse diversamente allora si renderebbero conto di quanto meschina, seppur comprensibile, è la gioia di un Cuffaro che si dichiara pronto a tornare al lavoro, si renderebbero conto di quanto vergognose sono quelle dichiarazioni che si complimentano per l’esito del processo e anzi attaccano la magistratura: perché il problema non è solo di una condanna per mafia.

Il problema risiede nella condanna stessa. Condanna a cinque anni, interdizione perpetua dai pubblici uffici non è assoluzione. Cuffaro è colpevole, ed è stato dichiarato colpevole proprio in virtù di quelle prove presentate dal collegio dei Pm della terza sezione del tribunale di Palermo: i fatti e i comportamenti di Cuffaro nei confronti dei singoli mafiosi rimangono del tutto provati. Totò Cuffaro dovrebbe dimettersi perché la sua presenza come governatore della Sicilia rappresenta un’offesa per tutti i siciliani che credono nei principi della legalità. Per il primo grado di giudizio Cuffaro non è un mafioso, d’accordo, ma rimane pur sempre una persona che ha violato la legge, una persona che si è approfittata della sua posizione per favorire gli interessi di squallidi personaggi condannati per mafia. Sto parlando di trasparenza, sto parlando di rispetto delle leggi, sto parlando di rispetto dei cittadini siciliani, sto parlando di dignità personale. Cuffaro ama la Sicilia, dice. Bene. Allora si dimetta. Perché io, insieme a tante centinaia di migliaia di siciliani, ci vergogniamo di essere rappresentati da una persona la cui condotta morale e politica ha favorito esponenti della mafia, ci vergogniamo di una persona che non si rende conto di quale affronto sta facendo alla parte sana del suo popolo. Di cosa ha paura Cuffaro, alla fine? La sentenza in primo grado lo dichiara estraneo alla collusione con la mafia, si presenterà all’appello con una condanna per favoreggiamento semplice che nel frattempo sarà probabilmente prescritta…

Cuffaro ha vinto, alla fine. E con lui ha vinto quella zona grigia che tratta e banchetta con la mafia e che fa dell’intreccio tra politica, mafia, affari ed istituzioni la propria linfa vitale. Politica personalistica, feudo. Mi vergogno, davvero, che quest’uomo mi rappresenti come siciliano e che non senta sulla sua schiena il peso del giudizio di centinaia di migliaia di siciliani, della parte sana di questo popolo indignato. Mi vergogno di Totò Cuffaro, presidente della Regione Sicilia condannato in primo grado per favoreggiamento semplice a cinque anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici...

Vergogna. Che vergogna.

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