sabato 5 gennaio 2008

Piccola notizia intorno ad una fede lunatica

Da qualche mese latitante, lo ammetto. Quasi sempre piccoli post, frantumi di pensiero abbandonati su una superficie scarna. Sostanza e non forma. Non fogli trapuntati di parole a sedurre la mente e a piegarla al suo volere, ma post it attaccati malamente. Colpa di una piattaforma singhiozzante, è vero, ma colpa anche di un lunatico sommerso di incombenze quasi mai portate a termine nel tempo voluto… Anno nuovo. Speranza di riuscire a formare un unico grande collage della propria vita con pezzetti di esistenza smembrati, speranza – perché no? – di tornare ad occupare con regolarità questo piccolo impalpabile cratere elettronico. Anno di svolta, si spera. Anno di scelte, magari. Un altro anno è finito. Assassinato. La cascata dei giorni trascina un altro inutile disperato anno nel dirupo del tempo e nulla sembra cambiare al mondo.

Immutabile. Morti, devastazioni, malattie, guerre: un caos maledetto che non ha alcuna intenzione di tendere all’entropia.

Vanitas vanitatum omnia et vanitas recita ancora oggi il Qoelet, un libro della Bibbia che ho sempre amato – sì, avete letto bene. Il libro dell’assenza di Dio, che tratteggia un mondo pazzo alla deriva di un universo inconoscibile. Strano, vero? Che da anticlericale convinto, eretico per acclamazione popolare citi un libro della Bibbia. Forse perché, a differenza di altri, vedo nella Bibbia solo uno straordinario esempio di una cultura complessa e antichissima. Contraddittoria a volte, discutibile se vogliamo, eppure una cultura da cui, volenti o nolenti, in parte deriviamo: le nostre radici. Greche, romane, cristiane, ebraiche, musulmane, ma anche illuministe e razionaliste…

Ho perduto da tempo la fede, come una foglia si stacca dal proprio albero d’autunno. Lentamente la linfa che dava sostanza e nutrimento la abbandona. Perde colore. Ingiallisce e si lascia infine trasportare dal vento. Non credo più nel Dio dei cristiani, anche se confesso ancora un po’ d’invidia nei confronti di quanti riescono a lasciarsi andare, ad un salto nel buio che supera la razionalità e fornisce una speranza. La fede o ce l’hai o non ce l’hai, non la puoi inventare. Così come non la puoi travestire da religione che è solo rito e dogma, o tutt’al più dipinto di un’idea comune a tutte le culture ma adattata nelle forme a ciascuna di esse.

L’idea di un Dio creatore o di una sostanza unica... Tante sono le porte, una sola è la stanza. Il vero problema sta nel capire cosa ci sia all’interno di questa stanza, sempre che qualcosa ci sia. Ma non pretendo certo di esaurire millenni di elucubrazioni filosofiche in un miserrimo post quale il mio. Io non so se qualcosa o qualcuno ci sia, non so come questo qualcosa sia fatto né se questo si interessi o meno alle vicende umane: semplicemente, la mia ragione non possiede gli strumenti per definirne con certezza la sua esistenza o la sua inesistenza. La fede o ce l’hai o non ce l’hai.

Io l’ho perduta da tempo, ma insieme al vuoto dell’assenza è rimasto un profondo rispetto per una fede genuina, espressa senza costrizioni e senza pretendere di imporre ad altri la propria concezione del mondo. Ecco da cosa deriva il mio anticlericalismo. Non sopporto le chiese quando si trasformano in strumento di potere e nascondono l’ideologia più becera dietro il paravento della sacralità, non sopporto le religioni quando si trasformano in strumento di controllo mentale. Non sopporto nemmeno l’ostentazione della propria religiosità perché credo in una dimensione intimista dei sentimenti: non sbandierati, non portati in trionfo.

Mal sopporto anche l’atteggiamento di certi atei. L’ateismo, negazione di una religione, paradossalmente diventa religione essa stessa quando si fa dogma ed imposizione mentale, quando la Ragione prende il posto di un Dio da adorare acriticamente, davanti al quale inginocchiarsi e al quale rivolgersi nei momenti di difficoltà. Non sopporto l’ostentazione della propria non-fede, l’estrema propaggine del razionalismo, il meccanicismo piegato a vanità suprema e strumento di derisione.

Pur avendo una visione strettamente meccanicistica del mondo però, non riesco ancora a capacitarmi della sua bellezza. Comprendo il come e il perché delle cose attraverso le scienze esatte: capisco perché il sole tramonta e risorge, perché un bocciolo si apre alla rugiada, perché la pioggia si forma e perché cade, comprendo perfettamente il modo in cui il sistema nervoso ci fa intenerire dinanzi ad un cucciolo d’uomo o d’animale, o perché proviamo piacere e dolore. Eppure non mi basta. Per me tutto è sacro e meraviglioso, per me ogni singola parte dell’esistenza grida al miracolo: non si può evitare di rimanere abbagliati dalla bellezza della vita, pur nella consapevolezza del dramma di vivere e del suo dolore.

Solo non credo che nessuna religione sarà mai capace di riassumere il mistero della vita, così come nessun mantra o litania potrà permetterci di giungere alla comprensione più profonda. Credo nella straordinaria possibilità data all’essere umano. Unici peccati, sopraffare i propri simili e cercare di dominare il mondo che ci appartiene. Unica fede, assaporare la pienezza di ogni istante nella certezza della sua provvisorietà. Unica preghiera, la nostra vita stessa.

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