martedì 23 gennaio 2007

Ladri di marionette

Giovedì scorso mi reco in facoltà insieme al Mandarino Minor. Un incontro di quelli prestigiosi, che giustificano lo spreco di mezza giornata di studio: Deaglio e Cremagnani che presentano il docu-thriller – loro definizione – Uccidete la democrazia, con tanto di Travaglio, Diliberto e Licandro a far da degno contorno alla compagine. La notte della Repubblica il titolo della serata. Entriamo nell’Aula Magna dedicata a Santo Mazzarino, terrore e vanto della mia facoltà – dipende dai punti di vista, studenti o professori – e cerchiamo di farci strada tra la folla per trovare due posti liberi. Troppo tardi. Conquistiamo una posizione laterale: “guarderemo” cioè lo schermo di sbieco, di fatto ascolteremo soltanto la voce narrante. Non è un problema per me che ho già visto il film ma lo è per il Minor che di tanto in tanto impreca a mezza voce per il deleterio angolo di visione nonché per il pessimo audio della sala. Talmente pessimo che il solito complottista griderà allo scandalo postulando manovre sotterranee che avrebbero sabotato ad hoc la visione per convincere la platea a comprare il dvd… Poveretto. Certa gente si può solo compatire.

Il mio commento al film sarà conciso quanto lapidario. Mi spiace che un giornalista altrimenti serio come Deaglio abbia deciso di presentare quella che poteva essere una violenta inchiesta giornalistica come un misero sottoprodotto dell’info-tainment populista alla Moore: non discuto sui dati né sull’ipotesi, inquietante e niente affatto peregrina. Il mio appunto si riferisce alla forma. Siamo talmente rincitrulliti dalla televisione e dalla multimedialità della notizia – immagini artistiche, drammatica voce narrante, musiche in sottofondo tali da ridurre l’informazione al lumicino – che la cara vecchia inchiesta pubblicata su un quotidiano non avrebbe ormai lo stesso impatto sulla società italiana di una sua brutta copia multimediale. Non sono un passatista, se non altro per la mia età, eppure custodisco a casa – brutta malattia la venerazione – qualche numero di Lotta Continua e de L’Ora che ho avuto la fortuna di acquistare al mercatino delle pulci. Li considero esempi da seguire di un giornalismo feroce ed impavido che se ne fregava dei potenti e che tirava dritto per la propria strada con la delicatezza di uno schiacciasassi forte delle sue convinzioni. Che poi la violentissima campagna intrapresa da LC contro il commissario Calabresi abbia portato al suo omicidio credo sia innegabile, ma questo è stato un tragico errore di percezione politica di cui solo adesso i leader storici si rendono conto. Ma pensiamo alla redazione de L’Ora decimata dalla mafia o ai tanti giornalisti che hanno reso onore a sé stessi e restituito dignità all’Italia dei padrini scoperchiando gineprai che gli interessi dei potenti avrebbero voluto tenere nascosti all’opinione pubblica…

Parlo di credibilità. E parlo anche di velleità carbonare decisamente fuori luogo. L’errore di certi giornalisti di sinistra è il “morettismo”: essere convinti cioè, al pari di Nanni Moretti, che la gente si esprima come loro, ragioni come loro e agisca allo stesso loro modo. Non cercano un punto di contatto con gli altri, e qualora decidano di farlo scimmiottano maldestramente la notizia in cerca di scoop e di favore a buon mercato. Mi piace il giornalismo urlato (l’importante è che si basi su dati!), ma non sopporto la caccia alla celebrità e l’auto-incensamento e in special modo non sopporto il tono spocchioso di chi crede di appartenere ad una élite culturale.

Dopo la proiezione i discorsi dei convenuti non hanno fatto altro che aumentare questo mio senso di fastidio. Pur approvando quasi ogni argomentazione presentata, quella sera ho trattenuto a stento l’insofferenza per gli applausi continui ed immotivati del pubblico e per i sorrisi compiaciuti dell’oratore di turno. La politica italiana è caduta così in basso che basta affermare ovvii principi di democrazia per ricevere un applauso scrosciante: come il giornalismo non dovrebbe essere la spettacolarizzazione della notizia così la politica non dovrebbe convincere chi già la pensa come noi.

Il Paese non matura attraverso la ripetizione di un clichè eppure a molti fa comodo smuovere la solita aria fritta: fini elettorali, conquista del potere, agevolazioni economiche, semplice narcisismo. Anche questa, infine, un’affermazione così ovvia che immagino già qualche lettore annuire in segno di approvazione.

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