sabato 28 gennaio 2006

La banalità del bene

Una mia carissima amica mi ha invitato stasera ad un happening dedicato alla giornata della memoria. Io tra il pubblico, lei tra gli orchestrali con il suo amato clarinetto. Musiche toccanti, immagini anomale, sequenze tratte da Schindler's list, voci narranti brani di sopravvissuti alla Shoah. Vedevo la gente commossa che alla fine di ogni brano batteva rigorosamente le mani, e in qualche caso si azzardava pure un bravo! all'indirizzo del solista di turno o agli attori che recitavano seri e compunti.

Vedevo tutto questo e non riuscivo a capire.

Se c'è un insegnamento scolpito più lucidamente degli altri sulla roccia del genere umano è quello di Primo Levi: "Meditate, che questo è stato". Meditate. Meditate. In questi casi la musica dovrebbe solo incanalare le emozioni e guidarle alla comprensione delle testimonianze recitate e le immagini dovrebbero dare un impatto visivo crudo, tremendo... La cosa migliore sarebbe stata accogliere la musica in silenzio lasciandosi trasportare nei labirinti dell'abominio umano, tremare, indignarsi, disperarsi e infine guardare negli occhi l'attore come se in quel momento lo spirito del sopravvissuto lo possedesse, guardarlo negli occhi e dire "Ho capito". Perché un intero popolo non sia sterminato da un altro solo in ragione della sua esistenza.

Mi ha fatto male vedere tutta questa gente impellicciata e ingioiellata, elegante e con la puzzetta sotto il naso che annuiva con soddisfazione ai quadri astratti e batteva le mani a delicati assoli, mi ha fatto male vedere gli attori recitare compiaciuti con un dolore finto e stereotipato e con una voce ancora più finta e stereotipata. Perché la commemorazione è diventata l'opposto del ricordo: un'occasione in cui la gente perbene può indignarsi ma con classe, senza quelle brutte ed impressionanti immagini che sono rimaste a memoria perenne di un'infamia, con attori dalla voce stentorea e orchestra con tanto di direttore, soprano e coro da apprezzare e da acclamare per la bravura.

Mi ha fatto male vedere la memoria passare in secondo piano e capire che molta di quella gente aveva partecipato alla serata solo perché impegnarsi nel sociale è diventato cool...

Smetto di scrivere: sono quasi le quattro del mattino e sono stanco, ho una corsa in metro alle 7.50 e un pullman alle 8.30, ho ancora un discreto bagaglio da sistemare, eppure non ho potuto fare a meno di questo post.

Perché se sinistra è la banalità del male, altrettanto inquietante è la banalità del bene.

venerdì 27 gennaio 2006

Frantumi

(Mino Ceretti, Uomo allo specchio rotto, olio su tela 1957)

"Era già sera, e nella baracca faceva un freddo atroce. Ero disteso sul pancaccio; ci stavamo in quattro, stretti uno all’altro per scaldarci. Noi eravamo quasi i primi, vicini all’ingresso. Ci eravamo appena addormentati, quando dei passi si avvicinarono alla porta. Qualcuno la aprì, facendo entrare una folata di vento gelido. Comparve una figura. In fretta, gettò dentro due grossi fagotti. Poi la porta si richiuse. Non si capì chi aveva buttato lì da noi quei fagotti: forse un’uniforme, forse una blockowa o forse solo una delle detenute che stavano nella baracca accanto. Ora i fagotti erano per terra, appoggiati al nostro pancaccio. Sbirciai oltre il bordo, con prudenza. I fagotti si muovevano. Si vedevano due teste, due faccine bianche, enormi occhi scuri. Erano bambini piccolissimi, avevano già i denti ma non parlavano ancora. Devono dormire con noi? Qui sul pavimento? Non ho mai visto da vicino bambini così piccoli!

Riflettei. I pancacci erano pieni zeppi. Forse domani indicheranno loro un posto dove dormire, pensai, e intanto continuavo ad osservarli. Si mossero di nuovo. Tirarono fuori dagli stracci le braccine sottili, e io rimasi inorridito. Erano bianche come le loro facce, però le mani, specialmente le dita, erano nere, e non si cedevano le unghie. “Assiderati!” bisbigliò Jankl, che era accanto a me. Li toccammo, piano… Non reagivano. Si succhiavano le dita nere. Forse per scaldarle, pensai. Lo sguardo fisso dei loro occhi scuri sembrava cercare qualcosa di lontano, molto lontano. Mi svegliai con la luce.

Mi spostai sul bordo del pancaccio e guardai giù. Erano ancora lì, proprio come la sera prima, come se non si fossero mossi. Mi sporsi ancora più giù e per un momento credetti che gli occhi mi ingannassero. Tenevano entrambi le mani sulla faccia, davanti agli occhi vitrei, semichiusi… Ma no! Quelle non erano mani. Non riuscivo a collegare ciò che vedevo con nulla che conoscessi. Le mani erano nere, come la sera prima… ma le dita!… Le dita erano bianche… bianche come la neve. E non erano vere dita. Quelli che scorgevo erano dei minuscoli bastoncini bianchi, come spezzati, ognuno puntato in una diversa direzione.

Agitato, tirai Jankl per un braccio. “Che cos’è? Guarda, Jankl, le mani!” esclamai, e Jankl fissò a lungo oltre il bordo del pancaccio. “Ossa!” disse poi. “Solo ossa. Anche tu sei fatto così, dentro. Anche tu hai delle ossa, dappertutto, dove senti che c’è qualcosa di duro. Le ossa ti sostengono, e bisogna stare attenti che non si rompano”. Mi tastai il corpo, le mani, le braccia, le ginocchia. Sentii delle cose dure e, per la prima volta, riuscii a figurarmi com’erano fatte le mie ossa. Fu una sensazione quasi euforica, come di una grande scoperta. “Ma… ma allora perché quelli hanno le ossa di fuori…? Le mie sono sotto la pelle. Sono malati?” domandai, e cominciai ad avere paura. C’era qualcosa che non andava. Jankl non mi aveva detto la verità per intero. E si mordeva le labbra. “Sono malati?” ripetei.

E Jankl rispose: “Sì, e la malattia si chiama fame. Le dita congelate non fanno male, e così stanotte si sono rosicchiati le dita fino all’osso… Però adesso sono morti”. Jankl aveva parlato piano, con distacco, ma per la prima volta da quando eravamo insieme colsi della tristezza, dell’amarezza nella sua voce. Quando lo guardai, attonito, vidi che piangeva".

[B. Wilkomirski, Frantumi. Un’infanzia. 1939-1948, Cles (Tn), 1998]


A me non è dato aggiungere altro. Nel giorno della memoria, anniversario di quel 27 gennaio 1945, quando i cancellli di Auschwitz furono aperti, ho voluto prestar voce a chi fu bambino allora, oggi uomo senza memoria e senza passato: Binjamin Wilkomirski. Rinchiuso ancora bambino a Majdanek e in altri lager polacchi, Binjamin ha vissuto i primissimi anni della sua vita avendo come unico punto di riferimento il lager e i suoi meccanismi perversi: non ha parenti, non sa quando è nato e in quale luogo, anche il suo nome è un nome presunto. Binjamin è un uomo-non-uomo, incastrato da frantumi di ricordi terrificanti tra i pancacci di un campo di concentramento, derubato della vita, schiacciato dalle sofferenze in un limbo atemporale che ritorna a tratti come un inferno mai del tutto superato, lacerato dai frantumi della sua vita che non riesce – e non riuscirà mai – a ricongiungere…

A me non è dato aggiungere altro. Non ne ho il diritto, non ne ho le capacità: impossibile parlare dall’esterno di un dolore così atroce, di un delitto alla dignità umana così grande, impossibile anche trovare una spiegazione logica a quanto è successo. Un groppo si chiude in gola, una vertigine s’impadronisce di me, le dita si bloccano sulla tastiera ripensando a quelle dei due piccoli innocenti, ripensando al “rumore inconfondibile di crani sfondati” che tortura ancora oggi Binjamin, ripensando alle vittime di un tale abominio… A me non è dato aggiungere altro.

martedì 24 gennaio 2006

La guerra è una cosa seria




Questa foto che Eric de Castro ha scattato per Reuters (fonte: Internazionale 13-19 gennaio 2006) dovrebbe farvi capire in che mani è il mondo. In effetti a volte ho il dubbio che l'esercito americano non capisca la differenza tra un gioco e la vita vera, se tanto ormai basta pigiare un bottone a migliaia di chilometri di distanza per uccidere la parte avversa... Danni collaterali a parte, chiaramente.

lunedì 23 gennaio 2006

Mc sconfitte

Dev’essere una bella capa tosta Luigi Digesù. Caparbio e sfrontato, di quelli che se ne fregano della globalizzazione e delle leggi di mercato, di quelli che il marketing non sanno nemmeno dove stia di casa. Di quelli che però almeno una cosa la sanno fare, e pure bene: il pane. E che riescono a cacciare con gli hamburger tra le gambe anche la più grande e arrogante catena di fast food del mondo: quando anche Mc Donald’s deve arrendersi alla focaccia di Altamura.


Nel 2001 Mc Donald’s aveva scelto di aprire un suo locale anche ad Altamura, una bella cittadina di circa 65.000 abitanti in provincia di Bari. Cinquecentocinquanta metri quadrati di Mc-cibi sulla piazza principale del paese per il classico standardizzato Mc-stile: e si sa come vanno queste cose in una cittadina di provincia. Tutti vanno a vedere il Mc-gigante che ha deciso di porre piede anche nella tua città, tutti fanno la fila in attesa che dipendenti sempre sorridenti – paresi facciale? – ti offrano cibo standardizzato dal sapore di carta. Modernità. Guadagni. Affari. New economy.

Peccato che poi arrivi un fornaio a guastare la festa e a rompere il giochino. Sono bastati cinque anni perché Luigi Digesù riuscisse a far chiudere il Mc Donald’s della sua città: nessuna concorrenza sleale… Semplice concorrenza. E non sono servite le iniziative del Mc Donald’s per cercare di sopravvivere in quel di Altamura, anzi, ha dovuto subire lo smacco tremendo dei clienti di Luigi che andavano a comprare la focaccia da lui per poi consumarla seduti (s)comodamente sulle Mc-sedie e appoggiati ai Mc-tavoli.

Non vorrei trarre nessuna parabola no-global da questa vicenda che ha valso a Digesù anche la menzione su Libération e su Times on line. È chiaro che la differenza tra un Mc-cibo e un cibo normale si vede. Non tanto per la qualità, (non sono esattamente sicuro che la qualità degli alimenti usati dal paninaro che sta alla stazione degli autobus siano migliori di quelli usati da Mc Donald’s) o per il rapporto quantità-prezzo, sebbene io con un costoso Mc-panino non mi sazi!


Parlo di sapore.

Nessun panino da fast food potrà mai superare i nostri piatti tradizionali. Scusate se sono antico, ma non rinuncerei mai alle scacce e alle arancine della mia città (diffidate da un modicano che le chiama arancini, si è già venduto al mercato!), né al cosacavaddu ragusano (nove mesi di stagionatura, né più né meno), o al pane e panelle di Palermo, o alle paste di mandorla di Piazza Armerina, o alla pignolata di Messina, o al pistacchio di Bronte, o ai salumi dei Nebrodi, né tantomeno al mitico panino con la carne di cavallo consumato nelle più squallide bettole di Catania.


Sono i sapori della mia terra. Sono la mia terra. E mi sentirei un traditore se li abbandonassi ad un destino da museo culinario in favore di una supposta modernità.

giovedì 19 gennaio 2006

Le ultime lettere di Silvio Berlusconi

Ovvero
Della demenza senile


"Felicitazioni per il tuo arrivo, lo sai che la nuova legge Finanziaria ha stanziato per te 1.000 euro?". A meno di tre mesi dalle elezioni l'ultima trovata propagandistico-cabarettistica di un premier sull'orlo di una crisi di coalizione... Certo che non gli si può negare l'estro e la fantasia: Silvio Berlusconi ha deciso di inviare a tutti i bambini nati nel 2005 una lettera in cui spiegare, con tono nonnesco e pateticamente sdilinquito, le modalità attraverso cui potranno usufruire del bonus - 1.000 euro appunto - reintrodotto con la nuova finanziaria. Ai neonati. Tutti bimbi prodigio se riescono già a leggere e comprendere il significato di questa lettera... Ciliegina sulla torta? Alla fine il premier saluta il bambino con "un grosso bacio".

Povero Silvio, quanto deve temere queste prossime elezioni! Dev'essere l'ansia da prestazione: "Riuscirò a mantenere salda una coalizione che si sta sfaldando da tutti i lati? Avrò abbastanza fette di prosciutto per coprire gli occhi a tutti gli italiani? Riuscirò a conservare il mio posto di privilegiato in modo tale da sfuggire alla giustizia italiana?" (che pure esiste). Quante dolorose questioni da risolvere. E allora niente di meglio che accattivarsi gli strati più deboli e manovrabili della popolazione attraverso le solite trite e ritrite formule: 800 euro al mese per i pensionati, i mille euro di bonus per un bambino nato nel 2005. Bisognerebbe però capire il senso di questi soldi: va bene, mille euro fanno sempre comodo... E poi? Una volta che li hai spesi chi ti garantirà l'assistenza medica? Chi provvederà a fornire al tuo bambino un'istruzione adeguata? In che modo riuscirai a far fronte all'esosità del fisco o semplicemente all'inflazione degna di un ippodromo?

È chiaro che invece del contentino - pur gradito - sarebbe meglio permettere a quel neonato di crescere nel migliore dei modi trasformando l'Italia in un paese a misura d'uomo e non a misura dei vari potentati di turno: una cosa simile però ai politici italiani riesce poco bene, soprattutto se ne va di mezzo la poltrona. Inoltre la gratitudine ha vita breve, e se queste cose non si fanno a ridosso delle elezioni... Ricordo quand'ero piccolo le strade scassate e piene di buchi della mia città che poco prima delle elezioni venivano frettolosamente asfaltate dall'amministrazione timorosa di perdere il proprio posto, o le discariche abusive che venivano subito ripulite da operai di ditte specializzate, o le lampadine dei lampioni, sostituite in fretta e furia - beh, queste cose accadono ancora oggi , ma se te ne accorgi quando sei ancora bambino significa che è davvero grave. I messaggini sui cellulari per ricordarti di andare a votare, 560.000 lettere spedite dalla Presidenza del Consiglio per avvisare i neonati, lo stipendio di Bruno Vespa, i finanziamenti pubblici ai partiti e i soldi destinati agli organi di stampa dei partiti...

Non fanno altro che campagna elettorale con i soldi delle tasse. Con i vostri soldi. Con i miei soldi. E non se ne vergognano.

martedì 17 gennaio 2006

Indegni di considerazione #3

Per carità, nessuno è obbligato a fare la carità. Consuetudine vuole tuttavia che questo atto di generosità incondizionata debba essere esteso a tutti: diversamente è una semplice manifestazione di ipocrisia e di cattiveria... A Strasburgo esiste un'associazione di estrema destra, Solidarité Alsacienne, che periodicamente organizza dei pranzi per i senzatetto e i poveri della città: lodevole iniziativa, se non fosse che in questa mensa i piatti cucinati sono a base di carne di maiale. Il motivo?

Escludere gli ebrei e i musulmani.

Chiaramente l'unico scopo di questi individui è far parlare di sé e cercare di portare di fronte ai media la loro delirante visione del mondo. Ma non crediate che atti simili siano tanto lontani dalla nostra tollerante Italietta: basti pensare ad un partito incostituzionale qual è Forza Nuova e alle sue altrettanto deliranti proposizioni. O forse è necessario solo girarsi intorno per scoprire tanti fervidi cattolici osservanti che cacciano in malo modo il questuante di turno per poi battersi computamente il petto la domenica e annuire convinti alle omelie ex cathedra sulla carità che il prete impartisce con foga, probabilmente dimenticando le migliaia di casi dei convertiti del riso, come a dire "se ti converti all'unico vero Verbo io non ti faccio morire di fame"... Le missioni africane sono piene di casi simili.

Esportatori di democrazia

Stavolta il buon cristiano Governator ha attaccato i fili elettrici direttamente alla sedia a rotelle... Arnold Schwarzenegger, governatore della California – un arrivista senza scrupoli, dote indispensabile per chi voglia arrivare alla Casa Bianca – ha negato la grazia a Clarence Ray Allen.

Settantasei anni, malato di cuore, diabetico, quasi cieco, seduto su una sedia a rotelle: Clarence Ray Allen, condannato a morte per iniezione letale dalla giustizia di Stato.

La maggior parte delle persone di buon senso penserebbe che Allen fosse già stato condannato abbastanza dalla sorte: non gli americani, gente che ha una fede incrollabile nella giustizia e nella legge solo quando difende gli interessi della propria lobby ma che finge di ignorare le migliaia di aberrazioni legali che ogni giorno avvengono nel proprio paese, senza dimenticare le violazioni sistematiche di trattati internazionali che pure hanno ratificato o il rifiuto di firmarne altri, avvelenando in tal modo il pianeta e i suoi abitanti.

Mi riferisco nel primo caso alla vergogna di Guantanamo bay e di Abu Graib, e nel secondo al trattato di Kyoto, che gli Stati Uniti hanno rifiutato di firmare insieme a India e Cina: ma quei paesi sono considerati dall’opinione pubblica men che barbari, mentre gli Stati Uniti rappresentano la migliore delle democrazie possibili, un modello da esportare, la Civiltà.

Gli americani, buoni cristiani neocon, dovrebbero riflettere un attimo sulla dimensione della loro ipocrisia se non ritengono riprovevole l’uccisione legale di un uomo, soprattutto di un uomo come Clarence. Dove sono le voci dei predicatori che ergono i propri scudi in difesa del più debole? Dove sono le voci del Vaticano e del Pastore tedesco – papa di razza – che si levano in difesa della vita? Non era forse un debole Clarence, la povera larva del criminale efferato di un tempo?

Non ditemi che la Chiesa non vuole interferire con l’amministrazione di uno Stato per favore, se tutti i giorni i media nazionali sono pieni di preti suore cardinali papi che dettano legge ai politici zerbini e interferiscono pesantemente nell’attività di uno stato, qual è quello italiano, che dovrebbe essere laico. La verità è che la vita va difesa solo quando gli interessi di qualche gruppo di potere coincidono con quelli del condannato: in caso contrario sarà solo un numeretto da aggiungere alle statistiche sui condannati a morte e un nome da ricordare su qualche blog scalcagnato.

giovedì 12 gennaio 2006

Ritagli di giornale #2



Questa è la seconda vignetta che ho trovato sulle pagine di "Internazionale", questa volta del 25 novembre - 1 dicembre 2005. Perfida e politicamente scorretta è vero, ma credo che quella ruota che assegna casualmente al kamikaze il suo luogo di morte sia efficace più di qualsiasi parola per indicare quanto assoluto sia il disprezzo che questa gente ha della vita umana.

Parliamo di politica

In attesa di un nuovo post, ho deciso di farvi leggere la mail che mi ha inviato una cara amica, Leda.


SOCIALISMO: Hai 2 mucche. Il tuo vicino ti aiuta ad occupartene e tu dividi il latte con lui.

COMUNISMO: Hai 2 mucche. Il governo te le prende e ti fornisce il latte secondo i tuoi bisogni.

FASCISMO: Hai 2 mucche. Il governo te le prende e ti vende il latte.

NAZISMO: Hai 2 mucche. Il governo prende la vacca bianca e uccide quella nera.

DITTATURA: Hai 2 mucche. La polizia te le confisca e ti fucila.

FEUDALESIMO: Hai 2 mucche. Il feudatario prende la metà del latte e si scopa tua moglie.

DEMOCRAZIA: Hai 2 mucche. Si vota per decidere a chi spetta il latte.

DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA: Hai 2 mucche. Si vota per chi eleggerà la persona che deciderà a chi spetta il latte.

ANARCHIA: Hai 2 mucche. Lasci che si organizzino in autogestione.

CAPITALISMO: Hai 2 mucche. Ne vendi una per comperare un toro e avere dei vitelli con cui iniziare un allevamento.

CAPITALISMO SELVAGGIO: Hai 2 mucche. Fai macellare la prima e obblighi la seconda a produrre tanto latte come 4 mucche. Alla fine licenzi l'operaio, che se ne occupava, accusandolo di aver lasciato morire la vacca di sfinimento.

BERLUSCONISMO: Hai 2 mucche. Ne vendi 3 alla tua società quotata in borsa, utilizzando lettere di credito aperte da tuo fratello sulla tua banca. Poi fai uno scambio delle lettere di credito, con una partecipazione in una società soggetta ad offerta pubblica, e nell'operazione guadagni 4 mucche, beneficiando anche di un abbattimento fiscale per il possesso di 5 mucche. I diritti sulla produzione del latte di 6 mucche, vengono trasferiti da un intermediario panamense sul conto di una società con sede alle Isole Cayman, posseduta clandestinamente da un azionista, che rivende alla tua società i diritti sulla produzione del latte di 7 mucche. Nei libri contabili di questa società figurano 8 ruminanti, con l'opzione d'acquisto per un ulteriore animale. Nel frattempo hai abbattuto le 2 mucche perché sporcano e puzzano. Quando stanno per beccarti, diventi Presidente del Consiglio!

mercoledì 11 gennaio 2006

La meravigliosa storia di un'autostrada

Ritorno finalmente nella mia città d’adozione dopo stressanti vacanze di Natale in casa… E vi ho detto tutto. Percorro in autobus i centoventi chilometri circa che separano la mia città, Modica, da Catania, la città in cui abitualmente vivo.

Due ore.

Due ore di traffico estenuante, di camion tartaruga in fila sull’unica corsia disponibile, di sorpassi azzardati e cantieri infiniti. Due ore di sussulti e cambio gratta-gratta, motori imballati e frenate improvvise… È dura la vita del pendolare costretto agli autobus dell’Ast, la compagnia regionale. Eppure ci sarebbe un’autostrada. Un’autostrada che avrebbe dovuto unire i due poli della nascente industria siciliana, un’autostrada che avrebbe portato ricchezza progresso benessere e altre cianfrusaglie positiviste nelle province più a sud della nostra amata Sicilia.

Andate a Gela. Vicino alla zona industriale troverete gli svincoli dell’autostrada, belle colate di cemento che imbruttiscono ulteriormente il paesaggio. Vi pregherei di fermarvi sotto questi svincoli e di osservarli con attenzione. Gli svincoli seguono i cartelli che indicano Siracusa, si dipartono elegantemente dalla strada principale e attraverso volute architettonicamente bizzarre si interrompono nel nulla. Nel nulla. Già: perché dei 130 chilometri e duecento metri di questa autostrada progettata alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso e mai conclusa sono in esercizio solo una manciata di chilometri che collegano Siracusa a Cassibile. E anche lì trovate i cartelli che indicano Gela. Sfido chiunque non conosca questi luoghi a raggiungere poi Gela da Cassibile: costretti a uscire dalla fantomatica autostrada non esiste nessun cartello – e dico nessuno, ho controllato – che indichi Gela. Gli automobilisti sono avvertiti.

La Torre Eiffel, destinata ad essere smontata, venne costruita in meno di due anni (1887 – 1889), e così il Pantheon a Roma (27 – 25 a. C.). Qualche anno in più fu necessario per il Colosseo (72 – 80), mentre un solo anno bastò all’Empire State Building per fregiarsi del titolo di grattacielo più alto del mondo (costruito tra il ‘30 e l’inizio del ’31): il canale di Suez venne inaugurato dopo dieci anni dall’inizio dei lavori (1859 – 1869) mentre 14 anni furono dedicati allo sventramento del Frejus prima che potesse accogliere il traforo omonimo (1857 – 1871).

Noi aspettiamo da cinquant’anni che vengano terminati un centinaio di chilometri di autostrada la cui consegna dei lavori veniva data come imminente già all’inizio dei ’60. Un po’ come il ponte di Messina: mio padre ricorda di aver portato a casa le cartoline con il ponte già disegnato alla metà degli anni ’60. E le cartoline ci sono ancora, in vendita da qualche rigattiere di Messina, così come c’è ancora la prima pietra del ponte, lasciata là forse con la segreta speranza che si moltiplichi per partenogenesi.

E mentre i politici locali dichiarano che un altro pezzetto di autostrada (30 chilometri) sarà consegnato entro il 2006 non posso fare a meno di ripensare alla strada che ho percorso nel pomeriggio: la Ragusa-Catania. Riccardo Minardo, senatore di Forza Italia eletto plebiscitariamente con 70.000 voti (cose che nemmeno nella Bulgaria dei tempi rossi) ha basato le sue campagne elettorali sul raddoppio delle corsie della Ragusa-Catania: questo pomeriggio stavano installando i nuovi guard-rail, dall’uno e dall’altro lato della strada… Il senatore potrebbe cominciare a stampare le cartoline del raddoppio: così almeno tra cinquant’anni potrò raccontare ai miei figli, magari in coda dietro a un tir sull’unica corsia della Ragusa – Catania, di come il raddoppio fosse imminente già nel 2006…

Postilla

Comincio ad avere sonno, scusatemi. Una postilla al post: Riccardo Minardo è anche quel senatore che ha un fratello petroliere. Nulla di male voglio dire. Peccato che il suddetto senatore abbia presentato un po' di tempo fa una proposta di legge che chiede la defiscalizzazione dei carburanti in provincia di Ragusa. Nulla di male nemmeno adesso. Una proposta di legge interessante, che eliminerebbe definitivamente le imposte sulla produzione del carburante: tradotto in altri termini, un grande regalo al fratello petroliere! Tuttavia, mentre le accise verrebbero eliminate DEL TUTTO i consumatori ragusani potrebbero accedere solo ad una quantità LIMITATA DI CARBURANTE "scontato" ogni anno, e dovrebbero quindi pagare a pieno prezzo il resto. Inutile dirvi chi controlla gran parte delle pompe di benzina della provincia...

Ps: vi invito a leggere il ddl di Minardo (n. 3894 del 16 marzo 1999) sul sito del Parlamento per farvi capire che non dico baggianate.

martedì 10 gennaio 2006

Ritagli di giornale #1



Questa immagine proviene da "Internazionale" dell'11-17 febbraio 2005: l'ho trovata scartabellando un po' di vecchie riviste. Credo che riassuma perfettamente la situazione tuttora presente in Iraq e la "libertà" che gli iracheni hanno finalmente riacquistato...



Ps: non ho la più pallida idea se questa immagine sia sottoposta a copyright: in caso positivo ditemelo e la toglierò dal blog.

sabato 7 gennaio 2006

Bipartisan

Che Casini nella politica italiana postcapodannesca. Ancora stordito dai botti il beneamato presidente della Camera, il George Clooney dell’Udc Pierferdinando Casini ha ritenuto opportuno rivelare a tutti una profonda e terribile verità che nessuno mai aveva sospettato: in politica non esistono superiorità morali di nessun partito.

Wow… E chi lo avrebbe mai immaginato?

Credo che stanotte non riuscirò a dormire al pensiero di una simile angosciosa rivelazione che ha tanto il sapore dell’acqua calda e la robusta solidità di una porta sfondata. Tu uccidi un uomo morto caro Pierferdinando: considerando che non ci sono più le mezze stagioni e non si sa più come vestirsi poi! Certo, sono sempre i migliori quelli che se ne vanno, ed è per questo motivo che io posso tranquillamente aspirare all’immortalità…

Potrei continuare all’infinito elencando ovvietà simili. Incredibile che un uomo tutto sommato intelligente come Casini sia arrivato ad una tale conclusione solo adesso, mentre è almeno dal tempo dell’Impero Romano che gli italiani hanno compreso una cosa simile. Peccato che poi Casini rovini tutto dicendo che ogni formazione politica merita rispetto… Ma non potevamo aspettarci altro se non la moderazione da un uomo che sta fremendo per accaparrarsi primierato e settebello alle prossime elezioni politiche e tenta di rastrellare consensi dai moderati di destra e di sinistra per ricreare finalmente il nuovo centro. Magari assieme al Rutellone, un uomo che sembra appena uscito dalle foto della cresima – avete presente quelle foto anni ’70 in cui i ragazzini con la cravatta sottile e la riga mostrano orgogliosi l’orologio ricevuto in dono dal padrino?

Per anni ho creduto alla superiorità morale della sinistra, avendovi militato con convinzione e devozione: per fortuna adesso non devo più dar conto a nessuno delle mie scelte politiche se non alla mia coscienza. Appartenevo ad una formazione giovanile che si occupava – e si occupa tuttora – per lo più di politica universitaria: in un periodo vicino alle elezioni dei vari rappresentanti ai consigli di facoltà e agli organi superiori partecipai ad una riunione che avrebbe dovuto decidere il modus operandi. Quasi tre ore a parlare di turn over, di incarichi da spartire e di voti da raccattare e nessuno che parlasse di uno straccio di programma! Quando uno di loro mi chiese di portare al partito (anzi, al Partito) almeno una cinquantina di voti io chiesi lumi sul programma: cosa diavolo avrei dovuto dire per avere il consenso delle persone a cui chiedevo il voto? La risposta, fenomenale, fu: “Prima portaci i voti e poi del programma ne discuteremo insieme”.

Da allora ho smesso di credere nella politica di partito. E non crediate che sia accaduto chissà quanti decenni fa, voto da sette anni appena…

E allora quando smetteremo di credere alle nefandezze della democrazia rappresentativa e all’illusione della sovranità popolare? La politica è lotta per il potere. Punto e basta. Certo, se volete credere che Berlusconi non abbia mai fatto affari con la politica, o che Fassino non abbia mai detto a Consorte “Allora Gianni, siamo padroni della banca?”, o che gente come Casini o Rutelli abbia realmente a cuore il destino degli italiani siete liberissimi di farlo, non sarò io ad impedirvelo.

Siete anche liberi di credere che in Italia l’economia sia in crescita. Intanto a Giugliano, in provincia di Napoli, dei ladri hanno rubato i pacchi dono destinati ai bambini di una scuola materna…

Buon anno a tutti.

lunedì 2 gennaio 2006

Sconcerto

È sempre un’emozione insolita assistere ad un concerto di Vinicio Capossela. San Silvestro, Ragusa: il buon Vinicio si regala in piazza per assassinare l’anno vecchio con una scarica d’energia musicale. “Orchestra pezzi a richiesta repertorio della festa”: non c’è spazio per il Vinicio malinconico quella sera, solo un grande Vinicio sbronzo al punto giusto tra festa, risate, indovinelli e divertimento. E una quantità oscena di alcool chiaramente. Io poi ho la fortuna di seguire il concerto da dietro le quinte e di far conoscenza non solo con diversi incredibili dignitari della corte viniciana, ma anche con Lui, il gran Re etilico in persona! Il giorno successivo incontro un mio amico che ha assistito al concerto, ma il suo giudizio riguardo alla serata è praticamente opposto al mio. Il nostro giudizio è unanime solo sulla bravura dei musicisti che accompagnavano Vinicio: per il resto, mentre io lodo con termini barocchi la performance di Vinicio il mio amico la boccia senza mezzi termini con minimalismo haiku appuntandosi sull’ubriachezza esagerata e sulle canzoni, in alcuni casi farfugliate, tartagliate ed incomprensibili. Come a dire una mancanza di rispetto nei confronti del pubblico.

Eppure Vinicio è proprio questo: ubriaco, stronzo, strafatto, ma capace come pochi di cantare con le parole visionarie dei matti un mondo di borderline, derelitti e disgraziati. La piana ipermercata, il suburbio tangenziale, la periferia estrema, il mondo rotolante di giostrai e zingareschi camminanti o di beoni, puttanieri ed imbroglioni, ed infine la bellezza e la sottile disperazione del vivere vista attraverso l’occhio dei perdenti, errori di programmazione nel sistema operativo della società.

Non riesco proprio ad immaginarmi un Vinicio diverso: con una musica che non sia atipica, con un linguaggio che non sia atipico, con uno stile di vita che non sia atipico, circondato da persone che non siano atipiche. E ascoltato da noi inguaribili atipici che ci sentiamo talora fin troppo vicini a lui e al suo mondo folle e sconclusionato…

Grazie Vinicio.