martedì 7 febbraio 2006

Cronache da una città impazzita

Ovvero: talebani di casa nostra

Conscio del più deleterio autolesionismo mi accingo a scrivere un post su un argomento del quale, nella città che mi ospita, è bene parlare sempre bene: sant’Agata. Chiunque facesse il contrario rischierebbe seriamente il linciaggio di una folla inferocita per aver osato profanare verbalmente la Santuzza e la sua festa, soprattutto in una città in cui i suoi abitanti sono tutti devoti devoti tutti (per chi non lo sapesse è il motto dei devoti catanesi di sant’Agata).
Per chi non conoscesse questa incredibile festa barocca – inclusa dall’Unesco tra i beni dell’umanità non materiali di carattere etnoantropologico – può cliccare qui.
Ho perduto tanti anni fa la fede e con essa la capacità di sentire nel più profondo del mio animo la gioia e la fortissima emozione che una festa religiosa può scatenare in ogni credente. Non voletemene male perciò se dirò che accolgo con un senso di fastidio eventi di questo tipo: l’unica cosa che mi turba ancora oggi è la gente che vi partecipa.
Un misto di commozione, rispetto e repulsione.
Perché la fede tocca le corde più sensibili di ogni animo: soprattutto nei momenti di sconforto, quelli in cui ti senti abbandonato e solo, quelli in cui hai la necessità di credere che esista qualcuno o qualcosa al di sopra di te che ti sostiene in quei momenti così difficili, fosse anche solo per incolparlo e per bestemmiare il tuo dolore e le sofferenze che quotidianamente sopporti… Per avere la forza di continuare. Per non crollare. Comprendo perciò questa gente e comprendo – a differenza di altri – la loro necessità di credere. Comprendo le loro lacrime e le loro invocazioni, comprendo il loro trasporto e la loro tensione emotiva, comprendo cosa significhi sentirsi piccolo piccolo di fronte all’immensità del cosmo che loro preferiscono chiamare Dio.
Questo non significa che giustifichi o tantomeno accetti le farneticazioni e le ipocrisie di chi ha voluto mascherare la fede con la caricatura di una religione.
Non riesco a trovare altri sinonimi per ciò ho visto e che vedrò in ogni festa patronale che si rispetti: gente che si flagella a sangue durante le processioni, che cammina scalza, gente che decide di fare ripide scalinate in ginocchio o che mette dolorosissime corone di spine in testa, gente che veste col saio per anni o che si trascina appresso per quasi due chilometri enormi ceri accesi, gente che porta a compimento voti deliranti pur di ingraziarsi i supposti favori di Dio, della Madonna o di una schiera di santi ogni giorno sempre più folta ed ambigua. Non posso credere che esistano divinità così sadiche da pretendere simili sanguinose prove di fede, soprattutto non in una religione dove Dio è considerato puro amore. È incredibile come in alcuni casi la Chiesa cattolica incoraggi simili episodi, pilotando e manovrando artatamente i desideri dei propri fedeli: se siamo tutti figli di Dio allora devo dedurre che il nostro è un padre cattivo e degenere, forse anche un po’ annoiato, che si diverte a veder soffrire inutilmente i propri figli. E in tal caso propongo per la santificazione il marchese de Sade.
Era stato Dio a volere che Origene si evirasse per poter resistere alle “tentazioni della carne”? Era stato Dio a volere che Caterina da Siena ingoiasse una scodella di pus per essersi rifiutata di curare le piaghe di un moribondo? Era stato Dio a suggerire a Tertulliano queste parole: " ... Niente piace più a Dio della magrezza del corpo e più il corpo sarà asciugato dall'asprezza delle mortificazioni, meno sarà soggetto alla corruzione della tomba e, quindi, resusciterà più gloriosamente ... "? (Tert. De resurretione corporum) E ancora: è forse Dio che ha chiesto al Papa, questo monarca dell’ultima monarchia assoluta della Terra, di dotarsi di un lussuoso apparato che sputa sulla povertà di tanta gente nel mondo? È forse Dio che chiede ai fedeli ammalati di comprare l’immagine di cera della parte sofferente (un braccio, una gamba, il torace e così via) per poter ottenere la grazia? Dio non sa più com’è fatta una gamba e ha bisogno della sua copia? È forse Dio che chiede ai propri fedeli di abbonarsi a Famiglia Cristiana o di votare per questo o per quell’altro politico? È forse Dio o sant’Agata che chiede ai fedeli di spendere duecento, trecento, quattrocento e forse anche cinquecento euro per acquistare delle ridicole gigantesche candele? Cosa se ne farà mai sant'Agata di tutta quella cera? Potrei continuare all’infinito, ma non lo farò.
Preferisco terminare con sant’Agata.
Questa festa, certamente suggestiva, non ha nulla a che spartire con la fede. Sorvolerò sul fatto che qualche studioso ha sollevato dubbi sull’esistenza stessa di sant’Agata (che sarebbe solo una personificazione del Bene, agathòs in greco), e sorvolerò anche sull’abbigliamento del devoto che secondo la tradizione ricorderebbe la notte in cui le reliquie della santa rientrarono nella città dopo essere state trafugate a Costantinopoli (i catanesi uscirono scalzi e in camicia da notte, peccato che la camicia da notte sia attestata solo intorno al 1300 mentre le spoglie rientrarono a Catania nel 1121: più convincente l’ipotesi di chi parla di labili tracce del culto di Iside o di chi parla di riferimenti al cilicio).
Quello su cui non mi sento di sorvolare è il fanatismo dimostrato dai devoti. Cosa può spingere una persona a tirare un fercolo pesantissimo anche sotto la pioggia battente (come ieri sera), a urlare invocazioni fino a perdere la voce, a sfiancarsi di fatica per trascinare – correndo! - il fercolo lungo la ripidissima via di Sangiuliano, a portare sulle proprie spalle una candela accesa dalle dimensioni di un uomo (a volte sono necessarie due persone perché la candelora è troppo pesante!), e infine, a morire per sant’Agata (Robertò Calì, schiacciato dai fedeli nel 2004)?
Questa non è fede.
La fede dovrebbe essere un atto privato, personalissimo, non dovuto e soprattutto sincero: quanti sono i devoti agnellini che il giorno della festa manifestano compunta devozione e il giorno successivo vanno a chiedere il pizzo, a spacciare, a sfruttare o ad ammazzare i propri consimili? E che dire delle ridicole invocazioni che ho avuto modo di leggere sul portale dei devoti agatini? Che bisogno c’è, se non lo stupido orgoglio di apparire più devoto degli altri, di scrivere un’invocazione su un portale Web? Sant’Agata ha l’ADSL? Scarica gli inni sacri con E-Mule?
So che probabilmente questo post riceverà commenti negativi da quanti difendono con ferocia talebana la propria Santuzza: ma non me ne curo. Simili manifestazioni rappresentano l’esca per i sofferenti di corpo e di spirito perché abbocchino all’amo della Chiesa e alla sua ridicola pretesa di rappresentare una divinità della quale nessuno è mai riuscito a dimostrare l’esistenza.
E se anche esistesse certo non sarebbe una figura così limitata, parziale e limitante tale da poter essere ridotta tra le pagine di un libro considerato sacro.

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