sabato 23 maggio 2009

Katharsis

Urla, una donna. Urla il dolore dell’abbandono, la disperazione dell’esule in terra estranea. L’angoscia la trascina attraverso un deserto di parole appena comprese: calpesta lettere strane, e straniere, mentre il furore percuote il suo corpo. Un enorme specchio alle spalle ne confonde i tratti, ne riflette il doppio deforme dell’angoscia, incendiando, quale specchio ustore, gli animi di una corte sgomenta: medita vendetta il dolore, medita pioggia di morte e sangue che si abbatterà su Corinto…

Medea, principessa ripudiata, donna abbandonata.

Sofferenza, paura, collera, pena, ira. Follia. Rivive a Siracusa il dramma senza tempo di una donna calpestata nella propria dignità, di ogni donna rinnegata per la ragion di Stato, il desiderio di nuova carne o la brama di potere. Prendono nuovo corpo e nuova forma le parole di Euripide nella calura di una tarda primavera: è Medea che si dibatte tra folle ragione e ragionevole follia a guidarci nella profondità di emozioni disturbanti. Compare sulla scena quando già foschi presentimenti lasciano presagire il demone che si scatenerà: Medea la barbara, coperta da una veste a lutto che piange il suo dolore.

Chiede ragione al suo tormento, cerca giustificazioni al marito che ha preferito il potere al suo amore. Riprende in mano il suo destino, Medea. Altera, rifiuta le sciocche argomentazioni di Giasone e cerca rifugio dove altri possano proteggerla, dove poter vivere nell’oblio del mondo la propria rimanente esistenza. Medea comprende un futuro apolide e non può accettarlo, non una volta ancora, dopo aver rinnegato la sua gente per inseguire un sentimento puro e vero. Lentamente si spoglia delle gramaglie e lentamente sorge da quell’anima torturata un nuovo desiderio… Uccidere. Uccidere la donna che l’ha sostituita, uccidere l’uomo che ha permesso un siffatto meschino scambio, uccidere, fino al delitto più turpe. Fino all’ultimo dilaniata da una scelta terribile eppure inevitabile leverà, fremente, il pugnale contro i propri stessi figli. La donna non udirà più il richiamo della madre, il furore soffocherà la pietà straziante per due piccoli innocenti…

Medea la sublime.

Rapiti da un vortice di morte inorridiamo a tanto sangue eppure non siamo capaci di additare la vecchia vittima come nuovo carnefice: l’ennesimo filtro di una maga barbara, forse, ci ha stregati. È giusto che Creusa sia morta fra atroci tormenti, è giusto che il padre Creonte l’abbia seguita e necessaria, per quanto raccapricciante, la morte di quei bambini. Ognuno doveva pagare per il dolore di Medea: principessa ripudiata, donna abbandonata.

Ma una pena ci sorprende, infine, per Giasone, uomo avido che ha cercato la propria felicità dimenticando chi lo aveva amato e lasciato tutto per seguirlo. Mentre si accascia al suolo, straziato, si scolpisce sul suo volto la consapevolezza improvvisa di una colpa espiata da un’infelicità perpetua, lavata da sangue incolpevole. È la furia della vendetta che si traveste da giustizia a travolgerlo, la condanna implacabile di un amore tradito a lasciare ciascuno di noi incredulo e turbato.

1 commento:

scagghia ha detto...

ed è stato bello condividerlo...