giovedì 28 giugno 2007

Sogno di una notte di mezza estate

Divagazioni inutili in un post personale. Sciatto quanto basta, volutamente flusso di coscienza naif, stupidamente ermetico. Sul balcone, a fumare un Toscanello, sorseggiando quantità invereconde di un cocktail improvvisato sposando vodka e Fanta red orange mentre le sciabolate di note delle variazioni Goldberg affondano nelle profondità più oscure della tua mente ed intorbidano ancora una volta i tuoi ricordi. Pochi giorni ancora e la Luna sarà di nuovo piena, a testimonianza di un tempo che flagella i giorni e non lascia mai un momento di tregua... E pensare che in questo momento dovrei essere altrove. Non certo a Catania, legato da contingenze di studio e tranquillità a lottare contro un’estate maledetta di una terra ancor più maledetta. Di un Sole tiranno e despota che calcina i vestiti addosso, che scioglie i nostri corpi, che confonde, annulla le nostre coscienze e le trascina in un senso di profonda apatia. Non dovrei certo rimanere a Catania limitato al miserabile balconcino, a costringere i miei pensieri in spazi angusti. La vodka aiuta, ma non può essere abbastanza.

No, dovrei essere altrove.

Lunatico non a caso, perdonatemi. A Modica è facile, non lo nego: rapito all’improvviso da tristezza inspiegabile (già, inspiegabile: bisogna solo mentire a se stessi) basta guidare per chilometri e chilometri accarezzati da Einaudi, Jarrett o Bach in sottofondo, trascinati dalla voce della Fraser o della Gerrard, guidare insomma per le strade deserte in compagnia di cattivi compagni di strada e sogni improponibili che vanno a bussare alla porta della tua memoria. Perché il passato non passa: anche se tu vorresti condannarlo a morte, relegarlo nelle celle della dimenticanza eccolo che spunta sempre in primo piano con il suo sorriso beffardo, ad irriderti per aver creduto di poterlo lasciare alle spalle.

Guidare di notte, solo. Di notte, senza sosta, a riflettere non come specchio ma come prisma la luce amica della Luna. Passeggiare magari, sulla spiaggia deserta di Marina con la brace d’un sigaro ad illuminare dune di sabbia altrimenti buie. Ascoltare il mare pettinare le onde sul pettine di uno scoglio o rendere omaggio alla Luna che monta la guardia in cielo, o ancora infine, rendersi conto di come l’uomo, per la natura, sia stato solo un incidente di percorso. Inutile alla sopravvivenza della Terra, superfluo alla vita che scorre e scorrerà anche dopo che millemila generazioni saranno morte e diventate polvere per la clessidra del tempo.

Vagheggio, vaneggio. Per fortuna ho messo le mani avanti coinvolgendo qualche vodka, altrimenti innocente, in questo logorroico pedante spreco di parole. Sarà stato il tedesco, una lingua che sto cercando di imparare per l’ennesima volta. Gli appunti consultati. Il caldo forse, o certi episodi ricorrenti. Strano a dirsi, ma l’altra notte l’ho sognata. Non mi era mai capitato. Mai. Nemmeno quando fingevamo di non riuscire a stare l’uno lontano dall’altro. Nemmeno quando la spada di Damocle della certezza aveva spezzato quall’unico capello di speranza. Sorpreso, certamente, perché non mi aspettavo un sogno simile, e triste allo stesso tempo. Triste, perché sembra quasi che il mio spirito abbia rinunciato definitivamente – come se fosse terrorizzato da un rapporto stabile – e che invece la mia parte irrazionale voglia spingermi a rischiare, a rimettermi in gioco, ad acchiappare il vento con un retino per farfalle. A trovare un senso e uno scopo – maledizione di ogni vita –, a chiedersi ancora una volta “Ma ne vale la pena?” e a rispondere di mezza bocca, con un sorriso appena accennato e uno sguardo che si appanna di timida speranza “Sì, forse ne vale la pena”.

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