domenica 2 giugno 2013

In difesa di un Cavaliere senza cavallo

Tante schede elettorali sono passate sotto la matita nei miei anni di elettore. Tanti voti, le solite preferenze da quando lo Stato italiano decise per consuetudine anagrafica che l’incoscienza dei diciassette anni si era trasformata nella coscienza politica di un diciottenne maturo e maggiorenne. Da quella prima volta, emozionante, tremolante, frettolosa e diversa da come la si immaginava fino agli ultimi sofferti calcoli di preferenze tattiche che nulla hanno portato e che a nulla hanno contribuito. Voto di rappresentanza, voto inutile. Anni di passione politica e di militanza nella parte sbagliata tuttavia mi hanno insegnato a riconoscere il marcio e il male in ogni schieramento. A ritrarmene inorridito.

Chi più ama più odia, qualora il sentimento ideale lasci spazio alla disillusione della realtà. I grandi e piccoli compromessi, i consorzi di potere, il voto di scambio, la presunzione dell’ultimo arrivato, verginello rinnovato che si crede il salvatore del mondo, l’indifferenza programmatica, l’incapacità amministrativa. Orrende distopie. E come potere ignorare, infine, la schizofrenia ideologica di chi afferma qualcosa per poi agire in maniera diametralmente opposta senza che un dubbio di coerenza sorga, minimo, dalla propria coscienza?

Ho ribrezzo di queste elezioni amministrative. Qualcuno si salva, non lo nego, e spero che loro almeno possano farcela. Per il resto mai come ora le ideologie in città sono diventate squisitamente vintage e le idee un piacevole oggetto di modernariato, cose ormai passate ma che si possono vendere al mercatino per due soldi all'affezionato cultore di cianfrusaglie. Passaggi disinvolti di casacche, pittoresche coppie di fatto di furbastri vecchi e nuovi che si giustificano goffamente cercando di parare i colpi con lo scudo di un programma comune. Baroni despoti, scacchisti e Domeniddio della politica locale tutti insieme allegramente per il bene della città. Dicono. Lo fanno per responsabilità, dicono.

E in effetti tutti responsabili sono. Colpevoli, voglio dire, della deriva di questa città. Colpevoli dell’abisso in cui ci hanno fatto precipitare decenni di amministrazioni disinvolte e spregiudicate che hanno violentato orrendamente la città rivolgendosi solo alla conservazione degli interessi personali e dei privilegi di pochi sodali. Colpevoli di negligenza, inettitudine, incapacità. Colpevoli di aver snaturato nobili concetti quali democrazia, legalità e giustizia e di averli sviliti a vuote parole e paramenti utili ad officiare altrettanto vuoti rituali dentro i loro palazzi stantii. Colpevoli di aver frantumato la coscienza politica di tanti e di averne avvelenate altre, abbassando e livellando verso il nulla quanto ancora rimaneva di integro.

Ma quanto bravi adesso, i candidati e le candidate di ogni forma e dimensione, a deridere uno di loro. Come se nella loro superbia priva di contenuti potessero permettersi di guardare dall’alto in basso qualcuno: anche quando si tratti di personaggi come Giorgio Giannone, supposto cavaliere e uomo di buona volontà. Basta ascoltarlo per capire quanto grottesca, ingenua, naif possa essere questa sua candidatura. Eppure io affermo in tutta serietà che Giorgio Giannone, cavaliere o meno, merita tutta la nostra stima e la nostra più fraterna fiducia. E non perché lo consideri l’uomo capace di salvare le sorti della nostra martoriata città.

Se la politica cittadina è diventata nulla, squallido teatrino di quart'ordine e mercato delle vacche, mercimonio indegno di quelle che furono idee ed ideologie, baratto di favori e abisso culturale, allora perché non lasciare che il Nulla si faccia Politica convogliando i voti di protesta, le schede bianche e nulle verso un’unica figura? Quale danno potrebbe mai arrecare alla nostra città un uomo di simile limpida innocenza rispetto a quelli prodotti negli anni da scaltri e perspicaci politici di professione? Ecco perché votare Giorgio Giannone. Perché pur nelle sue confuse idee politiche, nel suo anarchismo cerebrale – più psichiatrico che ideologico – e nella sua irragionevole visione della realtà risulta essere paradossalmente più vicino al concetto di politica come servizio per la comunità rispetto a tanti altri che si candidano solo perché sperano di ricavarne, illusi arroganti, qualche ritorno economico personale. E se davvero un uomo come lui riuscisse ad entrare, legittimato dalle regole della democrazia, nei palazzi del potere cittadino porterebbe una ventata di follia e di cieca distruzione nei meccanismi fin troppo oliati di larghe intese e abbracci di compari. E non perché fine politico, ma perché giustizia compensatrice di certa politica che non merita altro se non la condanna al disfacimento e all’oblio più nero.