venerdì 20 gennaio 2012

Il morbillo di Cassandra

Quattordici anni il mio primo sciopero. Non ne ricordo più i motivi, sempre che ce ne fossero. Una riforma scolastica che qualcuno ci aveva detto essere cattiva, i parcheggi dei motorini negati all'interno del cortile. Un topo intravisto dalla memorabile signora Puccia. Forse solo una bella giornata, troppo bella ancora per sprecarla rinchiusi in una classe tra un angolo complementare e una rosa rosae che proprio non voleva entrarci in testa. Una scusa sempre si trovava. Primo sciopero, primo corteo di una lunga serie per una coscienza politica curiosa ma ancora troppo acerba e facile a lasciarsi affabulare dai rappresentati d'istituto, magari già maggiorenni e attivisti di partito, capaci di trascinare folle di ragazzini al grido di slogan sognanti e un poco stantii. Non importava se sotto la kefiah si rifugiasse una barba o se il bomber nero fosse sormontato da una testa rasata e uno sguardo truce: la politica chi la conosceva, pensavamo di cambiare il mondo con il nostro entusiasmo e l'occupazione di una scuola rappresentava l'atto più eclatante della rivoluzione in corso. Si urlava contro i professori, simbolo del potere scolastico, mentre i pochi che non aderivano allo sciopero rischiavano il linciaggio da parte di noi manifestanti inferociti per quella mancata solidarietà di corpo che avrebbe rovinato ogni cosa. Neppure per i giornalisti provavamo tanta simpatia, “giornalai venduti” che non volevano comunicare alla società civile le ragioni della nostra strenua lotta fino alla morte, lotta dura senza paura.

Ma durava poco. Arrivava qualcuno della Digos – magari solo un vigile urbano incattivito – che minacciava chissà quali ritorsioni penali. L'otto in condotta votato dal consiglio di classe, i genitori adirati dalla lettera che il preside aveva inviato a casa di ogni eversivo rivoluzionario. E si ritornava allora agli odiati Galli e Vercingetorige ai seni e ai coseni (più ai seni) e a quel ramo del lago di Como che, chissà perché, volgeva sempre a mezzogiorno nonostante l'indubbia caratterizzazione geografica.

Crescendo fui sopraffatto da animaletti puntuti e sottesi razzismi professorali sepolti ormai dall'intelligenza del tempo. Piombai in un purgatorio scolastico a scontare i guai di un sistema educativo ottuso e fallimentare. In quel luogo funesto conobbi una professoressa di storia e filosofia, un po' stramba a dire il vero. Che il programma sì, c'è l'esame e ci tocca farlo, però provocando discussioni, stimolando curiosità, consigliando letture, incoraggiando riflessioni. Non mi appariva più una dispensatrice di nozioni e voti, non un nemico da combattere. Grazie a lei guarivo lentamente – ma non lo sapevo ancora – da una morbo pestilenziale che avrebbe infettato, altrimenti, il mio animo. Avvelenata la ragione da un sentimento marionetta il manovratore avrebbe avuto facile mano nel pizzicare i fili invisibili che avrebbero mosso le mie azioni indistintamente a quelle di altri sulla scena. E alla fine dello spettacolo, ammucchiati in una scatola i pupazzi che tanti applausi avevano ricevuto per la fedeltà degli atti e la verosimiglianza nelle mosse, il burattinaio sarebbe tornato dagli altri simili suoi compari progettando operette e fondali su cui fare sfilare burattini dalle membra slogate. Guarivo dal virus di una coscienza politica indifferente, felice di essere ingannata dall'agitatore di popolo che dava facili risposte a domande complicate. Comprendevo quanto velocemente questa malattia potesse tornare, o propagarsi, rivestita d'una nuova lucida foggia, e come sempre dovessi vigilare con l'antidoto della ragione lucida e della critica eretta a sistema di pensiero.

Il morbillo della coscienza politica indifferente, bisogna guarirne da piccoli. Almeno inocularne il vaccino per curare possibili ricadute. Senza di esso, una volta cresciuti, le malattie esantematiche dei populismi attaccheranno il corpo sociale provocando danni irreparabili. E solamente resteranno nell'animo di chi ha potuto curare i sintomi più nefasti due sentimenti, reali e contrastanti. Invidia, la stessa che si prova per il candore di un bimbo che si affaccia alla vita. E rabbia, quale dovette provare Cassandra alla vista di un cavallo di legno, consapevole che le sue parole sarebbero rimaste ancora una volta, come sempre, inascoltate.

Cinque giorni

Primo giorno di manifestazione. Io la penso così.

Secondo giorno della manifestazione. Polemiche su vicinanze e pericolose connivenze politiche di destra fama... Apriamo gli occhi a quanti li hanno chiusi ma cerchiamo di prendere quanto di buono c'è in questa manifestazione: l'impegno di gente che prima di politica non ne ha mai voluto sapere. Il compito di chi osserva criticamente sta allora nel mediare le istanze più che legittime e la giustissima rabbia delle persone e trasformarle in un percorso meditato e ponderato. Non strumentalizzarle, ma aiutare in tutta onestà intellettuale chi non possiede gli strumenti a formulare un'idea politica di medio e lungo respiro. In modo tale che, una volta presa coscienza di ciò che stanno facendo, possano allontanarsi (se lo credono) da gentaglia neo-fascista e neo-qualunquista di ogni risma.

Terzo giorno di manifestazione. Ieri sera sono tornato in un paio di presidi a Modica per cercare di "tastare il polso" ai manifestanti. Moltissima rabbia e malcontento, nessuna programmazione o coordinamento, idee confuse e speranze al limite dell'illusione sull'esito dei blocchi. Nessun condizionamento politico o partitico degno di nota, almeno a Modica... Forza nuova comprimaria della manifestazione? Stupidi gli altri movimenti che non stanno scendendo in strada per capire e discutere con i manifestanti. E' un movimento di popolo? Una folla non pensa, d'accordo, ma i singoli componenti sì. I partiti hanno fallito? Ripartiamo dall'antipolitica allora, strappiamola al populismo e agli sciacalli di ogni colore e facciamo in modo che sia un punto di partenza per radicare una nuova coscienza, politica questa, nella gente. Invito, infine, quanti deridono l'ingenuità e la grammatica zoppicante di certi manifestanti a discutere senza preconcetti con loro. Rimarrebbero sorpresi della saggezza che si può trovare in strada, lontano dai libri.

Quarto giorno di manifestazione. Ieri corteo al Corso Umberto di Modica al quale si sono aggiunte le scuole. I ragazzi sfilano rumorosamente, com'è normale che accada in un corteo di giovani e scuole. Poi l'anormale. I ragazzi si siedono a terra e si preparano ad un sit-in davanti al Comune ma subito arriva un capo-popolo in tenuta da "forcone" che li fa alzare e comincia a farli inveire contro i negozianti che sono rimasti aperti... Perché questa guerra tra poveri? Perché l'individuo in tenuta blu da forcone non ha voluto che si tenesse un pacifico sit-in contro quella politica che si dice tanto di voler prendere a calci nel sedere? Temo, piuttosto, che questo movimento sia guidato da persone che i politici, soliti noti e vecchi volponi, vogliano tenerseli buoni. In caldo, in attesa del ritorno al caro assistenzialismo croce e delizia del popolo siciliano.

Quinto (ultimo?) giorno di manifestazione. Il faccia a faccia di ieri tra Lombardo e Ferro quasi un regolamento di conti tra vecchi compagni di partito e l'appuntamento per un futuro agone elettorale. A questo punto credo sia chiaro, soprattutto dopo la passerella involontaria offerta dall'ottimo Sandro Ruotolo (che però ieri mi ha deluso non poco), che i leader del movimento si apprestano a fondare un nuovo partito raccogliendo consensi nell'enorme e giustificato bacino di scontento popolare ma intellighenzia tra populismi e autonomismi vari, formazioni di centrodestra e destra esaltata. Una protesta disorganizzata, senza richieste chiare e ragionevoli e senza interlocutori istituzionali si appresta a morire tragicamente d'inedia. Anche se continuasse ad oltranza... Bloccare chi, bloccare perché? Bloccare invano. Come una madre che per protestare contro la fame del figlio lo lascia morire di fame... "Sempri i pezzi vanu all'aria" dice un proverbio modicano. E' una guerra tra poveri, un armiamoci e partite che non può convincere quanti sanno come vanno le cose in Sicilia. E la brava gente che protesta al freddo pensando davvero di salvare la propria terra dalla disperazione (il 98% per cento di quelli scesi in strada) mentre bravacci squadristi impongono con la violenza e le minacce i diktat di una rivoluzione per finta voluta da leader ambigui che sognano di dominare il popolo siciliano quanto e più di altri.

sabato 14 gennaio 2012

Forconi, gattopardi e sciacalli

Rivoluzione, non mi piace la parola. Pur affascinato da esplosioni di vitalità giacobina che della storia hanno cambiato il corso guardo sempre con sospetto quanti abusano di questo termine. Sorrido piuttosto alla rivolta contro l'assurdo che non invoca ragioni, la solidarietà umana dei senza parole che regala dignità a ciascuno. Abbraccio, infine, le palingenesi che cauterizzano le piaghe di un mondo sbagliato e riportano l'organismo sociale a nuova vita. Migliore e diversa, meditata nuova vita.


Non mi fido del “Movimento dei Forconi”. Non mi fido di ciò che è diventato. Troppo a lungo abbiamo sperato che esplodesse la rivolta del nostro popolo, ignavo e turbolento, teorico della rivoluzione più infuocata ma pratico, talora, della sottomissione compiacente come pochi. Siamo capaci di grandiose rivolte, da quando cacciammo Verre dalla nostra terra fino ai missili Cruise passando attraverso i Vespri sanguinosi, le riappropriazioni contadine e i non si parte dell'indimenticata Maria Occhipinti.


Siamo un popolo ostinato. Come le radici del carrubo che spaccano la pietra vincendo un terreno aspro e maligno così noi. I siciliani. Il giudice che si incaponisce per un principio di giustizia pagando il prezzo più alto per i suoi ideali. Il piccolo imprenditore che non cede ai vili ricatti dei mafiosi senza onore. L'uomo di cultura vicino al sentire di chi lo circonda e capace di uscire dalla scintillante torre d'avorio che si è costruito. L'operaio vessato da un perfido sistema economico che chiede solo di poter lavorare. Il politico onesto in grado di tradurre le esigenze del suo popolo in proposte di sviluppo per la collettività. Il professionista che aiuta e non opprime. Il contadino che rifiuta le logiche di mercato devote ad un prodotto senza sapore e senz'anima. È questa la Sicilia che amo e che difenderò sempre con passione.


Odio, invece, i populismi che fanno leva sui facili sentimenti. Giustificati sentimenti. Ma cosa accadrà quando le pale spaleranno la cenere del rogo liberatorio al quale ognuno dei forconi avrà portato qualche fascina? Senza una visione politica, senza un progetto comune. Accadrà quello che è sempre accaduto dopo ogni rivoluzione, anche tra quelle più arrabbiate.


Quanti tra i Forconi che si agitano per aria appartengono ai vecchi gattopardi della piccola e grande imprenditoria siciliana che per decenni hanno percepito contributi a pioggia rifiutando ogni forma di consociativismo e di innovazione in nome della propria avidità? Quanti tra loro hanno supportato una classe politica allevata sul voto di scambio che ha trasformato la vitalità, l'iniziativa e la fantasia del nostro popolo in accattonaggio e perverso assistenzialismo? E quanti tra loro, pur potendo scegliere, hanno preferito la raccomandazione e la mafia, il profitto e l'egoismo sputando in faccia con arroganza alla società dei giusti? Quanti fra questi, gattopardi affamati che vedono diminuire le possibilità di pasto ai danni della collettività ma a proprio beneficio, si sono trasformati in forconi adirati, in sciacalli furiosi?


Esiste il ravvedimento, vero. Mi piacerebbe vedere allora i gattopardi di un tempo fraternizzare con i rivoltosi di oggi e fare sincera ammenda degli errori del passato. Mi piacerebbe che i forconi riuscissero a cacciare via gli sciacalli che cercheranno di convogliare le energie fresche di un movimento ingenuo e affascinante per proprio tornaconto.


Accadrà? Non accadrà. Perché le rivoluzioni le fanno i borghesi e a tutti gli altri arrabbiati toccherà ancora una volta svolgere il ruolo di una illusa pedina, ben contenta di rientrare nei ranghi di un popolo mendico e piagnucoloso, incapace di prendere davvero in mano le magnifiche sorti subalterne e progressive.