martedì 18 gennaio 2011

Un Paese a puttane

«E in qualche posto, del tutto sconosciuti, ci dovevano pur essere i cervelli che dirigevano tutta la baracca, che coordinavano il lavoro generale, e decidevano la linea politica secondo la quale si rendeva necessario che il tal frammento del passato si conservasse, il tal altro si falsificasse, e il tal altro, infine, fosse cancellato dall'esistenza […]. Esisteva un intero sistema di reparti separati che si occupava di letteratura per i prolet, di musica, di teatro e di ogni altro genere di svago per i prolet. Vi si producevano stupidissimi giornaletti che non trattavano se non di qualche avvenimento sportivo, di cronaca nera e d'astrologia, qualche romanzetto da quattro soldi, certi filmetti pieni di cosce e seni nudi e canzonette sentimentali che venivano composte secondo un procedimento del tutto meccanico, per mezzo d'una sorta di caleidoscopio che si chiamava versificatore. E c'era persino un'intera sottosezione, che in neolingua veniva chiamata Pornosez, interessata solo alla produzione del più basso materiale pornografico, che era spedito fuori dal Ministero, alle sue varie destinazioni, in certi pacchi sigillati il cui contenuto era assolutamente vietato a tutti i membri del Partito, eccettuati, naturalmente, quelli che vi erano ammessi per ragioni connesse con la sua manifattura».

(G. Orwell - 1984)


Meno male che Ruby c’è. Se non ci fosse bisognerebbe inventarla, davvero. Un vuoto doloroso, un silenzio assordante che potrebbe essere colmato – non sia mai – da notizie vere. Scritte da veri giornalisti. Autorizzate da veri caporedattori. Pubblicate da veri giornali. Che non accada ricordare di un intero Paese che va a puttane e non solo del suo patetico Primo ministro, vecchio porco e corruttore di abbronzate minorenni che sembra avvalersi spesso di questo ius copulandi.

Il ricatto vergognoso di Marchionne è passato in sordina. Diritti in cambio di lavoro elemosinato da uno sprezzante sciur padrun con i sindacati normalizzati alle direttive “dell’azienda più italiana di tutte”. La quale, per conservare un sano opportunismo italico, sarebbe fuggita dall’Italia verso nuovi lidi di produzione delocalizzata e profitti massimizzati se solo al referendum di Mirafiori avesse trionfato il no.

E il resto dell’Italia? Ah, l’Italia. La scuola, l'istruzione e la sanità sono state sacrificate definitivamente sull'altare del pressapochismo istituzionale e del livellamento verso il basso. La precarietà e l'iniquità sociale dilaga. Il tasso di disoccupazione è all'8,7%, la disoccupazione giovanile al 28,9% (un giovane su tre non ha lavoro). Aumenta il costo degli alimenti (+5%), l’RC auto (+10-12%), il trasporto pubblico e locale (+25-30%), i carburanti (senza sosta e non si capisce il perché), le tariffe e i servizi bancari. In media, un aggravio di ulteriori 1016 euro a famiglia. Le aziende agricole si fermano ad un impressionante -25% sul reddito del 2009. Oltre 1,1 miliardi di ore di cassa integrazione (+248,8% rispetto all’anno 2009), quasi 600.000 lavoratori coinvolti. Trenta aziende sul territorio nazionale, ogni giorno, chiudono i battenti. Si sono registrati 593 morti sul lavoro (+6,5% rispetto all’anno 2009) e 25.000 infortunati nell’anno 2010.

La stampa e le opposizioni in Parlamento, nel frattempo, condannano inorriditi le gesta erotiche di Silvio e delle sue cortigiane. Mi chiedo quanto il Napoleone di Arcore sarà davvero danneggiato dalla morbosità inquisitoria dei suoi detrattori e quanto, invece, la sua lussuria di anziano puttaniere contribuirà a salvarlo da accuse ben più gravi. Come quella di aver fatto Bunga Bunga alla democrazia e tutti gli italiani.