mercoledì 21 aprile 2010

Fini politici

Fini ha capito. Troppo tardi ma ha capito.


Difficile adesso rimediare all'errore di percezione che lo portò a sciogliere AN facendo convergere il proprio elettorato nel Pdl. Come percepibile anche dai meno avvezzi alle sottili manovre politiche l'ingresso di Gianfranco Fini nel Pdl sottendeva una lunga e paziente opera di conquista. Fini pensava di poter creare il vuoto intorno a Berlusconi preparando il terreno per una successione trionfale che lo avrebbe visto come futura guida del Pdl. Un errore di percezione appunto, perché dove Berlusconi impera non esiste spazio alcuno per il dialogo o per le manifestazioni di dissenso.


In fondo Gianfranco Fini è un politico della Prima Repubblica.


Egoista, cinico, opportunista in alcuni casi, ma con un rispetto nei confronti delle istituzioni repubblicane e della legge che manca a Silvio Berlusconi. L'attuale presidente della Camera, in fondo, possiede una ideologia. Destra sociale. Deprecabile quanto si vuole, ma pur sempre ideologia. Gianfranco Fini, figlio di quell'Argenio orgoglioso fascista e volontario della X Mas, pur affondando le proprie radici culturali ed ideologiche nel Movimento Sociale di Almirante del quale fu delfino, è il prodotto di una destra sociale che mal sopporta le continue violazioni istituzionali di Berlusconi e la sua gestione personalistica del potere. Fini ha una propria ideologia, Berlusconi nessuna, se non la glorificazione di se stesso: ecco il motivo della rottura.


Aut aut. O no?


Fini ha affermato di voler rimanere all'interno del Pdl, pur con una corrente minoritaria, usando parole che, nonostante la misurata scelta suonano come una vera e propria stilettata al fianco del suo vecchio sodale: “"Il dissenso interno può esistere o siamo il partito del predellino?”. Ecco. Seppure molti italiani conoscano già la risposta ad una simile domanda, il presidente della Camera ha posto furbescamente la questione legando le mani a Berlusconi e alla corrente maggioritaria del Pdl. Fini, continuando all'interno del Pdl occuperà probabilmente poltrone di una certa importanza – ovvio che potrebbe anche rivestire il ruolo di presidente del Consiglio nella terrificante ipotesi che Silvio Berlusconi riesca un giorno a conquistare la presidenza della Repubblica. Restando all'interno del Pdl però, Fini corre il rischio di essere escluso dalla scena politica propriamente detta. Eterno beta, sempre all'ombra di Berlusconi, sempre attendendone la dipartita politica. Non solo: una corrente parlamentare interna al Pdl composta da “fedelissimi” potrebbe essere fagocitata senza troppe difficoltà da Berlusconi. Persone come La Russa, Gasparri, Matteoli o la Santanché sono la testimonianza più eloquente: finiani della prima ora, hanno adesso rinnegato il loro vecchio leader in favore del premier.


Nel caso in cui, alla fine di questo dissidio e nonostante l'attuale tregua armata siglata dai due esponenti del Pdl, Fini e la sua corrente decidano di lasciare il partito, si apriranno inedite ed interessanti prospettive. Intanto, com'è ovvio, nuove elezioni. Fini potrebbe fondare un nuovo partito o riesumare il cadavere ancora caldo di Alleanza Nazionale. In questo caso però una domanda sorge spontanea: con chi si alleerà Fini? Potrebbe correre da solo all'interno del centro-destra erodendo il consenso della Lega e del Pdl e nel contempo cercare di recuperare il vecchio elettorato di AN, sbandato e incerto. Potrebbe anche raschiare il fondo del barile raccogliendo qualche voto dal centro cattolico. Oppure, e qui il discorso si complica, potrebbe cercare una convergenza con Casini e Rutelli creando un nuovo centro di forte impronta cattolica e tradizionalista: se non è una nuova Dc poco ci manca. Questo nuovo centro potrebbe raccogliere fra il 10 ed il 15% dei consensi e secondo le previsioni più ottimistiche arrivare fino al 18%. Cosa accadrebbe allora? Berlusconi avrebbe ancora i numeri per governare? In che modo si porrebbero le varie correnti della sinistra? E l'ectoplasma Pd? Visto il sostanziale fallimento del bipolarismo quali scenari magmatici attendono la politica italiana? È ancora presto per dirlo.


Il problema è che non sappiamo in cosa sia meglio sperare.