martedì 15 dicembre 2009

Verso Sant'Elena

Alla fine è accaduto: lo psicolabile che aggredisce lo psicotico. I destini di due individui vittime delle proprie turbe mentali si sono incrociati domenica sera, sotto il palco che aveva ospitato l'ennesimo discorso del primo ministro alla folla dei suoi accoliti. Berlusconi aggredito, Berlusconi buttato giù dal piedistallo d'intagibilità. Impressionano le immagini di Berlusconi sanguinante, colpito in faccia da Massimo Tartaglia con una statuetta raffigurante il Duomo di Milano. Impressiona non tanto il sangue, copioso, che fuoriusciva dal labbro del primo ministro quanto quello sguardo.

Suscita pietà, quasi tenerezza, quello sguardo perduto che cerca appiglio e annaspa tra l'incredulità e il dolore. È lo sguardo di un uomo terrorizzato che non comprende cosa stia accadendo, che sembra chiedersi “Perché a me, cosa ho fatto?”, lo sguardo impaurito che immaginiamo dipinto sul volto di un Napoleone sconfitto, all'indomani di Waterloo, sulla barca verso la prigionia di Sant'Elena. È la presa di coscienza, in quell'attimo di sbandamento da una vita scortata e blindata, che le folle osannanti e il popolo adorante vivono solo nella propria mente. È il dissenso di Genova, di Milano, di Napoli, di Palermo, le proteste ingenue del popolo viola, è la paura del cassa-integrato che fra qualche mese potrebbe non ricevere più l'elemosina di Stato, la rabbia dell'operaio che non arriva alla fine del mese, la disperazione del pensionato che ruba nei supermercati a condensarsi in quel gesto insano. I deliri di onnipotenza di Berlusconi sembravano essere caduti sotto i colpi assestati da Tartaglia. Ma è stato un attimo: l'aggressore è bloccato dalle forze dell'ordine mentre Berlusconi, visibilmente sofferente, si mostrava alla folla dei suoi sostenitori e alle telecamere come la bestia ferita portata al macello dalla politica italiana.

Alla fine è accaduto proprio ciò che non doveva accadere. Perché la violenza è sempre deprecabile nella lotta politica e la Storia ci ha insegnato che colpire il “cuore dello Stato” o un suo rappresentante attraverso un atto violento non ha mai portato ai risultati sperati. E anche quando la violenza è sembrata comprensibile, giustificata e approvata dallo spirito della lotta e dagli eventi – come la fine orribile di Mussolini a piazzale Loreto – essa ha sempre lasciato un retrogusto amaro, l'impressione che il giusto sia stato avvelenato dal dolore provocato dalle azioni dei colpevoli.

Alla fine è accaduto proprio ciò che non doveva accadere. Perché il gesto di Tartaglia ha trasformato un delirante, pericoloso manipolatore di folle, un seminatore di odio politico, un amico di mafiosi “eroi”, uno spregiatore della giustizia italiana e delle sue leggi, un piccolo aspirante monarca in un martire testimone della propria fede politica e vittima dell'odio dei suoi avversari. In tanti sull'onda dell'emotività e di quelle immagini mostrate a ripetizione dai media si sono compattati intorno al primo ministro confondendo la solidarietà umana – ovvia in questi casi – con l'appoggio politico. Incredibilmente, Berlusconi ha vinto ancora.

Il presidente del Consiglio non doveva essere toccato. Lo scontro dovrebbe sempre avvenire sul piano dialettico ed esclusivamente politico. È sacrosanto manifestare il proprio dissenso, esprimere le proprie idee, criticare la politica criminale di questo governo che pensa agli interessi dei pochi affossando il resto del Paese. È giusto, anzi, doveroso che ciascuno di noi vigili sui propri rappresentanti al governo e sulle decisioni che essi prendono per nostro mandato, ma nessuno dovrebbe passare ad azioni violente, nessuno dovrebbe attentare alla vita di qualcun altro.

Non si tratta di ipocrisia pacifista. Se Berlusconi un giorno trasformasse la repubblica in governo autoritario portando in piazza i carri armati con la precisa volontà di tenere il potere, annientando le voci di dissenso e presentandosi come redivivo uomo della provvidenza e padre della Patria la resistenza armata sarebbe l'unico strumento per salvarci dalla rovina. Ma fino a quando Berlusconi o chiunque altro rimarrà nell'alveo della legge, sia pure manipolandola e piegandola a suo uso e consumo, fino a quando gli atti di protervia e le prove di assolutismo rimarranno nell'ambito di una dialettica politica, sia pure deviata e corrotta, allora l'azione istintuale e violenta, per quanto possa apparire liberatoria, dovrà essere condannata senza indugio.

Sta a noi, in questa gabbia di matti che è la politica italiana, cercare di rimanere lucidi.