domenica 15 novembre 2009

Via cruces

Rara avis nel desolante pollaio in cui razzolano i politici italiani un evento in grado di compattare maggioranza e opposizione. Divisi su tutto, i nostri rappresentanti condividono le loro opinioni in due soli casi: deferenza (formale) al Presidente della Repubblica e deferenza alla religione cattolica. Altrettanto formale, si capisce, ma alquanto redditizia in termini di voti. L’italico inconscio è attratto per abitudine culturale da tutto ciò che trasudi religione: qualche migliaio d’anni di cattolicesimo romano ma soprattutto un cinquantennio di Democrazia Cristiana non possono che aver inflitto traumi considerevoli in un popolo sensibile quale il nostro. Normale perciò che nell’Italia dei baciapile a convenienza abbia suscitato scandalo una sentenza che altrove sarebbe stata accolta per quello che è… Una sentenza talmente ovvia da non fare quasi notizia.


La Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha accolto la denuncia avanzata da una cittadina italiana e ha dichiarato che la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche è da considerarsi come una violazione della libertà di religione degli alunni. Una sentenza come si diceva che ha destato scandalo non solo nel mondo del potere religioso, com’era ovvio, ma anche nel mondo politico. Al di là dei vari preti spogliati come Buttiglione, la cui opinione era fin troppo conosciuta anche prima della sentenza, giudizi negativi sono piovuti anche da cosiddetti esponenti della cosiddetta sinistra come Bersani, che ha parlato di conflitto tra diritto e buonsenso o altri, che hanno fatto ricorso al feticcio sempre comodo della tradizione da difendere.


Partiamo da un assunto fondamentale. La sentenza della corte di Strasburgo è una sentenza scontata. Il crocifisso rappresenta il centro della dogmatica cristiana, simbolo della fede in Gesù Cristo, figlio di Dio che è sceso sulla terra e ha scontato i peccati degli uomini morendo sulla croce. Un simbolo, quello della croce, diffusissimo in un paese a maggioranza cattolica, indubbiamente rappresentativo della cultura e delle tradizioni nazionali. In Italia tuttavia la religione cattolica non è più religione di Stato dalla revisione dei Patti Lateranensi del 1984. Sarebbe normale in un paese laico per Costituzione che nei luoghi direttamente dipendenti dalla pubblica amministrazione non vi fossero predeminanze iconografiche di un culto rispetto a un altro.


Fino a poco tempo fa il crocifisso nei luoghi pubblici non è stato elemento di controversia. Per la maggior parte dei credenti infatti è stato quasi un ornamento, come il calendario appeso alla parete o una pianta di ficus fantozziana nelle sale d’aspetto. È stato necessario l’intervento di una donna di origini finlandesi per riportare il crocifisso al suo naturale ambito gnoseologico e allora, all’improvviso, tutti gli italiani si sono ricordati che il crocifisso appeso non era un oggetto d’arredamento ma il simbolo di un credo religioso e l’espressione di una fede che dovrebbe essere vissuta nella pienezza del quotidiano di ogni credente. Ridicolo inoltre sentire i paladini della multiculturalità, dell’integrazione a convenienza “se vado in un paese musulmano devo adattarmi ai dettami della religione musulmana e invece in Italia dobbiamo farci mettere in testa i piedi da tutti” oppure “allora togliamo anche i festeggiamenti per il Natale” oppure ancora il segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone, che ha detto più o meno, “tolgono i crocifissi e lasciano le zucche di Halloween”.


Aberrazioni. Perché l’Italia non ha più una religione di Stato, a differenza dei paesi musulmani in cui la religione di Stato è l’Islam. Tanto meglio, spazzando via ipocrisie politiche e legislative, tornare ad una Italia cattolica sancita dalla Costituzione. Forse anche scudo crociata. Sarebbe più onesto e coerente. Per non parlare delle affermazioni di Bertone: suvvia cardinaluccio, come si possono mettere sullo stesso piano le zucche di Halloween, una carnevalata che da secoli ha perso ormai ogni connotazione religiosa, con il crocifisso, che dovrebbe rappresentare il memento della sua fede?


Infine, inchiodato al muro dalla richiesta diretta di una personale opinione abbozzo una risposta che abbracci la complessità della questione. Non mi disturba la presenza di un crocifisso sulle pareti della aule scolastiche: non dovrebbe esserci se l’Italia volesse essere davvero uno Stato laico che rispetta tutte le fedi, ma credo che i problemi della scuola italiana siano altri e più importanti, come la sua demolizione sistematica ad opera di sconsiderati come la Gelmini. Ai detrattori del crocifisso chiedo perciò di non attaccarsi troppo ad un pezzetto di legno o di plastica perché i problemi dell’integrazione o della laicità di uno Stato sono altri, più gravi e ancora irrisolti. Al contrario vorrei ricordare ai credenti che non sarà certo un pezzetto di legno o di plastica a far di nuovo riempire le chiese. La fede vera non necessita di simboli: soprattutto se il simbolo si sostituisce alla fede e questa si confonde con la religione. Così il crocifisso diventa un paravento che serve solo a fare colore locale, ad affermare possessi, ad accampare diritti con prepotenza ed arroganza. Se credete davvero, non sarà certo la presenza o meno di un crocifisso a rinforzare ciò in cui credete.


La fede si porta dentro, non si appende ai muri.

martedì 10 novembre 2009

Dell'influenza porcina e di altre influenze

In linea con la mantica pandemica di certi media il nostro Ministero della Salute ha deciso di stipulare un contratto con l’azienda farmaceutica Novartis per la fornitura del vaccino contro l’influenza A-H1N1. Dovremmo complimentarci con il nostro Ministero per l’amorevole premura con cui tutela la nostra salute allora. O no?


No. Anzi, c’è da preoccuparsi. La Corte dei Conti ha sollevato parecchie rimostranze sulla questione della fornitura dei vaccini. Peccato abbia dovuto scontrarsi con l’eccezione della segretezza: in nome dell’emergenza non si può sapere nulla di specifico sul contratto che il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali ha stipulato con la Novartis. L’atto della Corte è del 21 settembre 2009, deliberazione n. 16/2009/P. La Corte dei Conti critica l'assenza di qualsiasi garanzia «sull’esito delle ricerche e la capacità di sviluppare con successo il Prodotto». Detto in termini meno burocratici: non esiste alcuna certezza che il prodotto funzioni perché si tratta di un vaccino sperimentale. Inoltre, e credo che questo sia il punto più grave, si mette in commercio il prodotto senza che siano stati svolti i necessari controlli e test clinici: le eventuali responsabilità saranno del Ministero. Vale a dire che, qualora si riscontrassero difetti di fabbricazione nel vaccino o effetti collaterali non rilevati durante i test dell’azienda produttrice, sarà il Ministero a rimborsare gli eventuali danneggiati. E cioè i contribuenti.


E cioè noi. Ancora, la Corte dei Conti ha criticato il fatto che lo Stato italiano dovrebbe pagare alla Novartis una penale di 24 milioni di euro (più Iva, ça va sans dire) nel caso in cui non ottenesse l'autorizzazione all'immissione in commercio del vaccino. Non solo acquistiamo un vaccino che potrebbe rivelarsi inefficace se non dannoso, non solo nei prossimi mesi il 40% della popolazione italiana diventerà cavia inconsapevole, non solo dovremo coprire i costi di eventuali risarcimenti danni, ma dovremo anche regalare più di 24 milioni di euro di nostri soldi alla Novartis nel caso in cui il vaccino non superi i test condotti prima della sua commercializzazione…


Un contratto davvero conveniente. Per la Novartis, si capisce.


I rilievi della Corte dei Conti infine si estendono a un altro punto essenziale: il segreto. Ovvio che in ogni rilevante contratto esistano delle clausole di riservatezza. Ma per quale ragione il contratto stipulato con la Novartis ricade nelle stesse emergenze previste in caso di “eventi calamitosi di natura terroristica” (ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3275 del 28 marzo 2003)? Quale il motivo del segreto di Stato su questo contratto? Quale rilevanza potrebbe avere il fatto che la moglie di Sacconi, e cioè del ministro che è a capo del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, sia direttore generale di Farmindustria, vale a dire di un colosso che non produce merendine ma farmaci? Nessuna, ovviamente. È che i malpensanti non sanno più cosa inventarsi.

mercoledì 4 novembre 2009

L'influenza dei media

Arrivano i primi freddi, arrivano le prime influenze. Di tanto in tanto arriva una pandemia ma si sa, sono meccanismi epidemici che in un villaggio globale come il nostro dobbiamo necessariamente mettere in conto. Virus A-H1N1, per essere più precisi. Sarebbe opportuno ricordare però a quanti mostrano paura, complice l’allarmismo interessato dei media, per il virus A-H1N1 che quest’ultimo è solo un virus influenzale. Una banale influenza che però, mutando, è diventata più facilmente trasmissibile, più cattiva e più difficile da debellare. Si può morire di A-H1N1, ma le percentuali di mortalità sono di poco più alte rispetto alle medie stagionali relative all’influenza normale.


Poco più alte rispetto alle medie stagionali.


Del virus Ah1N1 si può morire solo se e solo se si è colpiti da gravi complicazioni: a rischio dunque bambini, anziani e persone ammalate da patologie preesistenti. Si tratta pur sempre di influenza, tant’è che una buona percentuale di quelli che in questo momento stanno starnutendo o sono a letto con la febbre potrebbero benissimo avere la famigerata influenza suina e non saperlo mai.


E qui vorrei fare un passo indietro. Chi mi conosce sa quanto odi le persone che credono nelle trame occulte. I complottisti, brutta bestia. Certo è però, che in questo caso alcune cifre e alcuni fatti inducono a pensare. I toni allarmistici dei media però, in alcuni casi, sembrano essere decisamente pilotati. Un esempio? In Gran Bretagna, lo scorso aprile gli epidemiologi avevano immaginato un numero di 100.000 contagiati al giorno al momento di picco della cosiddetta "pandemia", mentre, secondo lo scenario più devastante, un terzo della popolazione sarebbe stata infettata. In cifre, i catastrofisti stimavano 65.000 morti. Per la fortuna dei sudditi del Regno Unito la verità è stata ben diversa: finora in Inghilterra si sono contati 83 decessi per A-H1N1 su 370.000 infettati con un tasso di mortalità pari allo 0,02%. Come mai questo scarto? Siamo proprio certi che le industrie farmaceutiche che vendono i medicinali usati per curare questa influenza non abbiano premuto un tantino per creare allarmismo?


Stiamo parlando di Tamiflu e di Relenza, prodotti rispettivamente dalla Roche e della GlaxoSmithKline. Uno studio pubblicato sulla rivista medica The Lancet lo scorso settembre ha dimostrato che Tamiflu e Relenza ridurrebbero la durata della malattia di poco più di mezza giornata, vale a dire un taglio del 15% rispetto al decorso normale dell’influenza, stimato dagli esperti in una settimana. Senza considerare che il farmaco, assunto dopo 48 ore dall'inizio dell’infezione, gli effetti si avvicinano allo zero.


La domanda a questo punto potrebbe sembrare superflua e banale: se questi medicinali servono a poco o niente perché si acquistano? La risposta è gentilmente fornita da Simon Garfield, un giornalista inglese dell'Observer che lo scorso 25 ottobre ha pubblicato un articolo illuminante. Secondo il pezzo, i governi mondiali hanno acquistato 270 milioni di terapie di Tamiflu dal 2006, di cui la metà negli ultimi sei mesi. La GlaxoSmithKline invece realizzerà per la fine del 2009 190 milioni di dosi di Relenza, vale a dire il triplo della sua produzione normale. È ancora necessario rispondere?


Nel terzo trimestre del 2009 il fatturato della GlaxoSmithKline è cresciuto del 15% grazie soprattutto all'effetto Relenza. L'azienda, inoltre, ha ricevuto ordini per 440 milioni di dosi del suo vaccino contro l'influenza A-H1N1: costo al pubblico sette euro circa, costi di produzione stimati attorno all’euro per confezione con un ricarico del 700% circa. Se gli affari della GlaxoSmithKline solcano il mare delle pandemie con il vento in poppapossiamo tranquillamente affermare che la Roche non si attarda nella bonaccia: a metà ottobre l’azienda ha riportato vendite di Tamiflu per 2 miliardi di franchi svizzeri, che dovrebbero fare poco meno di un miliardo e quattrocentomilioni di euro, un incremento pari a quasi 4 volte il fatturato dell'anno precedente. A pensare male si fa peccato, è vero: ma alla luce di questi dati, pensate ancora che in tutto questo allarmismo da influenza porcina non ci sia lo zampino di qualche casa farmaceutica interessata a far soldi sulle paure della gente?

lunedì 2 novembre 2009

Trans Marrazzo Express

Sottile è la linea che separa il succoso gossip dall’asciutta cronaca. Almeno in Italia.


La questione è nota. Piero Marrazzo, ormai ex-governatore del Lazio, incastrato da un video che lo sorprende in compagnia di un trans: sullo sfondo, strisce biancastre che poi si confermeranno essere cocaina. Sesso e droga. Un binomio che ritorna spesso quando si tratta di personaggi noti, ancor più se politici. Illuminante la differenza con cui sono stati trattati dai loro colleghi nonché da certa stampa embedded i casi di Marrazzo e di Berlusconi. Sulla sponda dei giusti il pornovecchietto Berlusconi che puttaneggia, che potrebbe aver corrotto minorenni e che sembra abbia usato voli di Stato per trasportare amichetti ed amichette nelle proprie residenze. Sulla sponda dei perversi traviati invece Piero Marrazzo: paladino dei consumatori prestato al mondo della politica, un pervertito che abbandona un matrimonio regolare con una donna per lasciarsi trascinare nel gorgo della droga e dei piaceri morbosi di una trans. Una mezza donna a gettoni, un uomo dimezzato Marrazzo.


Non solo. Berlusconi, garantista a posteriori, sarebbe stato quasi un benefattore per Marrazzo perché, pur potendo avere quel video, aveva preferito soprassedere difendendo la privacy dell’ex governatore del Lazio. Due pesi e due misure: accade, quando si deve demolire un personaggio della cosiddetta sinistra italiana. Demolire, e non solo demonizzare. Perché per quello bastano i telegiornali, gli articoli e le dichiarazioni ordinarie del Cavaliere Nero e dei suoi luogotenenti. Quanto squallida una politica che va a guardare dentro le mutande della gente ma solo se questa è della parte avversa e perversa, soprattutto se ha “vizietti” più o meno condannabili dalla morale comune.


Mentre io credo che un adulto, nei limiti della legge, sia libero di fare ciò che vuole con altri adulti consenzienti. Sono altresì convinto, tuttavia, che un personaggio pubblico dovrebbe mantenere un certo contegno bizzoco, soprattutto considerando la pruderie bigottocratica della nostra Italietta. Un personaggio pubblico dovrebbe rendersi conto che determinati atteggiamenti, certi gusti e certi vizi lo rendono ricattabile e facilmente attaccabile. Lo ha capito Piero Marrazzo, che ha deciso di scomparire dalla vita politica e dalla scena pubblica con un senso di responsabilità e un ravvedimento purtroppo tardivo. Non lo ha capito e non lo capisce tuttora il Big Jim della politica italiana che ci tocca sopportare come premier.


Droga a parte, il problema di queste tristi vicende è a mio parere è un altro. Non tanto il tradimento del proprio compagno o compagna, perché una relazione può finire – triste, ma accade – e il problema non è nemmeno nel libertinaggio o nella promiscuità. La questione risiede semmai nella mercificazione del corpo umano, della sua riduzione ad oggetto, dello svilimento continuo di una essenza che viene ridotta a cosa, a pezzo di carne da vendere e svendere. Marrazzo ha capito, ma ha capito solo perché i media hanno distrutto la sua vita. Qualcun altro no, e continua ancora a trattare le donne come se fossero strumenti alla mercè di Sua Emittenza Re dell’Universo.


domenica 1 novembre 2009

Punire uno, educarne cento

Un segnale cupo dei tempi nuovi per Catania. Brutto, scalcagnato, assolutamente illegale dal punto di vista dei permessi lo era sempre stato. Ma, per un vecchio cinema dismesso trasformato in centro sociale occupato penso fosse il minimo. 30 ottobre 2009. Chiuso a Catania da in insolito rigurgito legalista l’Experia: dopo diciassette anni di vita la polizia in assetto pesante ha cacciato via senza troppe delicatezze il gruppo dei ragazzi inermi che lo animava.


Nulla da dire sulla questione legale: l’Experia era stato occupato senza che alcuna norma di sicurezza fosse rispettata. Senza alcun contratto, senza alcuna autorizzazione. Semplicemente, diciassette anni fa un gruppo di ragazzi aveva trovano questo cinema di proprietà della regione siciliana abbandonato a se stesso e lo aveva occupato. Lo aveva reso più o meno vivibile creando col tempo una struttura di aggregazione preclusa ai boss, ai mafiosi e agli spacciatori del quartiere. E stiamo parlando dell’Antico Corso, o San Cristoforo, se preferite. Una enclave in un quartiere dominato dalle famiglie mafiose che offriva tra l’altro doposcuola, palestra, laboratori di giocoleria e decine di altre attività rivolte soprattutto, ma non solo, ai ragazzi disagiati del quartiere. Una valida alternativa per certi ragazzi, e insolita, ad una fulminante carriera tra le fila della criminalità mafiosa.


La legge avrà pure ragione: ma viene difficile pensare che questo sgombero non sia stato prima di tutto un atto politico volto a cancellare un'esperienza sociale e politica che aveva ridato al quartiere uno spazio di aggregazione libero. Al di là delle ingenuità politiche, al di là del cosiddetto comunismo rivoluzionario che alcuni di questi innocui ragazzi dicevano di professare. L’Experia, così come l’Auro dei tempi andati, ha segnato a Catania una pagina importantissima, una ventata di libertà in una città culturalmente stantia, dominata da una politica neppure troppo nascostamente fascista di vecchio e nuovo corso.


Catania. Una città in cui l’illegalità e la mafia dettano legge, dove più del novanta per cento dei commercianti paga il pizzo – mi tengo basso con la percentuale –, dove anche per parcheggiare è necessario pagare la piccola tangente al parcheggiatore abusivo, dove basta appartenere al gruppo politico sbagliato per essere picchiato in strada a colpi di catena, dove solo la denuncia di un turista alla Corte Europea ha potuto far migliorare le spaventose condizioni igieniche della Pescheria, dove ogni giorno decine e decine di prostitute affollano alla luce del sole alcune tra le strade che collegano la città all’hinterland. È difficile pensare che in una città con tanti problemi come Catania la soluzione per il ripristino della legalità inizi dallo sgombero di un centro sociale in un quartiere dimenticato dalla legge e dalle istituzioni come San Cristoforo… Dobbiamo davvero essere così ingenui da pensare ad una improvvisa improbabile disinteressata passione legalista delle istituzioni catanesi?